Beppe Grillo, il deus ex machina (assieme a Gianroberto Casaleggio) di quello che era, almeno agli inizi, il MoVimento 5 stelle, ieri, a Roma, si è preso la scena, rubandola sia al presidente dei pentastellati, Giuseppe Conte, sia alla segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, che in realtà in piazza è scesa solo per pochi minuti e quasi sicuramente per riallacciare, stavolta per davvero, i rapporti con gli ex alleati in ottica anti centrodestra, o meglio di un nuovo campo largo che probabilmente vede fuori sia Italia Viva di Matteo Renzi, sia Azione di Carlo Calenda.
Ecco, questi tre partiti politici, assieme anche a una parte del Pd, che in questo caso è stato rappresentato dall’ex capogruppo alla Camera Debora Serracchiani – che si è limitata a dire che l’intervento di Grillo non faceva ridere -, hanno leggermente travisato, o forse è meglio dire che hanno estrapolato male le parole del comico genovese che, nel suo solito one man show, ha parlato sia di brigate, sia di passamontagna, invitando i 5mila a reagire.
“Fate le brigate di cittadinanza – ha detto Grillo a chi è sceso in piazza a manifestare contro il precariato – mettetevi il passamontagna e di notte, senza farvi vedere, fate i lavoretti, reagite!“. In pratica, nessun riferimento alla violenza, come hanno tuonato da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e persino Maurizio Lupi, quarta forza della maggioranza che ha rosicchiato, e rosicchia tuttora appena un 1% di consensi, e che non ha perso occasione per andare contro i democratici. Nessun riferimento neanche alle “organizzazioni eversive che hanno scritto tra le pagine più sanguinose della Repubblica“, per prendere a prestito le parole di Enrico Borghi, passato dal Pd alla causa dell’ex premier fiorentino. Solo, ancora una volta, il fondatore e l’ideologo del MoVimento 5 stelle che ha urlato, spadroneggiato e forse ha evitato che di questa serata non si ricordasse che la corsa del leader pentastellato, che ha anche twittato il suo malcontento.
In effetti, e nei fatti, l’unica cosa di cui può ritenersi colpevole il comico, che nel suo tour ha più volte fatto riferimento alle stesse cose che hanno acceso l’ira del centrodestra e di parte delle opposizioni, è proprio quella di aver oscurato il motivo per cui Conte e tutto il suo movimento hanno organizzato la manifestazione romana – il precariato, certo, ma anche una lotta al governo di Giorgia Meloni -, e forse in nome di una simpatia che tra i due non è mai scoccata. Perché le vere parole non lusinghiere, anche se molto tra le righe, Grillo le ha indirizzate proprio al numero uno dei grillini.
L’Avvocato del popolo, omaggiato a mo’ di santino dalla piazza, è soprattutto il portavoce di un movimento diverso da quello che il fondatore aveva creato e immaginato agli inizi. E non è un caso che, ha detto, Grillo “i pullman non li ho mai voluti, mentre stavolta vi siamo andati a raccattare nelle bocciofile e nei centri anziani“, non è un caso se i baci li ha mandati a Chiara Appendino, che i rumors danno come prossima leader dei pentastellati e che all’interno del partito c’è da (quasi) sempre (sicuramente da più tempo rispetto all’ex presidente del Consiglio). E, ancora, non è un caso se nel retropalco si è coccolato Virginia Raggi, un’altra di quelle che Conte non ci è mai andata troppo a nozze.
Non lo è, e non lo sono, perché dal 2009 a ora, in quasi 14 lunghi anni, i Cinque stelle sono cambiati tantissimo, mentre lui è rimasto sempre lo stesso. Quello che voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, che non candidava pregiudicati o indagati e imputati, quello che non si sarebbe mai alleato con nessuno e che adesso intravede dal suo palco la leader di un partito che, in diretta streaming – perché all’epoca non si poteva andare neanche in televisione -, aveva quasi umiliato.
Ha rubato la scena a questo, Grillo, a una futura nuova alleanza che dovrebbero nascere con presupposti differenti rispetto a quella fatta con Enrico Letta, a delle istanze che potrebbero e sono anche le sue. Lo ha fatto per dare un segnale che lui, a differenza di molti altri, c’è ancora, è vivo, ma difficilmente riporterà il movimento a come lo aveva pensato nella sua testa con i primi Vaffa day (e la v maiuscola del nome è dovuta proprio a questo), con i primi meet up, con il suo blog, che ora accoglie solamente dei deliri di onnipotenza, gli stessi con cui ha allietato i 5mila di Roma, e per cui è stato travisato, o forse sarebbe meglio dire strumentalizzato.
Perché questo è stato fatto: si è estrapolata una frase da un discorso di un quarto d’ora, e non si è contestualizzata, anzi si è posto l’accento su due sostantivi che avrebbero (come è successo poi) potuto creare un caso, e si sono esasperati, e lui non si è neanche sottratto, postando poi sui suoi social un uomo in passamontagna, con la maglia del MoVimento 5 stelle e un cartello in mano con scritto: “Brigata di cittadinanza, reparto d’assalto“.
Tutto questo, tutto quello che è successo e che ha portato a quello che vi abbiamo raccontato, forse, però, è il prezzo da pagare per non essere mai sceso in campo in prima persona, per aver delegato a qualcun altro il compito arduo di governare l’Italia, e senza i numeri per poterlo fare (da soli, si intende). È il prezzo da pagare per aver provato a cambiare le cose senza esperienza (la maggior parte delle volte). Rimane solo da capire da che parte andranno i proseliti, i simpatizzanti, quelli che ci sono sempre stati e i nuovi, che il comico ha detto arriveranno, ma anche quelli che sono saliti sul carro del vincitore quando si era primo schieramento.
Al momento, sicuramente, la manifestazione contro il precariato, però, ha fatto più male al Partito democratico e alla sua segretaria, che si pensava dovesse risollevarlo dopo un periodo, quello post elettorale, non troppo roseo. Ma questa è un’altra storia, e c’entra anche quello che è stato detto sulla guerra in Ucraina da Moni Ovadia, e non solo.
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