Le donne in sovrappeso guadagnano di meno rispetto a quelle magre. Questo è quello che evince da un articolo scritto dall’Economist, basato su evidenze reali e non su supposizioni. L’universo femminile ancora una volta è inquinato da pregiudizi sul suo aspetto fisico.
“È economicamente razionale per le donne ambiziose cercare più che possono di essere magre. (…) La finzione secondo cui le donne intelligenti e ambiziose, che possono misurare il loro valore nel mercato del lavoro sulla base della loro intelligenza o istruzione, non debbano prestare attenzione alla loro figura, è difficile da sostenere dopo aver esaminato le prove su come il loro peso interagisca con il loro salario o reddito”. Potrebbe sembrare un articolo scritto negli anni ’80, quando probabilmente la figura della donna – dobbiamo ammetterlo – era ancora marginale, eppure è quello che possiamo leggere sullo speciale natalizio dell’Economist. No, a Natale i redattori non sono stati affatto più buoni, ma solo più sinceri a quanto pare. Sì, perché il settimanale britannico non ha espresso affatto una sua opinione, ha solo sviscerato un argomento spesso insabbiato in favore del tema dell’uguaglianza uomo-donna come focus centrale della società odierna, che però spesso non sembra ancora essere confermata dai fatti. La donna ha fatto numerosissimi passi avanti negli ultimi decenni, è oggettivo, ma a quanto pare non abbastanza da toglierle l’etichetta di “figura piacevole da guardare” anche sul lavoro. Questa è una cruda verità, che non dobbiamo necessariamente accettare, ma di cui dobbiamo prendere atto a quanto pare.
“Tutte le donne, presto o tardi, riconoscono l’importanza attribuita ai loro corpi. È come se le ragazze camminassero, inconsapevoli, attraverso una foresta e poi fossero mostrati loro gli alberi. Possono chiedersi come gli alberi siano arrivati lì, da quanto tempo crescano e quanto siano profonde le loro radici. Ma c’è poco che possano fare riguardo a essi ed è quasi impossibile immaginare il mondo in un altro modo”: questa metafora riportata dall’Economist rispecchia alla perfezione quello che le donne non dicono, ma che sanno perfettamente sul loro aspetto fisico. Una donna sa che deve essere moglie, madre, lavoratrice e deve essere sempre perfetta in tutto, sia nella “forma” che nella “sostanza”. Deve essere sempre curata, quasi perfetta, essere in grado di poter soddisfare le aspettative di una società che la vuole sempre impeccabile e deve anche saper colmare le lacune di uno Stato – ma qui il discorso si restringe solo ad alcuni Paesi, tra cui l’Italia – che non riesce a darle il giusto supporto per poter fare tutto e tutto bene.
Questo sembra un discorso fuori tema, ma è importante, perché è da qui che dobbiamo partire per poter analizzare quello su cui il settimanale britannico ha finalmente fatto luce: l’aspetto fisico di un individuo femminile è in primo piano sul lavoro anche più delle sue effettive capacità. In altre parole magrezza fa rima con ricchezza quando si tratta di donne e che ci piaccia oppure no è così e ci sono dati su dati che lo dimostrano.
Ma attenzione: c’è un dato che dobbiamo prendere in considerazione (e che probabilmente rende tutto ancora più grave in realtà). Questo binomio è valido solo nei Paesi ricchi, che in quanto tali verosimilmente sono più industrializzati, ma dovrebbero essere anche più avanzati dal punto di vista culturale, sociale (forse però a quanto pare non lo sono davvero). E qui si aggiunge un altro tassello davvero amaro: questo vale quasi esclusivamente per le donne, perché gli uomini sono esenti da qualunque forma di umiliazione e giudizio sul loro corpo.
Sia chiaro, l’Italia non è esente da tutto ciò: dai grafici mostrati dall’Economist si evince chiaramente che, mentre per quanto riguarda gli uomini in tutti i quintili la percentuale di obesi è praticamente la stessa, l’universo femminile “ricco” lascia poco spazio per le persone in sovrappeso.
Come si legge sul settimanale britannico “Una miriade di studi rileva che le donne in sovrappeso o obese sono pagate meno delle loro coetanee più magre, mentre c’è poca differenza nei salari tra uomini obesi e uomini nella fascia definita “normale” dal punto di vista medico. Ci sono delle eccezioni: uno studio svedese ha scoperto che gli uomini obesi erano pagati meno, ma le donne obese no. Ma le ricerche in America, Gran Bretagna, Canada e Danimarca suggeriscono che le donne in sovrappeso hanno stipendi più bassi. La sanzione per una donna obesa è significativa, le costa circa il 10% del suo reddito”. Sanzione nel senso letterale del termine, quindi, perché di fatto una donna paga lo scotto di avere dei chili in più in termini economici.
Ma c’è di più: a questo proposito si apre un’altra parentesi, perché a conti fatti perdere peso potrebbe equivalere ad aumentare il proprio stipendio mensile e ad avere anche più possibilità di poter fare carriera, scalando una gerarchia fatta di uomini e donne “magre”. Sempre come si legge sull’Economist: “Le stime più alte sul premio salariale per una donna magra sono così significative che potrebbe trovare il perdere peso utile quasi quanto ottenere un’istruzione aggiuntiva. Il premio salariale per l’aver ottenuto un master è di circa il 18%, solo 1,8 volte il premio che una donna grassa potrebbe, in teoria, guadagnare perdendo circa 30 chili, all’incirca la quantità che una donna moderatamente obesa di statura media dovrebbe perdere per rientrare nel range “normale” dal punto di vista medico”. Ma questo non dovrebbe essere normalizzato: l’istruzione, lo studio, l’impegno costante dovrebbero essere retribuiti molto di più del mero aspetto fisico e non si può fingere che sia giusto il contrario, perché questo lede la dignità della donna in quanto essere umano e lavoratrice.
