Il derby più importante della stagione, quello che vale una finale di Champions League alle due milanesi, va all’Inter, con un secco 3-0 tra andata e ritorno contro i cugini del Milan, vendicati dopo vent’anni, e per davvero. Ci vanno gli uomini di Simone Inzaghi che ipotecano la finale con ancora più di venti minuti da giocare, grazie a un gol di Lautaro Martinez, su assist di Romelu Lukaku e quando Rafael Leao sta per abbandonare il campo. Tredici anni dopo l’ultima volta, i nerazzurri si giocheranno l’ultimo atto della coppa dalle grandi orecchie, e ora l’unica cosa da sapere è chi ci sarà con loro il 10 giugno a Istanbul.
Un derby che vale una stagione, l’ultimo, tra l’altro, per lo meno in Italia. Un derby di Milano, di semifinale di Champions League, come vent’anni fa, ma questa, ormai, non è più una notizia. Lo è il fatto che il Milan, che stavolta gioca in trasferta, deve recuperare due gol all’Inter, che stasera avrà in più, rispetto a mercoledì scorso, tanti tifosi, così tanti che gli hanno permesso di registrare il record di incassi (12 milioni di euro solo per questa partita) di sempre per un’italiana, e quindi comunque andrà sarà un successo.
Sono sempre i tifosi i protagonisti quando bloccano i giocatori sul pullman prima dell’arrivo alla Scala del calcio, e lo sono anche quando gli stessi scendono in campo, perché tutto lo stadio, quel San Siro pieno pienissimo come non mai, è uno spettacolo così vestito di festa. E neanche gli uomini scelti da Simone Inzaghi, gli stessi dell’andata, e quelli di Stefano Pioli, che invece qualche cambio, per necessità, l’ha dovuto fare, non possono non ammirarlo. Poi tornano a essere loro, dopo uno degli inni più belli del mondo, prima con i loro pensieri, poi con il loro gioco, a essere le pedine da ammirare.
C’è André Onana, che una semifinale l’ha già vissuta con l’Ajax, perdendola, c’è quella difesa a tre composta da Matteo Darmian, Francesco Acerbi e Alessandro Bastoni, tutta italiana e davvero perfetta nella partita di una settimana fa. C’è, ancora, Denzel Dumfries e sull’altro lato Federico Dimarco, interista da una vita, il tifoso in campo, un po’ come in passato è stato Marco Materazzi, che oggi invece ha riscaldato l’ambiente andando a cantare insieme alla Curva Nord.
Ci sono i tre migliori del centrocampo là in mezzo, c’è Nicolò Barella, che è stato l’artefice di questa qualificazione in semifinale contro il Lisbona, c’è Hakan Calhanoglu, che si è preso la mediana e non vuole più lasciarla, c’è Henrikh Mkhitaryan che all’andata aveva segnato lo 0-2 definitivo. E poi ci sono i due attaccanti della coppa, o del mercoledì: c’è Edin Dzeko, che invece aveva aperto le danze mercoledì, e c’è Lautaro Martinez, il migliore marcatore della stagione da molte sfide dei nerazzurri.
Il Milan, dicevamo, cambia qualcosa, cambia Ismael Bennacer dietro l’unica punta, sempre Olivier Giroud, che dovrà stare fermo per sei mesi dopo l’infortunio dell’andata. Cambia il difensore centrale, non più Simon Kjaer, ma Malick Thiaw, e cambia Rafael Leao, che torna in campo per l’occasione dopo essere stato fermo ai box mercoledì, non cambia invece il portiere, sempre un altro francese, Mike Maignan, il terzino sinistro Theo Hernandez, quello di destra, il capitano Davide Calabria, e l’altro centrale, Fikayo Tomori. Non cambia la mediana con Sandro Tonali e Rade Krunic, e non cambiano neanche gli uomini più offensivi, al netto di chi è tornato e di chi è fatto male, e quindi Brahim Diaz e Junior Messias fanno compagnia al portoghese e supportano l’altro francese, il terzo per i rossoneri, il quarto in campo se si considera anche l’arbitro (di cui in maniera velata si era lamentato anche Inzaghi) Clement Turpin.
