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Le donne che hanno scritto la storia del 2022

Ci sono donne che hanno scritto letteralmente la storia del 2022, spazzando via il vento di pregiudizio che da tempo immemore avvolge la figura femminile e dimostrando con esempi tangibili di non avere assolutamente nulla da invidiare agli uomini e di poter fare le loro stesse identiche cose, di poter ricoprire le loro stesse identiche cariche e di poter aver avere allo stesso identico modo un ruolo apicale nella società.

Giorgia Meloni – Nanopress

Alcune donne hanno lasciato il segno nel 2022 per quello che hanno fatto, per i ruoli che hanno ricoperto, per le vittorie che hanno ottenuto. Tutte loro meritano una menzione speciale: anche se forse in questa lista alcuni nomi mancano, abbiamo cercato di citare almeno la maggior parte di loro.

Le donne che hanno scritto la storia del 2022

Alcune donne hanno letteralmente scritto la storia del 2022. Alcune lo hanno fatto per alcuni loro primati – vedi Giorgia Meloni, la prima premier donna della storia italiana – altre per il segno tangibile che hanno lasciato nel mondo (Elisabetta II è l’esempio lampante), altre ancora per le battaglie che stanno combattendo con forza, onore, tenacia, come le donne iraniane, che stanno cercando di capovolgere un sistema radicato da tempo immemore, anche mettendo a repentaglio la loro stessa vita.

Quello che è ormai chiaro è che in un mondo segnato inevitabilmente dal patriarcato, in cui la donna ha ricoperto per tempo immemore un ruolo marginale nella società, ha dovuto faticare anche solo per poter vedere riconosciuti i suoi diritti – che comunque in molti casi ancora non sono equiparati a quegli degli uomini di fatto – quello che noi donne sogniamo forse non è avere dei primati: mai come adesso vorremmo essere “una delle tante”.

Sarebbe bello se Giorgia Meloni potesse essere “una delle tante premier donne”, se Samantha Cristoforetti possa essere “una delle tante donne europee Comandante dell’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale”, se Maria Sole Ferrieri Caputi possa essere “una delle tante donne arbitro di serie A”.

Regina Elisabetta – Nanopress

In un mondo in cui tutti tentano di primeggiare, sono pronti a scavalcare cancelli inaccessibili pur di sembrare unici, sono disposti anche a sorpassare la fila impropriamente per arrivare primi, a volte essere “tra le tante” non è un male. Anzi, sarebbe una conquista in un certo senso per il genere femminile.

Ecco alcune di loro

In cima alla lista non possiamo non menzionare la succitata Samantha Cristoforetti, divenuta a settembre la prima donna europea Comandante dell’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale. A celebrare questa sua nomina è stata la cerimonia di consegna incentrata sul passaggio simbolico di una chiave da parte del precedente comandante, trasmessa in diretta dalla Stazione Spaziale Internazionale su Esa Web TV.

Fin dall’inizio della sua missione, Minerva, la Cristoforetti era stata responsabile del Segmento Orbitale degli Stati Uniti (Usos). Poi a settembre è iniziata la scalata verso questa nuova posizione, che ha rappresentato un unicum nel panorama internazionale. Ad assegnare questa carica – com’è d’uopo in questi casi – è stata una decisione congiunta da parte di Nasa (Stati Uniti), Roscosmos (Russia), Jaxa (Giappone), Esa (Europa) e Csa (Canada). 

Ricordiamo anche che questa qualifica è di fondamentale importanza per il successo della Stazione Spaziale: il comandante è responsabile sia del lavoro che del benessere dell’equipaggio in orbita, deve mantenere una comunicazione con i team a terra e coordina le azioni dell’equipaggio in caso di emergenza.

