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Che siano balle, beffe o burle, le bugie storiche che tutti credono vere sono davvero tante e tutte, dalle bufale più celebri alle leggende metropolitane, sono raccontate da internet, testimonial perfetto di un mondo che, a quanto pare, si regge sulla panzana. E già, perché, come ha scritto qualcuno, basta guardarsi intorno per capire che la verità ha mille facce: non importa che tutte siano vere, l’importante è che siano ‘credute‘ tali.
Molti luoghi comuni, credenze popolari, leggende e celebri falsi storici, si sono talmente radicati nell’immaginario collettivo che, nonostante indagini scientifiche e ricerche archeologiche li abbiano ampiamente smentiti, continuano a resistere al passare del tempo, sempre più forti, sempre più longevi.
A ciò si aggiunge lo straordinario potere delle nuove tecnologie, in primis la rete, che irrompono con prepotenza nella nostra quotidianità dando valore alle fandonie che si moltiplicano assumendo dimensioni planetarie: nascono così le bugie globali ‘vere‘. Non che prima non ce ne fossero, anzi. Solo che oggi, grazie (o a causa, dipende dai punti di vista) a internet, probabilmente se ne creano e se ne consumano molte di più. Ma quali sono le bugie storiche più famose? Guardiamone qualcuna.
La cintura di castità: i crociati costringevano davvero le mogli ad indossarla?
E’ convinzione ‘storica’ di molti che i cavalieri medioevali in partenza per le crociate portassero con sé la chiave della famosa cintura, con la quale pensavano bene di assicurare l’illibatezza delle proprie mogli. Le quali, a loro volta, potevano anche decidere spontaneamente di indossarla, per evitare stupri e quindi nascite di figli illeggittimi.
In realtà si tratta di due falsità storiche: una serie di analisi sulle cinture di castità, infatti – tradizionalmente attribuite all’XI-XIII secolo – hanno rivelato che le stesse sono, invece, di epoca successiva. Furono cioè realizzate nell’Ottocento, quando andava consolidandosi la diceria sui cavalieri in partenza per le crociate. Molte, inoltre, sono apribili e contengono al loro interno delle scritte oscene: ciò lascia pensare che venissero utilizzate per giochi erotici.
Furono gli schiavi a costruire le famose piramidi di Giza?
Un altro dei luoghi comuni più duri a morire riguarda l’antico Egitto e le migliaia di schiavi che, a suon di frustate, trasportavano i pesanti blocchi che servivano a costruire le famose piramidi. Gli scavi archeologici nella piana di Giza, invece, hanno dimostrato che non si trattava di schiavi, bensì di veri e propri operai, con tanto di salario.
Riportando alla luce le tombe dei manovali che 4.500 anni fa parteciparono alla grandiosa costruzione, gli scavi hanno dimostrato che i grandi progetti di interesse nazionale – come le piramidi, appunto, o le dighe – venivano affidati alla popolazione locale, tenuta a lavorare obbligatoriamente quando, a causa della piena del Nilo, i campi non erano coltivabili. Ma non solo: lavorare per l’ultima dimora del faraone garantiva, sì, un salario, ma anche un ottimo vitto.
Come nacque allora questa convinzione? Presumibilmente a causa degli storici greci, che non riuscivano ad immaginare la costruzione di edifici così imponenti senza l’impiego di schiavi.
La caccia alle streghe e il Medioevo
Tra le credenze più longeve, radicate da secoli nell’immaginario collettivo, c’è quella che ritiene la caccia alle streghe una persecuzione tipicamente medievale. I dati storici, in realtà, dicono ben altro: l’accanimento violento verso le donne sospettate di compiere pratiche diaboliche iniziò solo alla fine del Medioevo e raggiunse il culmine tra il Cinquecento e il Seicento, cioè in pieno Rinascimento.
Fu proprio durante i conflitti tra cattolici e protestanti che vennero processate 3 milioni di persone, di cui la maggior parte donne, mentre nei ‘secoli bui’ l’Inquisizione fu implacabile soprattutto contro gli eretici, molti dei quali, non avendo abiurato, finirono al rogo. Le ‘streghe’, invece, finirono nel mirino solo alla fine del Quattrocento e per tutti i due secoli successivi: l’ultimo rogo di strega, infatti, fu consumato in Baviera nel 1756, in pieno Illuminismo.
La mela di Adamo ed Eva
Concludiamo questa breve rassegna di bufale e bugie storiche che tutti credono vere – altre nella fotogallery qui sopra – con una delle credenze popolari più famose, legata ad una delle tradizioni storico-religiose più importanti di sempre: Adamo ed Eva ed il frutto del peccato. La Bibbia infatti racconta che i due, contravvenendo alla proibizione di Dio, mangiarono il frutto dell’albero della Conoscenza, commettendo così il ‘peccato originale’. Ma di che frutto si tratta? La tradizione parla di una mela ma nella Bibbia non è specificato: alcuni infatti sostengono si tratti di un fico – visto che, appena si accorsero di essere nudi, Adamo ed Eva ‘intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture‘ – altri di uva, altri ancora di un cedro o di un melograno. Fu durante il Medioevo che cominciò a diffondersi la tradizione del melo: presumibilmente per un’assonanza linguistica, visto che in latino malum indica sia ‘male‘ che ‘mela‘. In questo modo l’albero della Conoscenza del bene e del male, può essere diventato semplicemente un melo.
Questa interpretazione, o svista, non solo ebbe molta fortuna nei secoli successivi – famosa l’espressione ‘pomo d’Adamo‘ per indicare la sporgenza di cartilagine sul collo degli uomini dopo la pubertà – ma fu aiutata anche da altre tradizioni: la simbologia della mela è presente, ad esempio, nei miti greci con Paride che la offre in premio ad Afrodite designandola come la più bella dell’Olimpo; nell’iconografia medievale dove, accanto al melograno, è simbolo di fertilità; nella cultura svizzera, con il leggendario eroe nazionale Guglielmo Tell che dovette colpire con una freccia una mela posta sulla testa del figlio. Ma non solo: il mito della mela continua ancora oggi, come simbolo di New York, della casa discografica fondata dai Beatles e dell’Apple: anche in quest’ultimo caso, le mela è intesa come simbolo di conoscenza.
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