E con il suo fischio d’inizio, con una storia ancora da scrivere inizia il derby. IL DERBY DI MILANO. In cui, dopo una prima fase di studio, è l’Inter a partire più forte. A differenza di quanto successo all’andata, e come più volte sottolineato dall’allenatore rossonero, i nerazzurri entrano in area prima del settimo minuto, è sempre il bosniaco che potrebbe sbloccare la partita, ma il direttore di gara fischia il fallo e comunque Maignan c’è, eccome se c’è. Dopo il primo squillo dei padroni di casa, risponde il Milan con una conclusione di Theo Hernandez che non va a buon fine. Dal limite dell’area è l’eroe della doppia sfida contro il Benfica, Barella, a sparare di poco al lato e a non fare quindi male al portiere francese.
Il Diavolo prende il pallino del gioco in mano, fa possesso, e arriva anche in porta, ma Darmian copre bene dopo un’uscita quasi a vuoto di Onana. Sullo sviluppo di un’azione, che nasce anche da un fallo del terzino (sempre) francese del Milan sul sardo, Tonali fugge e passa a Brahim Diaz che sbaglia un rigore in movimento, che viene bloccato senza problemi dal camerunese. È l’undicesimo, e la gara continua a scaldarsi. Tanto che un minuto dopo, è di nuovo l’Inter a farsi vedere davanti all’area dell’ex Lille, l’ex Cagliari si fa murare dai piedi di Maignan, ma il gol che sarebbe arrivato dopo una percussione di Dimarco e il cambio di fascia con Dumfries non sarebbe comunque stato regolare.
Si lotta, si attacca, si gioca a San Siro, in questo derby che vale la finale di Istanbul da giocarsi con una tra Real Madrid e Manchester City, che si sfideranno domani in Inghilterra dopo il pareggio dell’andata al Santiago Bernabeu. Ci sono errori, e non ci sono cartellini, né da una parte, né dall’altra, eppure di falli Turpin ne fischia parecchi, e alcuni sono anche cattivi. Lo è quello sempre di Theo Hernandez sull’olandese, che non toglie la gamba e colpisce con un calcio in testa Dumfries nel momento in cui l’Inter sembra aver ripreso possesso del campo.
Ma il derby che vale una stagione è ancora bloccato. Il primo lampo di Leao, finora non troppo dentro i meccanismi dei rossoneri, arriva al 38esimo e dopo forse un fallo su Darmian, il tiro è troppo schiacciato e Onana non si impegna neanche a metterci le dita per deviarla in angolo. Un minuto dopo, ancora, è invece Maignan a dovercele mettere su una spizzata di testa di Dzeko su punizione dell’ex di turno. L’Inter rimane in attacco e si guadagna anche un calcio d’angolo su cui è l’argentino a sparare poco più in alto del sette.
Arrivano anche i primi problemi per Inzaghi, al 41esimo, non è un gol del Milan, è piuttosto un problema muscolare al quadricipite della gamba sinistra per l’armeno, l’mvp dell’andata, che non riesce a continuare e costringe il piacentino al cambio, anzi no, perché il capitano chiede del tempo al tecnico ex Lazio, ma Mkhitaryan nell’azione dopo alza bandiera bianca e in campo entra Marcelo Brozovic che prenderà il posto da centrale, con Calhanoglu che invece andrà a prendere il posto dell’ex Roma.
Un brivido per i padroni di casa, poi iniziano i tre minuti di recupero, che scorrono senza grandi emozioni, solo qualche fallo. Ha solo 45 minuti, ora, la squadra di Pioli per ribaltare il risultato, e tornare a vivere una notte europea come quella del 2007, quando si vinse l’ultima Champions League, ha ancora 45 minuti l’Inter per sperare di arrivarci a tredici anni da quel 22 maggio che proprio in casa dei Blancos, contro il Bayern Monaco, l’unica che in stagione li ha fermati nella coppa dalle grandi orecchie, aveva portato il triplete e l’apoteosi.
