Il dramma dei detenuti nelle carceri è una questione complessa e multifattoriale che affligge molti paesi in tutto il mondo. Le condizioni all’interno degli istituti penitenziari spesso sono estremamente difficili e tali da violare i diritti umani fondamentali. In tale direzione, uno dei principali problemi che affrontano i detenuti è il sovraffollamento.
Molti sistemi carcerari sono infatti oberati ed incapaci di gestire il numero crescente dei reclusi. Non è certamente un caso che si tratti di una problematica in grado di determinare condizioni insalubri, violenze e abusi, mancanza di privacy e limitate opportunità di riabilitazione per i condannati.
I fatti di Terni non fanno altro che avvalorare questa ricostruzione. È infatti notizia di questa mattina come un detenuto sia morto la scorsa notte dopo aver appiccato un incendio nella propria cella. Le indagini condotte dalla polizia di Terni unitamente alla Procura della Repubblica sono ora volte ad accertare che la vittima sia effettivamente morta in conseguenza dell’intossicazione. L’uomo si chiamava Abdelilah Ait El Khadir, aveva trentacinque anni ed era originario del Nordafrica. Si trovava ristretto nel carcere di Terni ed era in attesa di rispondere di una serie di reati a lui contestati. Tutti afferenti al traffico di stupefacenti.
“Era stato assegnato qui dal provveditorato della Toscana e l’altro ieri aveva avuto un’udienza in Liguria. Il Dap mandi subito una visita ispettiva e accerti tutto ciò che denunciamo da mesi”. Queste le parole pronunciate dal Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, dopo quanto verificatosi nella casa circondariale di vocabolo Sabbione.
Il sovraffollamento carcerario è un problema che torna troppo spesso agli onori della cronaca nel nostro Paese. Le carceri italiane sono spesso oberate da un numero di detenuti superiore alla loro capacità contenitiva. Comportando, come un effetto domino, situazioni invivibili per i detenuti. Non si fa fatica, quindi, a ragionare in termini di sovraffollamento, scarsa igiene, accesso limitato ai servizi sanitari e carenze nelle risorse per il sostentamento quotidiano. Senza contare che nelle criticità di cui si discute rientrano la mancanza di un quantitativo di posti letto sufficiente e l’inadeguatezza degli apparati vigenti. Troppo spesso obsoleti ed inadeguati. Ma tali criticità includono invero anche l’assenza di un personale penitenziario debitamente formato. Comportando così un’inevitabile difficoltà nell’assicurare a tutti i detenuti l’accesso a servizi essenziali come l’assistenza sanitaria, la formazione e la rieducazione. Quest’ultima imprescindibile per il corretto reinserimento in società. Ma c’è di più. Anche l’accesso all’istruzione e alla formazione professionale è spesso limitato. E ciò non fa altro che portare a un circolo vizioso di recidiva, in cui i detenuti rilasciati tornano facilmente alla criminalità a causa della mancanza di prospettive e opportunità.
Del resto, sono anni che l’Associazione Antigone, un’organizzazione italiana no profit costituita a tutela dei diritti umani, monitora da vicino la situazione delle nostre carceri. E lo fa portando ripetutamente alla luce, attraverso i suoi rapporti cadenzati, come in particolare il sovraffollamento sia ancora un problema serio e nient’affatto che risolto nella quasi totalità delle strutture penitenziarie italiane. Lo stesso sovraffollamento che sta alla base dei suicidi e che sfocia in episodi come quello verificatosi nel carcere di Terni. Dove, come detto, un detenuto è morto dopo aver appiccato il fuoco nella sua cella.
Negli anni l’Italia ha adottato diverse misure nel tentativo di affrontare il sovraffollamento carcerario e migliorare le condizioni dei detenuti.
Lo ha fatto promuovendo l’applicazione di misure alternative alla carcerazione preventiva, approvando legislazioni per ridurre la durata dei procedimenti penali e l’implementazione di programmi di reinserimento sociale per i detenuti. Ma questo non è bastato. E non è neppure servito ad impedire le sanzioni in sede europea. Difatti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte condannato l’Italia per le condizioni detentive qualificate come inumane e degradanti. Ed in effetti quanto accaduto a Terni non fa che confermare quanto rilevato in sede comunitaria.
Il sovraffollamento, le condizioni di vita difficili, l’isolamento, la mancanza di assistenza sanitaria adeguata e l’alto livello di stress sono solo alcuni dei fattori che possono contribuire al degrado delle condizioni di vita e all’aumento dei suicidi nelle carceri. In questo senso, gli individui che entrano nel circuito carcerario non di rado presentano di per sé vulnerabilità psicologiche o emotive. Di conseguenza, non è difficile comprendere come l’esperienza del carcere possa aggravare fino ad un punto di non ritorno tali condizioni. Una tendenza confermata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha sottolineato come i detenuti siano maggiormente gravati dai disturbi della salute mentale rispetto alla popolazione generale.
Indubbiamente, negli ultimi anni, sono stati fatti sforzi per migliorare la prevenzione del suicidio, aumentare la formazione del personale penitenziario sull’identificazione dei segnali di pericolo e migliorare l’accesso a servizi di salute mentale per i detenuti. Ma ancora questo non è sufficiente. Pur dovendo prendere atto di come la riforma del sistema penitenziario sia una sfida complessa che richiede un approccio olistico.
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