Come abbiamo anticipato, meritano di essere citate anche le donne iraniane. Per comprendere meglio quello che sta accadendo oggi, però, dobbiamo tornare a qualche mese fa. 13 settembre: Mahsa Amini, una giovane di soli 22 anni, viene arrestata con l’accusa di non aver indossato il velo in modo corretto. Passano nove giorni, arriviamo al 22 settembre: una giornalista iraniana, Niloufar Hamedi, annuncia la morte della ragazza. Il motivo dichiarato dalle autorità sarebbe un infarto, ma quello dichiarato dalla famiglia è una violenza subita. Pare infatti che Mahsa sia stata picchiata così forte da subire un trauma gravissimo, che poi avrebbe condotto appunto alla sua morte. Da quel giorno comunque la foto dei suoi genitori in lacrime nei corridoi dell’ospedale inizia a fare il giro del mondo.

Le donne iraniane – ma anche quelle di tutto il mondo – non ci stanno più. Nell’arco di qualche ora migliaia di persone sia all’interno che all’esterno del Paese iniziano a riballarsi. Si diffondono manifestazioni, compare lo slogan “Jin, jiyan, azadi” (cioè “donna, vita, libertà”). La goccia ormai ha fatto traboccare un vaso praticamente ormai già stracolmo. Eppure il vaso di Pandora ha appena iniziato a svuotarsi: il bersaglio dei cittadini, infatti, sarà l’intero regime teocratico che governa il Paese. Come riporta il Post, infatti, un altro slogan inizia a diffondersi tra i cittadini, soprattutto i più giovani: “Morte al dittatore”, chiaro riferimento ovviamente ad Ali Khamenei, l’attuale Guida Suprema dell’Iran.

Da lì, però, iniziano a prendere piede una serie di rivolte, che si mostrano fin da subito ben diverse rispetto a quelle precedenti: il popolo vuole ormai un cambiamento, vuole poter dire addio al velo, avere maggiore libertà, mettere in discussione l’azione della polizia morale. Perché tutto ciò avvenga, è disposto questa volta a far sentire davvero a tutto il mondo il suo disperato grido d’aiuto. Addirittura alla mossa del governo di insabbiare le immagini bloccando Whatsapp, Instagram, Signal, Linkedin e isolando la connessione a internet nazionale, la popolazione risponde utilizzando lo user generated content (ugc) e dicendo no a ogni tipo di censura.

Nel frattempo le rivolte femminili continuano (sono troppe, quindi ne citeremo qualcuna a titolo esemplificativo). Una ragazza ha deciso di tagliarsi i capelli durante una manifestazione a piazza Azadi a Kerman, una delle zone più conservatrici di tutto il Paese. Altre, invece, hanno intonato canti contro le autorità, lasciando i loro capelli scoperti. Altre ancora hanno fatto un falò di hijab a Sari, al Nord del Paese. Quello che tutto il mondo ammira in ogni caso è il loro coraggio: dopo anni di sottomissione, le donne iraniane stanno facendo sentire la loro voce, andando contro tutto e tutti e rischiando la vita.

Emblematico quest’anno il gesto di Chloe Kelly, la giocatrice inglese che che si è tolta la maglia per esultare dopo un goal alla Germania, durante i tempi supplementari alla finale degli Europei femminili, restando con il reggiseno sportivo in bella vista. La sua immagine ha fatto letteralmente il giro del mondo, perché ha sdoganato l’idea che questi gesti possano essere compiuti solo dagli uomini e soprattutto ha reso normalissimo vedere una donna in reggiseno (sportivo, precisiamo) correre per il campo.

Il suo gesto è stato molto apprezzato soprattutto dalle donne. Ad esempio, su Twitter la scrittrice Lucy Ward ha scritto: “Questa immagine di una donna a torso nudo con un reggiseno sportivo è estremamente significativa. Questo è il corpo di una donna, non per sesso o spettacolo, ma solo per la pura gioia di ciò che sa fare e per l’abilità che possiede. Meraviglioso. #Leonesse”. E ancora, la dottoressa dello sport Amal Hassan ha affermato: “È stata una scena ispiratrice, che mi ha lasciata totalmente sopraffatta. Quando ha scelto di farlo mi sono alzata in piedi e l’ho sostenuta totalmente. È stato bello vederlo. Signori dello sport, ascoltate il nostro grido“.

