Quali sono le differenze tra Dante e Petrarca? Il tema del confronto tra i grandi autori della letteratura italiana, e insieme a loro non possiamo non citare anche Boccaccio, è da sempre, tra un saggio breve e un riassunto, l’argomento maggiormente affrontato nelle scuole italiane.
La poetica sull’amore, l’approccio al mondo classico, il contesto storico, sono tra le differenze più significative che cogliamo nella produzione artistica dei tre autori italiani. Soprattutto Dante e Petrarca, senza dubbio tra coloro che hanno maggiormente influito sullo sviluppo della cultura italiana e non solo, lasciandoci opere dal valore inestimabile che ancora oggi, per fortuna, sono alla base della formazione di ciascuno di noi.
Nati a circa mezzo secolo di distanza i due grandi letterati hanno vissuto due diversi contesti storici ognuno dei quali ne ha influenzato la produzione artistica. Il primo, il Sommo Poeta, considerato il padre della lingua italiana, fu politico attivo impegnato soprattutto a fianco dei Guelfi che, nella Firenze del duecento, si contrapponevano alla fazione ghibellina, a favore dell’indipendenza della politica rispetto al potere papale. Petrarca, invece, vive un momento di transizione, il passaggio cioè dal medioevo all’umanesimo, producendo gran parte della propria opera durante il periodo delle Signorie. Un intellettuale cosmopolita, diremmo oggi, aperto a nuove conoscenze e favorevole al mecenatismo che Dante, al contrario, respingeva duramente. Ma non solo.
Le differenze tra i due grandi autori toscani riguardano anche la diversa poetica che avevano sull’amore e sulla donna, temi che entrambi hanno affrontato in maniera straordinaria nelle loro opere: Petrarca nei sonetti che compongono il Canzoniere, scritto tra il 1336 e il 1374, e Dante con l’opera più imponente mai realizzata nella letteratura italiana, la Divina Commedia, scritta durante gli anni dell’esilio tra il 1304 e il 1321. Entrambe le opere affrontano il tema dell’amore che si lega indissolubilmente alla concezione che i due poeti avevano della donna: Beatrice è per Dante colei che eleva lo spirito ed innalza alla bellezza divina, è la ‘donna angelica‘, che non appartiene al mondo terreno ma a quello eterno; Laura invece è pienamente immersa nel suo tempo, ne subisce l’azione ed è inserita, insieme alla sua bellezza reale, in una prospettiva del tutto naturale. L’amore cantato da Petrarca è, quindi, un amore sensuale, terreno, che porta sofferenza ed è vissuto continuamente come peccato; Dante, di contro, lo percepisce come strumento indispensabile per raggiungere Dio, come strumento cioè di salvezza eterna.
Continuando il confronto tra i due grandi poeti della letteratura italiana, non può sfuggire la diversa concezione che avevano riguardo al mondo classico. Nel Medioevo, infatti, l’idea principale del classicismo era quella della continuità tra antico e moderno e gli stessi autori del passato venivano letti senza considerare il contesto storico di appartenenza. L’approccio di Dante al classicismo avviene sotto forma di allegoria, poichè utilizza, nelle sue opere, immagini e temi classici per spiegare la sua visione della realtà, mentre Petrarca, consapevole della frattura con il mondo classico cerca di riscoprirne i testi nella loro autenticità, prestando attenzione non solo alla tecnica stilistica, ma anche al messaggio intrinseco che le opere antiche portano con sè.
Il nostro riassunto, forse sarebbe troppo definirlo saggio breve, sulle differenze fondamentali tra due dei maggiori poeti della letteratura italiana, non può non concludersi senza citare un altro grande autore toscano: Giovanni Boccaccio. Spesso accomunato ai primi due, insieme a loro rappresenta la triade che semplifica tutta la poesia del Trecento, con una differenza sostanziale: l’autore aretino, infatti, fu prima di tutto narratore e perciò, per certi versi, innovatore rispetto alla cultura medievale. La sua opera più importante, il Decameron, scritto tra il 1349 e il 1351, evidenzia la scelta stilistica preferita, la novella, un genere particolarmente impegnativo ma che illustra benissimo la concezione che Boccaccio aveva della letteratura, intesa non solo come insegnamento ma anche come svago e come strumento di consolazione.
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