La Fondazione Di Vittorio – CGIL ha presentato una ricerca che incrocia i dati Istat sulla demografia italica ed il mercato del lavoro del Bel Paese, indicando quale potrebbe, e dovrebbe, essere la situazione della Penisola nel 2042.
Purtroppo, com’è ormai da anni denunciato, l’Italia vive una situazione demografica assai complessa e fortemente negativa, con poche nascite e aumento consistente degli anziani inattivi. La Fondazione Di Vittorio prova a fotografare il Paese per come dovrebbe essere nel 2042, rebus sic stantibus.
Le ripercussioni della demografia sul mercato del lavoro sono dirette e facilmente intuibili: meno persone in età da lavoro significa meno produttività, meno entrate fiscali, quindi meno assistenza statale (politiche di welfare) e impatto anche sulle pensioni, alla cui elargizione contribuiscono inevitabilmente i redditi attivi.
L’Italia, in tal senso, sta andando incontro a tutte queste problematiche, visto il calo vertiginoso della natalità, l’aumento consistente della speranza di vita, la poca immigrazione (soprattutto qualificata) e la non indifferente emigrazione ad alto valore umano.
Secondo l’istituto che ha realizzato lo studio, fra vent’anni si avranno 6.8 milioni di lavoratori in meno, o meglio di persone in età da lavoro (15 – 64 anni); all’opposto, coloro che si trovano nelle fasce inattive della popolazione, ossia gli under 15 e gli ultra sessantacinquenni, aumenteranno di 3.8 milioni, soprattutto tra gli anziani. Conseguentemente l’età media della popolazione italiana è destinata ad alzarsi di 4 anni.
Nonostante ciò altri dati di oggi, base inevitabile per offrire delle stime future, sottolineerebbero un aumento del tasso di occupazione italico dello 0.8%. Eppure, come spiega il direttore della Fondazione Di Vittorio – CGIL Fulvio Fammoni, l’ampliamento della forza lavoro attualmente attiva è il risultato della variazione dei parametri sui quali si fonda il calcolo percentuale.
Tra febbraio 2020 e maggio 2022 gli occupabili (fascia 15 – 64 anni) sono diminuiti di circa 600 mila unità, mentre gli occupati (la forza lavoro attiva) sono scesi di 50 mila individui. Di conseguenza, l’aumento del tasso di occupazione deriva da una perdita di occupati inferiore rispetto alla perdita generale degli occupabili. In altre parole, la percentuale di gente che lavora è aumenta perché è diminuito il numero totale di individui in età da lavoro, quindi statisticamente i lavoratori attivi sono di più.
Secondo Tania Scacchetti, segretaria confederale CGIL, questi valori impongono alla politica una seria riflessione che conduca a risposte concrete da presentare in campagna elettorale per invertire un trend che potrebbe portare al deterioramento del mercato del lavoro e del sistema previdenziale e pensionistico nazionale, innescando una vera e propria bomba sociale.
I temi su cui poter intervenire sono vari per il sindacato, ma innanzitutto i partiti dovrebbero formulare proposte organiche e strutturali riguardo il sostegno alla natalità e le politiche migratorie.
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