Al rientro dalla sosta per le Nazionali, le curve (e il tifo) negli stadi italiani sono tornate a essere un problema non da poco per il calcio, e anche per il ministro dello Sport, Andrea Abodi. Se a Roma, i tifosi giallorossi hanno smesso di fare cori razzisti nei confronti di Dejan Stankovic dopo l’intervento di José Mourinho, a Napoli, che si appresta a vincere il terzo scudetto della sua storia, a finire nel mirino degli ultrà è il presidente Aurelio De Laurentiis.
Da una parte, quindi, due curve che hanno contestato, anche in una partita difficile come quella contro il Milan della squadra di Luciano Spalletti, le scelte del numero uno di rispettare quasi ossessivamente il divieto di portare allo stadio vessilli, bandiere e tamburi (tra gli oggetti meno ingombranti, per giunta), dall’altra i fischi di chi, invece, con queste contestazioni non è d’accordo.
Il derby di Roma, vinto dalla Lazio di Maurizio Sarri prima della sosta per le Nazionali, aveva lasciato il solito alone di polemiche per quanto riguarda il tifo organizzato. Alla partita godibile delle due squadre della Capitale, infatti, avevano fatto da contraltare, nell’ordine: un tifoso biancoceleste tedesco che si era presentato allo stadio Olimpico con una maglia inneggiante a Adolf Hitler, i cori, sempre dei laziali, antisemiti contro i giallorossi e, infine, uno striscione poco fraintendibile dei romanisti in Curva Sud con una caricatura di Benito Mussolini.
In due settimane di pausa, però, quel clima infuocato, che ha portato anche e spesso alle trasferte vietate (è successo ai tifosi dell’Eintracht Francoforte per gli ottavi di finale di Champions League contro il Napoli, che pure sono arrivati in Italia creando non pochi disagi, e succederà anche a quelli del Feyenoord per i quarti di finale contro la squadra di José Mourinho) e alla chiusura delle curve (è capitato, per ultima, alla Lazio che dopo i cori razzisti contro Samuel Umtiti a Lecce è stata squalificata per un turno), non pare essere cambiato, anzi, se è possibile, è diventato ancora più incendiario.
In ordine di tempo, a Roma, sempre allo stadio Olimpico, i tifosi giallorossi hanno preso di mira l’allenatore della Sampdoria, Dejan Stankovic (una vecchia conoscenza pure dei biancocelesti), per le sue continue polemiche nei confronti dell’arbitro fischiandolo, ma soprattutto riservandogli dei cori a cui lui ha risposto come un signore, e con lui anche il tecnico romanista. Allo “zingaro” gridato dagli spalti dai tifosi di casa, infatti, ha risposto quasi subito lo Special One chiedendo ai suoi di smettere – e lo hanno ascoltato -, e poi lo stesso serbo, che con Mourinho, e all’Inter, ha vinto un triplete, ed è quindi un amico – “Sono fiero di essere uno zingaro“, ha detto l’allenatore blucerchiato quando è finita la gara che ha perso per 3-0.
A Napoli, invece, all’interno di quel Diego Armando Maradona, un tempo San Paolo, a Fuorigrotta, che per tutta la stagione è stato un fortino per gli undici di Luciano Spalletti, lanciati più come mai alla conquista del terzo scudetto e in piena corsa anche per la finale di Champions League del 10 giugno, contro il Milan di Stefano Pioli, che sarà anche la prossima avversaria ai quarti della coppa dalle grandi orecchie, il problema sono stati i tifosi partenopei che hanno litigato tra di loro.
Nella prima serata senza Victor Osimhen, il bomber della squadra azzurra, i suoi compagni, quelli scesi in campo soprattutto, hanno dovuto fare a meno anche del sostegno di 50mila sostenitori che, invece, mentre si compiva l’unica vera disfatta del Napoli – ha perso 4-0 -, hanno contestato il presidente Aurelio De Laurentiis.
Già in estate, a mercato ancora aperto, gli ultrà partenopei non avevano visto di buon occhio la campagna acquisti del patron azzurro – in tandem con il direttore sportivo, Cristiano Giuntoli -, la cavalcata trionfale, poi, ha messo a tacere molte critiche, che ora sono tornate a fare capolino tanto da spaccare in due il tifo tra chi ha preferito prendersela contro l’imprenditore cinematografico e chi, dal canto suo, ha fischiato chi non ha spinto la squadra all’ennesima vittoria.
Al di là di quelli che sono i motivi, anche il ministro per lo Sport e per le Politiche giovanili del governo di Giorgia Meloni, Andrea Abodi, ha voluto fare un punto della situazione su Twitter, richiamando al rispetto, tutti e per tutti, nessuno escluso.
I pretesti della contestazione a De Laurentiis delle due curve del Napoli sono stati essenzialmente due: il caro biglietti e le modalità di prevendita, destinata solo a chi ha la tessera del tifoso, per la partita di Champions League contro il Milan del 18 aprile ma, come dicevamo in precedenza, già prima i rapporti non erano tra i più sereni, tanto che è bastato quello, in effetti, per organizzare uno sciopero che non ha messo d’accordo tutti.
Da quando i tifosi partenopei si sono scontrati con quelli della Roma all’altezza di Arezzo sull’A1, il patron azzurro ha chiesto a prefetto e questore di far rispettare il regolamento d’uso dello stadio in modo piuttosto ferreo. Non possono entrare tamburi, megafoni e neanche le bandiere, e chi lo fa viene colpito con il Daspo, ma questo vale solo per i sostenitori della squadra di casa, non per gli ospiti – i tifosi biancocelesti il 3 marzo hanno portato dentro il Maradona petardi e fumogeni e quelli rossoneri, ieri, quantomeno hanno potuto sventolare le loro bandiere, e si sono anche fatti sentire di più di quelli del Napoli.
Due pesi e due misure che non hanno reso facili le cose alla squadra di Spalletti, che dopo ieri sera è un po’ meno convinta di passare il turno della coppa dalle grandi orecchie contro un Milan che comunque è campione d’Italia in carica e, ai quarti di finale, con qualche difficoltà in più rispetto ai partenopei, c’è arrivata quanto il Napoli.
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