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Lavorare in tempo di crisi? Illegale, purché retribuito

Sei disoccupati su dieci (60 per cento) sono disposti ad accettare un posto di lavoro in un’attività dove la criminalità organizzata ha investito per riciclare il denaro. E’ quanto emerge dall’indagine Coldiretti/Ixe’ presentata in occasione della nascita in Italia della Fondazione “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, promossa dalla Coldiretti con la presidenza del Comitato Scientifico del procuratore Giancarlo Caselli.

La criminalità organizzata trova, infatti, terreno fertile nel tessuto sociale ed economico indebolito dalla crisi come dimostra il fatto che mafia, camorra, ‘ndrangheta e non solo possono contare su un esercito potenziale di quasi 2 milioni di persone che, spinti nella marginalità economica e sociale, si dicono disponibili a lavorare per loro e tra queste – sottolinea la Coldiretti – ben 230 mila persone non avrebbero problemi a commettere consapevolmente azioni illegali pur di avere una occupazione.

Un’analisi che dimostra quanto siano urgenti le misure per favorire lo sviluppo del lavoro, dopo l’annuncio del “Jobs Act” da parte del Governo Renzi, in un Paese in cui – ricorda la Coldiretti – la disoccupazione ha raggiunto livelli record del 12,9 per cento ma sale al 42,4 per i giovani

Chiedersi se la disoccupazione influisca sulla criminalità può sembrare ozioso. È intuitivo infatti che una persona senza lavoro, che vive una condizione materiale, mentale e sociale di forte disagio, può essere tentata di commettere un reato molto più facilmente di una persona che possiede un’occupazione.

A sua volta, quest’ultima non avrà né il tempo né sufficienti motivazioni per considerare seriamente tale possibilità. Sembra ovvio considerare la disoccupazione come uno dei principali fattori criminogeni. Infatti il modello economico del crimine assume che l’individuo sceglie di partecipare o meno ad un’attività illegale in base ai costi e ai benefici attesi.

Uno dei costi opportunità più importanti in relazione a tale scelta è rappresentato dalla perdita di reddito connessa al tempo consumato per attuare il reato e all’eventuale sanzione (o meglio al danno diretto e indiretto) in caso di insuccesso. In questo quadro le condizioni del mercato del lavoro esercitano la loro influenza sul lato dei costi. Chi percepisce un salario elevato sarà meno interessato a compiere un reato di chi riceve un salario più basso o di chi non riceve alcun salario perché disoccupato.

Chiaramente, poiché si tratta di decisioni in condizione d’incertezza, la scelta ottimale dipenderà anche dalle attitudini dell’individuo nei confronti del rischio.

Che cosa prevede il Jobs Act?

Ebbene, da un punto di vista legislativo e da una prima lettura dello schema di decreto attuativo approvato dal Governo il 24 dicembre 2014 sul contratto a tutele crescenti il Governo Renzi ha predisposto come piano per le politiche attive tese a controbilanciare l’abolizione dell’obbligo di reintegrazione del lavoratore ai sensi dell’art 18 Statuto dei Lavoratori illegittimamente licenziati il contratto di ricollocazione di cui all’art 1 della Legge Delega n. 183/2014.

Veniamo al punto di cui al medesimo articolo 1. Lo schema di decreto istituisce presso l’INPS il Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria. A questo fondo perviene in eredità la dotazione finanziaria del Fondo istituito – presso il Ministero per il Lavoro – dell’art 1, comma 215, della Legge 27 dicembe 2013 n. 147. Tale fondo ha una dotazione di circa 18 milioni di euro per l’anno 2015 e di 20 milioni di euro per il 2016 nonché, per l’anno 2015, un’ulteriore somma di 32 milioni di euro.

Il dipendente che sia illegittimamente licenziato sia per giustificato motivo oggettivo sia per licenziamento collettivo ha il diritto di ricevere dal Centro per l’Impiego un “voucher” individuale di ricollocazione a condizione che effettui e si sottoponga alla procedura di profilazione di occupabilità ai sensi del D.lgs attuativo della Legge Delega 10 dicembre 2014 n 183 in materia di politiche attive per l’impiego. Con tale “voucher”, consegnato o ad una agenzia per il lavoro pubblico o privata con autorizzazione il lavoratore ha diritto a sottoscrivere con essa un contratto di ricollocazione.