Si riparte con il secondo tempo. E senza nessuna sostituzione, da entrambe le parti. I nerazzurri ritornano sul rettangolo verde aggressivi, come a dimostrare che il discorso si vuole chiudere prima del previsto. Il Milan si salva con Thiaw, poi sono i padroni di casa che sbagliano, anche se con il controllo della palla riescono a correre meno rischi e a farne correre ancora qualcuno ai cugini. I falli continuano a sprecarsi, mentre Inzaghi manda a riscaldarsi Romelu Lukaku, Robin Gosens, Stefan de Vrij e Roberto Gagliardini, d’altronde non ha ancora ammoniti da dover preventivamente sostituire.
Ecco, a proposito di gialli, arriva al 55esimo il primo, ed è per il difensore centrale tedesco di Pioli che fa cadere un lanciato Lautaro. Cadono, poi, in area anche Leao e Dumfries, ma non c’è fallo, piuttosto due scivolate di troppo. Dopo un’ora, la squadre si allungano, ma non si feriscono a vicenda, anche al termine di un’azione che si è sviluppata da una parte e dell’altra, Krunic fa solo il solletico a Onana.
Anche il Milan è costretto al cambio, lo stesso Thiaw appena ammonito, chiede il cambio per crampi, al 63esimo, e al suo posto entra Pierre Kalulu, mentre Kjaer che si era levato la pettorina, torna ad accomodarsi in panchina: la scelta del tecnico (ancora) campione d’Italia è dettata dal fatto che con il francese la squadra è più disposta a sbilanciarsi a differenza del danese, che tra l’altro potrebbe soffrire anche il belga che entra esattamente due minuti dopo prendendo il posto di Dzeko, a cui il pubblico dedica un lungo applauso assieme a Dimarco, anche lui sostituito per Gosens. In realtà, ma si scoprirà dopo, Kjaer non è stato scelto soprattutto perché non era pronto a entrare in campo e non si è cambiato velocemente. Un dato di fatto che ha fatto scattare il nervosismo da parte dell’allenatore che ha optato per il suo compagno di reparto.
Non cambia nulla tatticamente, ma al 68esimo, ancora sui piedi del portoghese, potrebbe esserci un pallone d’oro, che Acerbi però riesce a disinnescare conquistando il massimo, ovvero la rimessa laterale per i nerazzurri. Un errore potrebbe favorire, adesso, Leao, ma è lui che sbaglia e il camerunese blocca senza problemi. Quelli li ha Acerbi, che prima si era avventurato nell’area avversaria, e che nella sua si accascia a terra. Rimane comunque in campo, e al 73esimo esplode lo stadio. Esplode perché nel mentre che Pioli pensa ai cambi, Lautaro Martinez dopo diversi scambi in area con Lukaku mette a segno l’1-0 che ipoteca la finale, perché il Milan deve recuperarne tre in poco più di un quarto d’ora, in una bolgia come quella che è, ora, San Siro.
Con non più niente da perdere, l’allenatore (anche lui) emiliano leva il numero 17, anche perché c’è un campionato a cui pensare e una prossima edizione della Champions League da conquistarsi, e mette Alexis Saelemaekers ed entra anche Divock Origi per Diaz. Nonostante tutto, al 79esimo è ancora il campione del mondo a rendersi pericoloso, nell’occasione c’è anche un diverbio tra Barella e Tonali, che si prendono il giallo, insieme.
La partita diventa ancora più dura, e Krunic rischia un rosso per un intervento su Calhanoglu all’80esimo, che alimenta le proteste e infatti si prendono il giallo anche Tomori, Kalulu e persino l’autore del gol che sta mandando in paradiso l’Inter. Che fa un altro giro di cambi, gli appena ammoniti, lasciano spazio rispettivamente a Gagliardini e Joaquin Correa.
I tre minuti di recupero concessi sono forse pochi, ma non servono al Milan per ribaltare due partite in cui l’Inter ha meritato di essere in finale di Champions League, di vendicare quella parata di Christian Abbiati di vent’anni fa, quello scudetto scucito dal petto. Di andare a Istanbul il 10 giugno per giocarsi il tutto per tutto nell’ultimo atto di una coppa dalle grandi orecchie che mancava da quando sulla panchina nerazzurra seduta José Mourinho, che ora è andato a finire alla Roma dopo tanto peregrinare in giro per l’Europa e che dopo la partita persa nella Capitale contro gli uomini di Inzaghi li aveva incoronati come i più forti in Italia, anche più forti di un Napoli che ha vinto il titolo di campioni d’Italia dopo 33 anni dall’ultima volta, ma che non è arrivato mai dove sono loro, adesso.