A compiere un gesto simile era stata 23 anni fa – nel ’99 precisamente – la calciatrice americana Brandi Chastain dopo aver segnato il rigore vincente nella finale dei Mondiali  contro la Cina. Da allora, però, poco si era mosso nel calcio femminile, ma questo gesto della Kelly potrebbe essere un primissimo passo perché qualcosa finalmente cambi e venga normalizzato il fatto che anche una donna possa, esattamente come un uomo, mostrare il su fisico (con tanto di reggiseno sportivo) senza per forza dover essere criticata. La stessa Kelly ha espresso il suo parere: “Mi tolgo la maglietta e impazzisco, perché un calciatore uomo farebbe esattamente lo stesso. Quindi, come donne, perché non possiamo farlo?“.

Tra le donne che meritano di essere citate quest’anno troviamo anche Marina Ovsyannikova, la reporter divenuta famosa in tutto il mondo per il suo blitz in diretta contro la guerra in Ucraina. Era precisamente il 14 marzo, quindi il conflitto era iniziato tecnicamente da meno di un mese, e la donna, durante durante uno dei principali notiziari della televisione di stato russa Channel One, in diretta ha sollevato un cartello con scritto: “No alla guerra. Fermate la guerra. Non credete alla propaganda, vi dicono bugie qui”. Per questo motivo, la giornalista era stata arrestata, condannata a pagare una multa di 30 mila rubli (circa 255 euro) e stata poi rilasciata.

Ma non finisce qui, perché circa quattro mesi dopo, il 15 luglio per essere precisi, dopo aver trascorso un periodo all’estero e aver collaborato come corrispondente con la Die Welt, aveva pensato bene di esporre sull’argine della Sofiyskaya (lungo la Moscova) un nuovo cartello in cui definiva Putin “un assassino” e scriveva sull’esercito russo: “I suoi soldati sono fascisti. 352 bambini sono morti. Quanti altri bambini devono morire perché tu smetta?”. Solo pochi giorni dopo, Marina era stata arrestata e condannata da un tribunale di Mosca a pagare una multa di 50 mila rubli (quasi 800 euro) per “discredito delle Forze armate della Federazione russa”.

Verso ottobre però è evasa, portando con sé la figlia di 11 anni, come ha denunciato il suo ex marito. Come ha dichiarato all’Afp il suo avvocato Dmitry Zakhvatov: “È sotto la protezione di uno dei Paesi europei”. Oggi pare che l’ex giornalista televisiva sia stata inserita nella lista dei ricercati in Russia.

E ancora, è entrata quest’anno nella storia Jene Campion per essere la terza donna ad aver vinto un Oscar come miglior regista per il western Netflix Il potere del cane. 28 anni fa, nel 1994, Campion era stata nominata come miglior regista per Lezioni di piano, agli Oscar del 1994, ma non vinse: allora fu battuta da Steven Spielberg per Schindler’s List. Quest’anno ha avuto però la sua rivincita, sia verso Spielberg – nella cinquina con il suo remake di West Side Story – sia verso il mondo maschile in assoluto.

La prima donna ad aver vinto il suo stesso premio l’Oscar è stata Kathryn Bigelow, nel 2010, con The Hurt Locker. La seconda, invece, è stata Chloé Zhao, premiata per Nomadland nel 2021 e questo segna anche un nuovo primato: è la primissima volta in assoluto l’Oscar come miglior regista va a una donna per due anni consecutivi.

Merita senza dubbio una menzione anche Nina Corradini, la primissima ginnasta ad aver trovato il coraggio di parlare e dire basta agli abusi subiti durante anni di allenamenti. Alla sua voce si sono poi aggiunte in poco tempo quelle di Anna Basta e Giulia Galtarossa, che hanno raccontato storie di troppi chili persi per poter essere “magre”, di lassativi presi impropriamente per dimagrire, di offese ed umiliazioni pubbliche da parte degli allenatori. E poi alle loro se ne sono aggiunte altre provenienti da tutta l’Italia (e anche da altri sport), che hanno formato un coro che ha detto basta agli abusi, ai soprusi e alla violenza psicologica nello sport. Dobbiamo però rendere grazie a Nina Corradini se il muro del silenzio dietro cui si erano trincerati per anni atleti, allenatori e società intere è stato finalmente abbattuto.

