Quali sono le posizioni dei vari schieramenti sulle pari opportunità? Ecco una comparazione fra i programmi politici in vista delle elezioni del 4 marzo. L’Istituto europeo per l’uguaglianza ha realizzato un indice che misura i risultati sulle pari opportunità dei paesi che compongono l’Unione Europea. Difficile da credere, ma a quanto sembra, l’Italia è il paese europeo che ha registrato i maggiori progressi (+12,9 punti) negli ultimi dieci anni. Ma d’altra parte, il nostro paese, con i suoi 62,1 punti, resta comunque al 14esimo posto tra gli stati dell’Ue l’Italia. Dietro di noi ci sono solo i paesi dell’Europa orientale.
Non è un caso, visto il posto che è stato dato al lavoro e alle pari opportunità per le donne nei programmi elettorali dei partiti che si confronteranno nelle urne il 4 marzo. Con qualche piccola differenza.
IN SINTESI – Il M5s prevede misure per contrastare la differenza di retribuzione tra uomini e donne – con proposte a volte un po’ cervellotiche. Per il resto prevede, come gli altri partiti, misure a favore della donna solo in quanto madre.
Le pari opportunità per il M5S si concentrano sul tema lavoro. Con un linguaggio un po’ da iniziati, i pentastellati prevedono la creazione di “sistemi di audit interni” – L’audit è un sistema di gestione che serve per capire se nelle varie aree ed attività di un “sistema aziendale” vengono rispettate determinate procedure – per poter “prevenire e contrastare le disparità di genere e incentivare buone pratiche che le evitino”. Un’altra proposta sul tema è la creazione di premi per le aziende che rimuovono le discriminazioni tra uomini e donne sul lavoro.
Per il resto si punta ad agevolare il ritorno al lavoro delle donne una volta diventate madri: detrazioni fiscali che permettano l’assunzioni di colf e badanti – più probabilmente che diano un po’ di contributo al momento di pagare -, un generico piano per lo sviluppo di servizi socio-educativi ed asili nido, l’innalzamento dell’indennità di maternità dall’80 al 100%, oltre ad un premio di 150 euro al mese, per 3 anni, a maternità conclusa, per le donne che rientrano al lavoro.
IN SINTESI – Il Pd è l’unico partito ad inserire le pari opportunità tra i punti del programma. Le sue proposte hanno diversi punti di contatto con quelle del M5S – l’unica differenza sostanziale sono i provvedimenti sulla violenza di genere, non contenuti nel programma dei pentastellati.
Accanto alla lotta all’omofobia, il programma del partito democratico punta alla parità di genere sulle retribuzioni, per realizzare questo obiettivo puntano a creare “un meccanismo di valutazione e certificazione della parità di salario”. Le aziende con più di 50 dipendenti dovranno far monitorare da un organo esterno le retribuzioni ogni quattro anni. Difficile capire come questa misura possa contribuire a ridurre il divario di retribuzioni tra uomini e donne senza un sistema di premi per le aziende che attuano comportamenti virtuosi.
Come tutti gli altri partiti vengono previste misure per cercare di favorire il rientro al lavoro delle donne dopo la maternità, come “rendere obbligatoria la concessione del lavoro agile (smart work)” per le neomamme, “allargare l’offerta pubblica di asili” e riordinare il barocco sistema dei sussidi familiari per arrivare ad un sostegno universale alle famiglie rappresentato da una detrazione Irpef mensile di 240 euro per i figli fino ai 18 anni – di cui ho già scritto nel post dedicato al sostegno al reddito nei programmi elettorali.
Tra i punti del programma del Pd c’è anche il “rifinanziamento del fondo per i centri antiviolenza e per i centri per le vittime della tratta delle donne”, e si prevede pure che le forze dell’ordine ed il personale sanitario siano oggetto di una formazione specifica sulla violenza di genere.
IN SINTESI – Il programma elettorale di Liberi e Uguali è quello che contiene più affermazioni di principio sulle pari opportunità ed il lavoro delle donne. Non brilla però – ed è un eufemismo – per concretezza.
Il programma di Liberi e Uguali contiene diverse affermazioni di principio sul lavoro e le pari opportunità per le donne, come “la piena affermazione a tutti i livelli della libertà, della pari dignità e delle pari opportunità”, l’intenzione di annullare “il divario salariale tra uomini e donne”, “la promozione del diritto alla salute delle donne”, la necessità di condurre “un’azione determinata e continua di contrasto alla violenza nei confronti delle donne”, e “di una maggiore presenza femminile nella politica, nel mondo economico, nelle professioni”. Scarse se non assenti le misure concrete – ma anche gli altri non brillano in questo campo. Si fa un generico riferimento ad “un piano straordinario per l’occupazione femminile”.
IN SINTESI – La Lega prevede di intervenire per colpire la violenza di genere con, tra le altre cose, un inasprimento delle pene. Per il resto, il centrodestra vede la donna solo come moglie e madre.
La Lega prevede una “pena elevata”, “che venga effettivamente scontata”, per chi si macchia di femminicidio – e l’attuazione e l’integrazione del piano strategico nazionale sulla violenza maschile 2017-2020 – potete trovare il documento qui – che deriva da un piano adottato dal ministro delle pari opportunità – da non crederci – del governo Renzi.
L’unico riferimento alle pari opportunità nel programma di Forza Italia è rappresentato da un paio di righe in cui si fa riferimento a temi come la “difesa delle pari opportunità”, un “riconoscimento pensionistico a favore delle madri”, e la “tutela del lavoro delle giovane madri”.
La donna, nel programma comune del centrodestra, conta soprattutto – direi solo – quando diventa una madre, perché prevede un “Piano straordinario per la natalità con asili nido gratuiti e consistenti assegni familiari più che proporzionali al numero dei figli”.
Alla fine, il futuro delle pari opportunità in Italia dipenderà in buona parte dalla presenza femminile nel prossimo parlamento. Nel 2013 sono state elette 198 Deputati donne, pari al 31,4% dei componenti della camera, e 92 Senatori donne, pari al 29,2% dei componenti della camera alta. La composizione per genere dimostra la persistente prevalenza dei maschi nel parlamento – anche se le elezioni politiche del 2013 hanno garantito la maggior presenza femminile della storia repubblicana.
Le quote rosa introdotte dal Rosatellum, avrebbero dovuto garantire una composizione più equilibrata dei due rami del Parlamento attraverso l’imposizione di due regole: ciascuno dei due sessi non può rappresentare più del 60% dei candidati nei collegi uninominali, o più del 60% e dei capilista nei collegi proporzionali plurinominali.
Le norme introdotte, secondo uno studio pubblicato in questi giorni su LaVoce.info, sarebbero state rispettate sulla carta ma sostanzialmente eluse. Le segreterie dei partiti in lizza il 4 marzo sarebbero usciti ad arrivare ad una composizione delle candidature che potrebbe portare ad un nuovo parlamento composto da molti più uomini di quello uscente.
Come hanno fatto? Semplice, assegnando i collegi sicuri agli uomini e quelli perdenti alle femmine, e inserendo nei posti sicuri nel listino proporzionale donne che verranno con ogni probabilità elette nell’uninominale. Al loro posto verranno eletti degli uomini.
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