Poco importa, come ha detto lo stesso allenatore piacentino nel post partita, chi ci sarà in Turchia ad attenderli fra 25 giorni, se sarà la squadra di Pep Guardiola, il City, o quella di Carlo Ancelotti, i Blancos, che avrebbe preferito come ha detto, che ci arrivasse il Milan, il suo Milan, c’è l’Inter, invece. Che ora ha ipotecato di giocare tutte le partite che il programma prevedesse: la Serie A, in cui rischia di arrivare addirittura secondo, la Coppa Italia che incoronerà una vincitrice tra i nerazzurri e la Fiorentina la prossima settimana, la Supercoppa italiana, già vinta sempre contro i cugini, e anche ora, appunto, la Champions League.
Partita con una sconfitta contro i bavaresi, poi conquistata con il passetto prima contro il Viktoria Plzen e poi quel doppio scontro contro il Barcellona che forse a qualcuno ha fatto capire che quel sogno di passare il girone poteva trasformarsi in qualcosa di più grande. Lo è diventato contro il Porto ammazza italiane, di uno che l’Italia e il nostro campionato la conosce come Sergio Conceiçao, lo è diventato di più contro il Benfica, che aveva eliminato la Juventus nel gruppo ben più semplice di quello dell’Inter, è realtà in un derby che va per la quarta volta a chi ci ha messo più grinta, più determinazione, più attenzione, più voglia di arrivare al traguardo.
È realtà grazie a Lautaro oggi, ma anche a Dzeko e Mkhitaryan prima, che potrebbe non recuperare in tempo per il 10 giugno, o forse sì, è realtà grazie a tutti, soprattutto ad Acerbi, che da piccolo ha giocato nel Milan, e che ha saputo rimediare a quell’errore fatto nella partita con la Lazio dello scorso anno che aveva in parte regalato lo scudetto agli uomini di Pioli contro il suo ex allenatore.
Proprio loro, un po’ cambiati, ma bene o male sempre gli stessi, ora dovranno concentrarsi solo sul campionato, in cui rischia di sfumare la prossima edizione della coppa dalle grandi orecchie, anche se molto dipenderà dalla sentenza che arriverà il 22 maggio dalla Corte federale d’appello per i bianconeri. Non ci sarà, però, nessun trofeo da alzare al cielo, o già da spolverare in bacheca, c’è la soddisfazione di essere arrivate tra le prime quattro squadra di Europa, e un progetto da continuare a costruire, mattone su mattone, investendo come ha detto anche Paolo Maldini, il direttore tecnico che per ultimo ha vinto la Champions League con la maglia del Milan, lo stesso capitano che c’era vent’anni fa, in occasione di quell’Euro derby che poi portò i rossoneri a trionfare contro la Vecchia Signora.
Fa male, fa piangere. Ma fa piangere anche chi ha vinto, Barella, i tifosi, i tifosi aizzati da Dimarco e lo stesso argentino, quelli d’eccezione, i vip, che hanno colorato ancora di più di nerazzurro una stracittadina, l’ultima della stagione, la più importante, che è una vendetta servita congelata, e indigesta. Una delle più belle, fino alla prossima volta, perché come diceva anche Karl Marx, la storia è ciclica e si ripete, e molto spesso per rimediare agli errori, che stavolta è l’Inter a non aver commesso. Mai, in centottanta minuti che sono sembrati un soffio, e un’eternità, di speranze, di sogni interrotti, di festeggiamenti in piazza Duomo, e sugli spalti.
E nell’analisi della partita è impossibile non soffermarsi in chi l’ha storia l’ha scritta e senza mancare l’appuntamento decisivo. Già a partire dalla porta, c’è tanto da dire e belle storie da raccontare. Sarebbe potuta essere quella di Maignan, probabilmente il migliore in campo in entrambe le partite per i rossoneri con almeno tre interventi spaventosi e decisivi, ma invece a trionfare è stato ancora una volta Onana. L’ex Ajax, dopo lo stop, l’arrivo a parametro zero, i problemi in Nazionale e un carattere non proprio semplice da gestire, si tolto una bella soddisfazione, una di quelle che dimostra il suo valore a livello internazionale. Basta leggere i numeri per capire che l’ennesimo clean sheet con cui ha terminato la partita non può affatto essere casuale. L’estremo difensore è il primo attaccante della squadra, imposta con una calma olimpica e tra i pali è solido e sicuro. Nel suo doppio confronto, si ricorda solo un errore in uscita, prontamente coperto da Darmian. È impossibile non esaltarlo, soprattutto non sottolineare quel sorriso che comunque è felicità, gioia sportiva e umana. È soprattutto la storia.
