Pur trattandosi dei due più grandi commediografi latini, le differenze tra Plauto e Terenzio riguardano soprattutto il diverso modo di approcciare alla commedia: tanto vivace, dissacrante e a tratti volgare il primo, quanto introspettivo, raffinato ed elegante il secondo; entrambi però hanno contribuito a farne la fortuna: le loro opere infatti sono state il modello di riferimento dei commediografi più importanti di tutta la letteratura, tra i quali Molière, Shakespeare e Goldoni.
Plauto
Considerato il principe romano della risata ‘ante litteram’, Tito Maccio Plauto (250- -184 a.C.) è uno degli autori più importanti della letteratura latina. Fu il primo, insieme a Terenzio e a Nevio, ad occuparsi di un solo genere letterario, la palliata, commedia di argomento greco adattata però al diverso carattere del pubblico romano. Nelle sue opere infatti mescola occasionalmente gli elementi delle due differenti realtà, creando una comicità travolgente, vivace e particolarmente esilarante.
Le 21 commedie a lui attribuite – suddivise in sei gruppi: della beffa (Asinara), del romanzesco (Stichus), dell’agnizione (Cistellaria), dei sosia (Menaechmi), della caricatura (Miles gloriosus) e quelle composite – presentano una trama piuttosto ripetitiva: tutte infatti si basano sulle difficoltà di un giovane innamorato di una fanciulla, spesso una prostituta, che deve vincere le resistenze del padre, o del padrone, contrario al matrimonio. Dopo una serie di equivoci e di litigi, il giovane riesce nell’intento grazie all’aiuto del suo astuto schiavo. Quest’ultimo personaggio, rispetto al modello greco di riferimento, rappresenta la novità più importante delle commedie plautine: spesso al centro dell’intreccio è lui che con le sue trovate vivacizza l’azione e diverte il pubblico.
Tutti gli altri personaggi sono maschere ricorrenti, né greci né romani sono figure astratte e costanti: c’è il senex, il vecchio tradizionalista e avaro, l’adulescens, il giovane innamorato, la meretrix, la cortigiana e il leno, il commerciante di schiavi antagonista dell’adulescens.
Rispetto alle commedie del suo successore Terenzio, quelle plautine escludono l’approfondimento psicologico dei personaggi, preferendone la caricatura che, attraverso un linguaggio ricco di neologismi, di battute e doppi sensi rendono l’opera molto diversa rispetto alle commedie terenziane, interessate più a descrivere il carattere dei personaggi piuttosto che a suscitare le risate del pubblico.
Terenzio
Autore molto meno prolifico del suo predecessore – le sue commedie infatti sono solo 6 – Terenzio è considerato il commediografo dell’indagine psicologica per eccellenza. Nato a Cartagine nel 185 a.C., giunse come schiavo a Roma; qui, dopo essere stato affrancato, cominciò a dedicarsi al teatro, dimostrando ben presto doti eccellenti. Le sue commedie però non furono apprezzate subito dal pubblico romano, ancora troppo ‘affezionato’ alla vivacità del suo predecessore Plauto. Come quest’ultimo anche Terenzio utilizza come modello le opere greche, in particolare la commedia nuova attica di argomento comico e con un finale lieto, dove l’intreccio è costruito sulla satira dei costumi e dei personaggi contemporanei e la narrazione è ricca di casi divertenti e di colpi di scena.
Tuttavia, pur attingendo dagli stessi modelli, Plauto e Terenzio si differenziano per stile, linguaggio e diverso significato che attribuiscono ai temi delle loro commedie.
Mentre per Plauto l’interesse principale era quello di suscitare, con battute esilaranti e spesso piuttosto spinte, le risate del pubblico, Terenzio con le sue commedie invitava lo spettatore a riflettere sulle grandi questioni morali che riguardano l’uomo.
La frase che riassume tutto il messaggio del teatro terenziano è proprio quella contenuta nella commedia Il punitore di se stesso: ‘Sono un uomo, nulla che sia umano mi è estraneo‘, una frase importante che pone l’accento sul dovere dell’uomo di occuparsi dei propri simili, aiutandoli nelle loro necessità. Terenzio infatti è stato il primo autore latino ad introdurre nelle sue opere il concetto di humanitas, quell’idea con cui si sottolineava l’attenzione benevola verso l’uomo prescindendo da qualsiasi pregiudizio di razza, religione, sesso e cultura.
Nelle commedie terenziane, quindi, si affrontano argomenti difficili e molto più profondi rispetto alle tematiche plautine, come i rapporti familiari, il matrimonio, la condizione della donna e l’educazione dei giovani. Anche i personaggi, pur essendo simili, presentano delle caratteristiche diverse: mentre Plauto concede ampio spazio a figure buffe e caricaturali come il servo e il parassita, Terenzio preferisce analizzare psicologicamente le figure familiari come il padre o il figlio, mettendo in secondo piano l’intento comico, presente in maniera più sobria e raffinata.
Rispetto a quello plautino, quindi, il teatro di Terenzio è molto più colto e raffinato, così come la lingua che, elegante e priva della volgarità plautina, riproduce il linguaggio dei cittadini di buona educazione. In Plauto, invece, lo stile linguistico è molto basso: ricco di arcaismi, neologismi, metafore e giochi di parole, riprende soprattutto il sermo familiaris.
L’ultima, ma non meno importante, differenza tra i due grandi commediografi latini, riguarda il prologo delle loro commedie: mentre in Plauto è di carattere espositivo poiché racconta esclusivamente l’antefatto della storia, Terenzio lo utilizza per rispondere polemicamente alle accuse o per parlare del suo modo di far poesia. Al contrario di Plauto che spiegava la trama cosicché il pubblico potesse seguirne l’intreccio, Terenzio preferiva svelare gradualmente la verità, attraverso gli equivoci e gli errori che costituivano l’azione delle sue commedie.
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