E ancora, si aggiunge alla lista la succitata Maria Sole Ferrieri Caputi, la prima donna arbitro in serie A. Il 2 ottobre 2022 è un giorno che entrerà nella storia del calcio: è stato quello il giorno del suo esordio sul campo, che l’ha vista protagonista assoluta della partita Sassuolo–Salernitana, che lei stessa ha commentato con un tweet emblematico, che recitata così: “È la prima, ma non l’ultima“.

Classe ’90, la 32enne livornese è laureata sia in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all’Università di Pisa che in Sociologia all’Università di Firenze e attualmente è contemporaneamente ricercatrice universitaria, impiegata in un centro studi di diritto del lavoro a Bergamo e ovviamente arbitro di Serie A. Era il novembre del 2015 quando ha esordito nei professionisti, precisamente nella partita Levito-Atletico San Paolo, ma solo nella stagione 2021/2022 ha potuto fare primo grande passo verso la Serie A: il 15 dicembre ha diretto l’incontro valevole per i sedicesimi di finale di Coppa Italia Cagliari-Cittadella, in cui ha dovuto annullare tre gol con il supporto del Var. Da lì è partita la sua scalata verso la convocazione ufficiale, arrivata appunto un paio di mesi fa. Ricordiamo inoltre che Maria Sole Ferrieri Caputi è stata anche il terzo arbitro donna di sempre nei primi cinque campionati europei. Prima di lei hanno ricoperto lo stesso ruolo Bibiana Steinhaus (in Bundesliga) e Stéphanie Frappart (in Ligue 1).

Ma non finisce qui, perché la lista continua anche con Annie Ernaux premio nobel 2022 per Letteratura per il “coraggio e l’acutezza clinica attraverso cui ha svelato le radici, gli straniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale” . Studiata e pubblicata in tutto il mondo, la sua opera – consacrata dall’editore Gallimard, che ne ha raccolto gli scritti principali in un unico volume nella prestigiosa collana Quarto – è una delle più celebri del panorama letterario francese (e non solo).

Il suo debutto risale al 1974, con Les armoires vides, romanzo autobiografico, ma la sua produzione è così famosa soprattutto per il suo essere segnata da una disamina sociologica che cerca di ritrovare “l’eredità di una memoria collettiva in una memoria individuale”. Secondo l’autrice in pratica “anche l’io più intimo appartiene al sociale”, quindi per comprendere un singolo individuo bisogna partire dallo studio della società e arrivare di nuovo allo stesso. La sua scrittura quindi fa dell’oggettivazione il suo centro, tanto che lei stessa si definisce una somma tra il suo vissuto e le caratteristiche collettive. Addirittura ha reinventato l’autobiografia, divenuta in un certo senso uno strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Ma non solo, perché Annie Ernaux negli anni si è distinta anche per il suo impegno politico, volto a favorire le minoranze, come testimonia il suo schierarsi durante l’ultima campagna presidenziale con L’union populaire di Jean-Luc Mélenchon. In ogni caso, questo è il 17esimo premio Nobel per la Letteratura vinto dalla Francia, che ad oggi resta comunque il Paese che ne ha ottenuti di più in assoluto di sempre.

Ovviamente chiudono questa lista due donne celebri per motivi del tutto diversi: la Regina Elisabetta, morta pochi mesi fa dopo ben 70 anni di regno, e Giorgia Meloni, la prima premier donna di Italia. Entrambe non meritano spiegazioni, perché la loro fama le precede – anche se i loro nomi non possono essere accostati perché sono state (in un caso) e sono (in un altro) due personaggi diametralmente opposti, ma una cosa le accomuna: sono entrate entrambe di diritto nella storia non solo del loro Paese, ma del mondo intero. E di certo entrambe non potevano non essere citate tra le donne che hanno scritto la storia del 2022.

Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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