Se dobbiamo scegliere un altro personaggio a cui dedicare qualche riga, per quanto riguarda la fase difensiva, è di sicuro Francesco Acerbi. Lui, criticato già prima di arrivare e come il cocco di Inzaghi, totalmente estraneo al progetto di Maurizio Sarri e cacciato dalla Lazio in prestito, perché intanto sarebbe stato solo un costo in più, inutile per giunta. Quel calciatore tanto bistrattato, bocciato anche dal Milan ma diversi anni prima, ora è centrale di lusso, uno di quelli che comanda la difesa con una regolarità spaventosa e con una tecnica comunque buona. Partita dopo partita, si è guadagnato una titolarità indiscutibile sul campo e ora il tecnico piacentino non ne può fare più a meno. Soprattutto è diventato un baluardo che in molti hanno già etichettato come il miglior acquisto dell’estate nerazzurra e non hanno tutti i torti.
La partita l’ha sentita particolarmente anche Calhanoglu, come sempre contro il Milan. Reduce da un infortunio muscolare, il turco ha visto all’orizzonte la finale a casa sua e non si è più fermato domando la tensione e mettendo in gioco le sue enormi qualità tecniche, al servizio della tattica e di una fase difensiva su cui in pochi avrebbero scommesso. All’andata ha sfiorato il gol, prima con un palo che ancora vibra poi con il rigore sottratto dal Var appena si era presentato sul dischetto. Poco male, perché la gloria personale è direttamente legata al risultato in partite così, non solo al sigillo individuale che serve a francobollare la gara. E, quindi, siamo sicuri, a lui sta bene così.
Passando agli esterni, il simbolo del successo nerazzurro è Dimarco. Il laterale cresciuto a pane e Inter, gioiello della cantera con cui ha fatto tutta la trafila e abituandosi a cosa voglia dire la fascia da capitano sul braccio. L’ex Verona ha gli stessi assist che ha un certo Vinicius Jr in Champions League, ma con caratteristiche completamente diverse. Le partite contro il Milan le ha sentite talmente tanto da ricordare, subito dopo il fischio finale, che oggi 16 maggio è arrivata la rivalsa rispetto a venti anni fa, quando lui era un bambino, era allo stadio e poteva soltanto sognare di essere il motore di quella vendetta. Lo è stato e l’Inter non potrà mai dimenticarlo, anche se spera che sia solo uno dei tanti successi in maglia nerazzurra.
Se Dimarco vuol dire appartenenza da sempre, per Lautaro Martinez non è esattamente così. Lui è cresciuto in Argentina a pane, fango e football, nel senso più inglese del termine. In Italia c’è arrivato grazie a Diego Milito, uno sponsor speciale per i blu di Milano e che non si poteva proprio evitare di ascoltare. Quel consiglio di calciomercato ora frutta una finale e in molti stanno iniziando a sfornare il parallelismo con El Principe, ormai a tutti gli effetti eroe del triplete e mito della storia dell’Inter. Se dal punto di vista emozionale e temporale il discorso può essere simile, non lo è di certo nelle caratteristiche tecniche. Lautaro è stato bravissimo a proteggere il pallone, saltare i diretti avversari con grande qualità e anche nello stretto, poi anche a concretizzare quando ha avuto la palla buona per fare male. È lui il miglior marcatore della squadra, e l’ha dimostrato anche in semifinale, ma è soprattutto l’uomo a cui Javier Zanetti e tutta la società hanno deciso di dare la fascia di capitano sul braccio. Per la mentalità espressa in campo, l’attaccamento ai colori e il modo in cui scende in campo in ogni partita, non ci sembra affatto sbagliato.