Con tale contratto il lavoratore licenziato ha i seguenti diritti:
a) il diritto ad una assistenza appropriata alla ricerca di una nuova occupazione, programmata e strutturata da parte dell’Agenzia per il Lavoro;
b) il diritto della realizzazione da parte dell’agenzia stessa di iniziative di ricerca, addestamento, formazione o riqualificazione professionale. Accanto a questi diritti il lavoratore assume il dovere di porsi a disposizione e di cooperare con l’Agenzia nelle iniziative da esse predisposte.

L’ammontare del “voucher” è proporzionato in relazione alla difficoltà di occupabilità dell’interessato e l’agenzia potrà incassare l’ammontare del “voucher” solo a seguito del “risultato ottenuto”; tale risultato sarà definito dal decreto legislativo attuativo della legge n 183/2014 in tema di politiche del lavoro.

Mancano ancora, come si nota, elementi importanti per un’analisi completa dell’istituto, in particolare gli importi minimi e massimi, i dettagli operativi, i criteri per la fondamentale profilazione del lavoratore, la determinazione dei quali saranno i “risultati” ottenuti e che permetteranno alle agenzie di incassare dall’Inps l’importo del “voucher”.

E’ sicuramente affascinate il criterio del pagamento a risultato del soggetto che svolge le politiche attive in favore del lavoratore. Tuttavia la ricostruzione delle politiche del lavoro in questi termini, soprattutto se le azioni di supporto al lavoratore sono affidate in via esclusiva alle agenzie per il lavoro non appare soddisfacente. La ragione è molto semplice: si prevede la remunerazione solo a risultato perché si da per scontato che i costi “di processo” (l’accoglienza, il colloquio iniziale, la sottoscrizione del contratto) l‘agenzia li sostenga comunque sicchè il “rischio di impresa” delle attività preparatorie alla ricollocazione sia ridotta al minimo.

In effetti le cose non stanno in questi termini. Le agenzie sono chiamate a svolgere la propria funzione nell’ambito di un mercato ristretto quello cioè della propria clientela. La realizzazione di attività di processo finalizzate alla ricollocazione è remunerativa solo nella misura in cui esista elevata possibilità di ottenere dall’azienda cliente la remunerazione derivante dalla somministrazione oppure dalla ricerca e selezione.

Pertanto, una siffatta normativa porterà che le agenzie saranno portate a rivolgere le proprie attenzioni ai lavoratori a più elevata potenzialità di ricollocazione in base ovviamente alle rete di relazioni e di clienti di ciascuna agenzia.

Pertanto sarebbe più corretto affermare che con la legge delega di recente introduzione si introduce ufficialmente il concetto che il lavoratore paga per la ricerca di lavoro. Solo che invece di pagare il lavoratore, sarà lo Stato ad erogare alle Agenzie il finanziamento.

Un simile sistema non potrà mettere i lavoratori disoccupati al riparo da possibili atteggiamenti speculativi, volti a privilegiare contratti di ricollocazione rivolti ai lavoratori con profili di ricollocazione sostanzialmente facili, in modo da azzerare quanto più possibile il costo di processo e massimizzare la remunerazione al risultato.

Ciò ovviamente, oltre a creare disparità di trattamento fra i lavoratori disoccupati e in attesa di ricollocazione, non ha molto a che vedere col sistema di politiche attive per il lavoro che abbinato al sistema di protezione del lavoratore discendente dalla Costituzione dovrebbe avere carattere universale.

L’universalità sancita dalla Costituzione in merito alla protezione del lavoratore risulta disattesa anche laddove l’art 11 dello schema di decreto attuativo sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti prevede che il criterio del contratto di ricollocazione si applica solo ai lavoratori illegittimamente licenziati, lasciando fuori i rimanenti.

Una riforma quella del Governo Renzi ancora poco dettagliata, non esauriente e sfuggevole che potrebbe facilmente favorire la nascita di ulteriore attività criminose all’interno del mercato del lavoro che vedrebbe ancora vittime i disoccupati.

Cristina Guelfi

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