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Le auto che hanno cambiato la storia: Volkswagen Maggiolino

Il Maggiolino per diversi decenni fu noto semplicemente come “la” Volkswagen. Soprattutto perché era l’unico modello in produzione; ma anche quando la casa di Wolfsburg cominciò a costruirne altri, quel veicolo dalle forme arrotondate e curiose costituiva nell’immaginario popolare il biglietto da visita principale della Germania (Ovest). Ne hanno costruite talmente tante che ancora oggi non è raro trovarne qualcuna in circolazione, in Europa come in America. A tutti gli effetti un’auto che ha cambiato la storia.

IN PRINCIPIO FU PORSCHE

La nascita del Maggiolino e le caratteristiche alla base del suo successo duraturo ruotano prevalentemente intorno ad un uomo geniale: Ferdinand Porsche. Colui che in seguito avrebbe dato il nome ad una delle case più prestigiose al mondo, fin dagli anni Venti aveva il pallino di costruire un’auto economica che potesse motorizzare la Germania. Ma erano sempre mancati i finanziamenti necessari.

Nel 1934 egli incontrò Adolf Hitler, da poco tempo diventato Cancelliere, il quale aveva tra i suoi progetti proprio quello. Allo stesso modo di Benito Mussolini in Italia. Non che i due dittatori fossero particolarmente preveggenti o ferrati in materia industriale. Semplicemente l’automobile era uscita dalla fase di giocattolo per ricchi e stava conquistando sempre di più il cuore e l’immaginazione della gente comune; inoltre in quegli anni, grazie soprattutto alla vera rivoluzione industriale introdotta dalla Ford Modello T che, grazie alla catena di montaggio, aveva abbattuto i costi di produzione, i tempi erano quasi maturi per il passo successivo. Un’auto economica avrebbe incontrato l’entusiasmo delle masse. E una popolazione soddisfatta è più facile da controllare e manipolare: questo era l’obiettivo principale di Hitler e Mussolini.

Così Porsche si mise al lavoro. I paletti messi dal Führer erano stretti: prezzo di 1.000 marchi, 5 posti (due adulti davanti e tre bambini dietro), velocità di almeno 100 Km/h per sfruttare le Autobahnen, le autostrade la cui costruzione era in pieno svolgimento; inoltre la Volkswagen, l’auto del popolo, così la chiamò Hitler, avrebbe dovuto consumare non più di 7 litri per 100 Km. Il problema era soprattutto quello dei 1.000 marchi. L’auto più economica del periodo, una Opel, ne costava almeno 1.500. Un operaio guadagnava da 110 a 130 marchi al mese.
I prototipi definitivi furono pronti nel 1938. Fin dall’inizio l’auto aveva quelle caratteristiche che tutti conosciamo. Forme molto arrotondate, motore posteriore, un pallino di Porsche sperimentato con molto successo nelle corse: la sua Auto Union dominò i gran premi del 1936.

Il propulsore della Volkswagen inoltre aveva altre soluzioni innovative, come la disposizione boxer (cilindri orizzontali e contrapposti) e il raffreddamento ad aria, un altro marchio di fabbrica della futura Porsche.
Tuttavia non era tutta farina del sacco di Ferdinand. Infatti queste soluzioni tecniche e parte del design furono prese dalla cecoslovacca Tatra V570, un prototipo di quegli anni. Dopo la guerra la Tatra fece causa alla Volkswagen per plagio. La casa tedesca pagò un risarcimento nel 1961.

Nel 1938 furono avviati i lavori per costruire la fabbrica. Poiché il prezzo, fissato a 990 marchi, era ancora molto alto per le possibilità degli operai, fu adottato un sistema di finanziamento rateale tramite sottoscrizione. L’acquirente avrebbe versato 5 marchi alla settimana per 4 anni, poi avrebbe avuto l’auto. I fondi raccolti furono notevoli e proseguirono anche durante la guerra. Buona parte venne usata proprio per costruire la fabbrica di Wolfsburg.
Il nome iniziale dell’auto non fu Volkswagen ma KdF-Wagen, cioè Kraft durch Freude Wagen, in tedesco auto della forza attraverso la gioia. Era un’altra idea di Hitler; Porsche non voleva, ma non si poteva dire di no al Führer. Nel 1939 il modello fu presentato al pubblico al salone di Berlino. Ma di lì a poco Hitler avrebbe precipitato il pianeta nel secondo conflitto mondiale, così l’auto venne convertita in mezzo militare.

DOPO LA GUERRA NACQUE LA VOLKSWAGEN

Saltiamo gli anni bui e arriviamo al 1945. Germania occupata dalle forze alleate e divisa in quattro. Fabbrica di Wolfsburg semidistrutta. La zona era sotto il controllo degli inglesi e si pensò di radere tutto al suolo. Tuttavia Ivan Hirst, ufficiale responsabile del luogo ed esperto di automobili (prima del conflitto aveva lavorato come ingegnere alla General Motors), convinse le autorità militari britanniche a ricostruire la fabbrica.
La nuova Volkswagen avviò la produzione nel dicembre del 1945. Inizialmente le auto furono tutte destinate al personale militare. Dal 1948 cominciò la vera vendita al pubblico. Il successo fu immediato. Nello stesso anno uscì anche la versione Cabriolet. Nel 1949 cominciarono le esportazioni, prima in Europa, poi in America.
Fu sempre nel 1949 che la Volkswagen, fino ad allora chiamata semplicemente Typ 1 poi Typ 2, divenne Maggiolino (Käfer in tedesco, Beetle in inglese), grazie ad un giornalista del New York Times. Nel 1955 la fabbrica sfornò già il milionesimo esemplare, per l’occasione tutto dorato.

UN SUCCESSO PLANETARIO

Negli anni Sessanta il Maggiolino era già un fenomeno di costume ovunque; in particolare negli Stati Uniti diventò la macchina preferita dagli Hippies. Le ragioni del successo di quest’auto sono dovute in parte al design, in parte a quella robustezza che divenne leggendaria. Al punto che già nel 1954 la Volkswagen dichiarò di avere eliminato il rodaggio. Nel 1970 un ingegnere americano trovò nel deserto del Sahara un Maggiolino seppellito pochi mesi prima da una tempesta di sabbia. Girò la chiave d’avviamento e la macchina partì subito.

Nel 1972 il Maggiolino conquistò il record più prestigioso di tutti: con la produzione dell’esemplare numero 15.007.034 superò la Ford T e divenne l’auto più venduta di tutti i tempi. Ma il mondo stava cambiando e per la Volkswagen era necessario pensare al futuro. Serviva un modello nuovo. La casa tedesca chiamò Giorgetto Giugiaro e lui tirò fuori dal suo cilindro magico nientemeno che la Golf. Era il 1974, era nata la vera erede del Maggiolino, quella che ne avrebbe poi addirittura superato le vendite.

A Wolsburg si doveva fare posto alla Golf, così gli impianti del Maggiolino furono spostati alla fabbrica di Emden, dove la produzione continuò fino al 1978, arrivando all’esemplare numero 16.255.000.
Ma la storia non finì qui. Il Maggiolino emigrò in Messico, dove la sua produzione proseguì imperterrita per molti anni ancora, mentre nel 1986 terminò quella in Brasile. Nel 2003, quando da quattro anni era in vendita il Nuovo Maggiolino, terminò per sempre la produzione del modello storico. L’ultimo esemplare uscito dall’impianto messicano portava il numero 21.529.464.

Roberto Speranza

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