Se Lautaro si è guadagnato di diritto la copertina della semifinale, non si può comunque sottovalutare il lavoro encomiabile svolto da Edin Dzeko e Romelu Lukaku. Il bosniaco è stato scelto da titolare praticamente per tutta la Champions League, soprattutto nelle partite che contavano di più e, quindi, anche contro il Milan. Una scelta dettata un po’ da gerarchie che ormai sembrano chiare nello scacchiere nerazzurro, un po’ perché tenere fuori da queste partite uno così sembra quasi un delitto. E, infatti, la sua risposta è risuonata forte e potente, in barba all’età, a chi l’ha criticato e a chi sosteneva che il rinnovo di contratto fosse la scelta sbagliata. Ora i suoi detrattori si sono dissolti, giustamente, e quel gol che ha sbloccato la situazione all’andata resta comunque il più pesante di tutti, quello che ha indirizzato le cose.
Anche di Lukaku non si può che parlare bene. Dopo sei mesi in cui il belga è stato più alle prese con i problemi fisici che con le magie in campo, ora il ragazzone di proprietà del Chelsea sta facendo la differenza praticamente ogni volta che mette piede in campo. Ieri Inzaghi gli ha riservato un posto a gara in corso e comunque è entrato con tutta la voglia e la dedizione possibile per fare la differenza, anche se uno come lui si aspetta sempre di essere titolare. Ha difeso palla, ha definitivamente messo nel cassetto le velleità di rimonta avversarie e infine ha lasciato un marchio niente male con l’assist decisivo per Lautaro, prima delle esultanze sotto la curva. Da lui ci si aspetta ancora tanto in questo finale di stagione, sicuramente anche il quantitativo di gol che ha promesso al momento del suo ritorno all’Inter e che ora stanno pian piano arrivando. Big Rom è una risorsa che Inzaghi non può permettersi di sottovalutare, insomma, e non lo sta facendo.
Dall’altra parte non può che esserci delusione e sicuramente quel senso di insoddisfazione di chi non ce l’ha fatta. Il Milan, dopo aver eliminato il Napoli, aveva il vento di poppa che deriva dall’aver fatto fuori la squadra che avrebbe vinto lo scudetto, considerata da molti addirittura una delle favorite anche per la vittoria della Champions League. I rossoneri, invece, contro l’Inter hanno svelato il loro volto peggiore, quello insicuro, poco determinato sotto il profilo tattico e meno efficace rispetto a quanto sono riusciti a mettere in campo i cugini. La sconfitta, inoltre, non può essere archiviata solo come una semifinale persa, perché è molto di più. È crollare contro chi meno di un anno fa veniva deriso e, invece, ora può gioire di fronte ai suoi tifosi tra le lacrime di delusione altrui.
Non resta che il quarto posto, obiettivo che resta comunque tangibile per i rossoneri, ma che andrà conquistato a suon di vittorie nelle ultime tre giorni. Poi, bisognerà capire come potrà continuare il progetto di Paolo Maldini e Stefano Pioli. Magari uno dei due non ci sarà più, magari entrambi o la società deciderà di dare fiducia a chi comunque, senza spese folli e con una visione sempre proiettata al futuro, è riuscito a conquistare uno scudetto e una semifinale di Champions League nel giro di due anni. Nel calcio, però, si sa, la riconoscenza non basta guadagnarsela, bisogna alimentarla giorno per giorno e non è detto che anche al Milan non sia così.
La differenza sicuramente non l’ha fatta Rafael Leao e non solo per colpa sua. Il portoghese, vittima di un’elongazione muscolare che proprio non ci voleva contro la Lazio, ha dovuto saltare il match di andata e la sua assenza si è sentita non poco. Al ritorno, però, nonostante il recupero in extremis, si è sentita anche di più. Da un calciatore come lui ci si aspettavano strappi, corse, dribbling e, invece, è successo solo una volta quando poi davanti a Onana ha fatto la barba al palo e non è riuscito a segnare. Per il resto poco fumo e poco arrosto, purtroppo per i suoi tifosi che in lui avevano riposto le ultime speranze di rimonta contro i rivali di sempre. Non è la prima volta che l’ex Lille denuncia un’incostanza che sembra quasi insita nel suo gioco, ma in questo caso la sua prestazione negativa è derivata più che altro dai problemi fisici che comunque non gli hanno permesso di essere al 100% e dalla tattica difensiva dell’Inter. I nerazzurri sono stati particolarmente aggressivi sull’uomo e non hanno lasciato spazi in profondità né a lui, né a Brahim Diaz. Alla fine ha prevalso la difesa nerazzurra e non di poco, visto che non è arrivato neppure un gol subito in due partite, e in generale negli ultimi quattro derby disputati.
Se la retroguardia del Milan ha ballato a lungo nel corso del doppio confronto, non si può dire lo stesso di Mike Maignan. Il portiere francese ha costituito il baluardo su cui il Diavolo ha fondato il trionfo dello scorso anno. In questa stagione la sua assenza si è sentita a lungo, probabilmente è coincisa con il momento peggiore dei rossoneri. Contro l’Inter, possiamo dire con abbastanza certezza che sia stato il migliore nell’arco del doppio confronto, sfoderando un paio di parate decisive per far sì che il risultato non assumesse proporzioni mostruose in favore dei nerazzurri. Stiamo parlando di uno dei migliori portieri in Europa e di cui il Milan non vuole fare a meno nel prossimo futuro: un intoccabile, dunque, come sono intoccabili i calciatori che decidono le partite.
La disperazione della Milano rossonera è quella di Sandro Tonali. Il centrocampista si stava preparando da settimane all’evento con vita sana, da atleta, zero eccessi e un’alimentazione specifica. Tutto da curare alla perfezione per prevalere sui rivali di sempre nel derby dei derby. Invece, non è andata esattamente così, anzi. Le sgroppate, le chiusure, la qualità, il palo colpito all’andata però resteranno, perché l’ex Brescia ha comunque dimostrato di poter stare a certi livelli. Il futuro è suo e Pioli lo sa bene, tanto da averlo messo, dopo un periodo di ambientamento, nel cuore del suo centrocampo e senza più levarlo.
Proprio Pioli nel post partita non ha potuto fare a meno di parlare di rimpianti dopo essere stato eliminato dalla Champions League dall’Inter: “I giocatori hanno dato il massimo, parlare di poca voglia non mi sembra corretto. L’Inter ha giocato meglio di noi nelle due partite e meritato la finale. Stasera abbiamo fatto un buon primo tempo e abbiamo creato 2-3 occasioni per andare in vantaggio. Peccato, perché un gol poteva cambiare l’inerzia del match. Siamo delusi: arrivare in finale sarebbe stato eccezionale per il nostro percorso. È una stagione più complicata di quello che pensavamo, ma che ci ha insegnato tanto”.
Il tecnico poi ha rincarato la dose facendo capire come i suoi hanno vissuto la delusione della sconfitta: “È una delusione grande, parliamoci chiaro. Abbiamo fatto un grandissimo percorso in Champions sì, pensando anche a quello che abbiamo fatto l’anno scorso, ma volevamo arrivare in finale perché quello conta. La delusione c’è. Purtroppo abbiamo condizionato questa semifinale con i primi 15 minuti della partita di andata, poi per il resto siamo stati all’altezza di una squadra molto forte. Abbiamo avuto due occasioni per sbloccarla oggi. Non posso rimproverare niente ai miei giocatori: ci abbiamo provato con tutto ciò che avevamo. Non siamo riusciti a essere pericolosi come di solito siamo, per la compattezza dell’Inter e per un ritmo e una precisione che dovevano essere migliori. Noi oggi ci abbiamo provato, ma non siamo stati così precisi e lucidi. L’Inter in queste partite alle prime situazioni ci fa gol, noi non siamo riusciti a fare la stessa cosa”.
Come dopo il match contro la Cremonese, quindi, Pioli l’ha messa ancora una volta sul cinismo. In partite così, è sicuramente fondamentale cercare di sbloccare le partite e capitalizzare tutte le occasioni che una squadra ha a sua disposizione, soprattutto cercare di passare in vantaggio per poi gestire la partita. Il Milan non c’è riuscito, ma la sensazione è che sia mancato tanto anche sotto il profilo del gioco. La strategia dell’Inter ha pagato di più e raramente i rossoneri hanno dato l’idea di poter creare con continuità delle occasioni che potessero mettere in crisi i cugini. Nella prossima stagione, toccherà aumentare le soluzioni a disposizione, tentare di variare il tema tattico e avere la capacità di mantenere il polso della partita per più tempo rispetto a quanto non sappiano fare gli altri. Ma ci sta, ci sta tutto nel percorso di una grande squadra che vuole tornare a essere grandissima. Una semifinale persa a volte è solo l’inizio di qualcosa di più bello, non una disfatta destinata a liquefare tutto il resto.
E per chi piange, ancora, c’è chi può sorridere per l’obiettivo raggiunto. Simone Inzaghi è stato a lungo criticato, accostato all’esonero, ma ora può godersi un quarto posto sempre più vicino in campionato e una finale di Champions League da giocare a Istanbul contro una tra Real Madrid e Manchester City. Insomma, la storia e l’ex Lazio, stavolta con un bel sorriso stampato sul viso, non può ignorare il grande risultato raggiunto. Ai microfoni di “Mediaset” ha detto chiaramente: “Nei prossimi giorni ci renderemo conto meglio di ciò che abbiamo fatto. Per noi era un sogno inizialmente, ma ci abbiamo sempre creduto e abbiamo fatto un percorso straordinario. C’è tantissima soddisfazione e bisogna fare i complimenti a questi ragazzi. Sono fiero di tutto quello che hanno messo in campo: corsa, determinazione, aggressività, concentrazione… Sono stati bravissimi, abbiamo vinto quattro derby contro i campioni d’Italia, sono contento per i miei ragazzi, è giusto che si godano serate così”.
E sulla finale del 10 giugno, Inzaghi sembra avere le idee molto chiare: “Non posso fare nessuna promessa, ma ho sempre detto che l’impegno sarebbe stato massimo in tutte le competizioni. L’ultimo mese e mezzo è stato intensissimo, ma abbiamo raggiunto due finali e rimesso a posto il campionato“. Il tecnico si sofferma anche su chi sarà la sua avversaria, una tra Real Madrid e Manchester City: “Sono due delle migliori squadre d’Europa, sappiamo le qualità che anno, sicuramente guarderò la partita con tantissimo interesse”.
Inzaghi, però, dopo aver centrato una finale di Champions League in una stagione in cui è stato bersagliato, non può fare a meno di togliersi qualche sassolino dalle scarpe in più rispetto al solito: “So chi c’è sempre stato e chi non c’era nel momento del bisogno, so quello che è successo in questi mesi, ma ho la fortuna di avere uno staff meraviglioso che in questi 20 mesi mi hanno seguito per filo e per segno, è giusto che ci godiamo serate così tutti insieme. Abbiamo due finali e tre partite di campionato da giocarci. Io sono orgoglioso di essere in questa società, mi era stato chiesto di tornare agli ottavi di Champions, i ragazzi si sono superati. Siamo passati da scontri difficilissimi, nessuno ci ha regalato niente”.
La serata non può che chiudersi con la festa, a San Siro e in piazza Duomo, con le urla, i giornalisti affossati dai tifosi, le urla, i cori e la gioia. La luce che sventola in tutta Milano è quella dell’Inter, quella blu, con il rosso per ora destinato al cassetto dei sogni irrealizzati. Sono queste le immagini che vorremmo vedere sempre nel calcio, quelle in cui prevale l’amore e non l’odio, ma soprattutto il rispetto dei valori e degli avversari. L’esempio calzante è quello dell’abbraccio tra Sandro Tonali e Nicolò Barella. I due centrocampisti hanno battibeccato a lungo durante la partita vivendo momenti di grande tensione e beccandosi anche un’ammonizione a testa. A fine partita, però, i due compagni di Nazionale si sono dedicati un abbraccio che fa capire a pieno come vada interpretato lo sport. L’Inter va in finale, ma entrambe le squadre hanno dato una lezione a tutti su come si vinca e come si perda, anche uno spot di ritorno al passato per tutto il calcio italiano. Ora l’appuntamento è il 10 giugno a Istanbul, ma in quel caso ci saranno solo i nerazzurri. E, a questo punto, sì, conta anche vincerla.
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