Ma non finisce neanche qui, perché c’è un dato ancora più preoccupante: mentre il mondo progredisce, la società in questo senso pare regredire ulteriormente. Negli ultimi anni, infatti, l’assunto di base secondo cui una donna “grassa” non possa guadagnare quanto una magra non solo non è stato cancellato, ma anzi è stato anche rafforzato. La situazione, in pratica, pare essere solo peggiorata ultimamente. Come ha evidenziato David Lempert, celebre economista, in un documento di lavoro per il Bureau of Labour Statistics americano: “La discriminazione contro le donne grasse non è diminuita con l’aumento del loro numero. (…) Potremmo aspettarci una penalizzazione in calo a causa dell’aumento della percentuale di individui in sovrappeso”. Ma a quanto pare questa non è mai arrivata, nonostante il numero di questi ultimi sia praticamente quasi raddoppiato tra il 1980 e il 2000.
Secondo l’economista “la crescente rarità della magrezza ha portato all’aumento della sua ricompensa”, ma questo è sbagliato già di per sé, perché essere in forma non dovrebbe incidere in alcun modo sul lavoro, né positivamente né negativamente. Ognuno dovrebbe essere valutato per ciò che sa fare, per le risorse che ha, per l’apporto che può dare e non per il suo aspetto, che non si riversa di certo sulle sua capacità. Eppure, come si legge nel rapporto di Lempert, “una donna obesa di 43 anni ha ricevuto una penalizzazione salariale maggiore nel 2004 di quella che riceveva a 20 anni nel 1981” e allo stesso modo “una donna obesa di 20 anni riceve oggi una penalizzazione salariale maggiore di quella che avrebbe avuto nel 1981”. E questi dati sono talmente chiari, palesi e limpidi che non meritano nessuna spiegazione aggiuntiva.
Ma c’è un reale motivo per cui accade ciò? L’Economist ha provato a ricercare una spiegazione plausibile, ma a quanto pare non l’ha trovata. Potremmo parlare dei rischi elevati che essere obesi comporta per la salute e dire che quindi in effetti non sia poi così sbagliato indurre le persone a dimagrire quando il loro peso supera la soglia del benessere, ma poi dovremmo capire perché questo dovrebbe riguardare solo le donne (quando poi volendo parlare di medicina, sappiamo che gli uomini sono più inclini a sviluppare problemi cardiaci anche in condizioni fisiche ottimali, figuriamoci quando invece sono in grave sovrappeso) e poi, come sottolinea il settimanale britannico, ci sono almeno un altro paio di pilastri traballanti. In primis, non sempre le persone riescono a controllare al 100% il loro peso (pensiamo al caso di chi soffre di patologie che gli rendono molto difficile dimagrire), in secondo luogo spesso la vergogna diventa solo un mezzo che spinge chi è abituato a rifugiarsi nel cibo a farlo ancora di più, quindi verosimilmente non è assolutamente questo un metodo efficace per perdere peso.
Inoltre dovremmo mettere sul piatto della bilancia anche quanto valga davvero la pena passare tutta la propria vita a pensare a come tenersi in forma per paura che i chili di troppo possano compromettere il proprio operato. Come scrive Jia Tolentino, autrice tra l’altro di Trick Mirror: “È impossibile muoversi da donna nel mondo e non notare il tempo, l’energia e l’investimento che le donne fanno registrando il cibo che mangiano, leggendo libri sulle diete e frequentando corsi di ginnastica. Chiunque abbia provato una dieta a base di succhi o una dieta a base di zuppa di cavolo saprà che la ricerca della magrezza può andare a scapito di altre cose importanti che le ragazze e le donne potrebbero voler fare, come essere in grado di concentrarsi sugli esami, sul lavoro, o godersi il cibo”.
Volendo per un attimo restringere il campo e parlando solo degli USA, possiamo notare che qui ci potrebbe essere una spiegazione almeno in parte a questo problema (potrebbe però appunto, ma in realtà non lo fa e adesso capirete perché). Negli Stati Uniti, infatti, i premi assicurativi sono spesso pagati dai datori di lavoro e quelli per le persone obese sono più alti. Ecco, questo spiegherebbe totalmente la penalizzazione salariale se riguardasse in misura uguale uomini e donne, ma il fatto che in realtà di fatto riguardi solo queste ultime la dice lunga.
Inoltre a ciò si aggiunge anche che i periodici test condotti da Harvard sui “pregiudizi impliciti” dimostrano che la società sia completamente insensibile davanti all’obesità ma che anzi ne faccia motivo di discriminazione. L’Università, infatti, da anni chiede di associare a persone di razza, sesso, orientamento sessuale o peso diversi, parole come buono o cattivo. Quello che si evince è che le discriminazioni sulle prima tre stanno diminuendo (sull’orientamento sessuale ad esempio sono diminuite di un terzo negli ultimi anni), mentre gli atteggiamenti nei confronti degli individui in sovrappeso sono diventati sempre meno inclusivi.
A questo punto vale la pena menzionare le parole dell’Economist, che riassumono praticamente la situazione attuale dell’universo femminile: “Forse le donne si sentono a disagio con sé stesse perché si confrontano con le gazzelle che popolano le copertine delle riviste e sono indotte a pensare che quelle foto non siano ritoccate e quelle forme siano raggiungibili. Forse i loro genitori o un medico hanno fatto commenti pesanti sul loro peso quando erano giovani. Ma oltre a queste pressioni c’è il potente incentivo del mercato: le donne percepiscono in modo accurato che non riuscire a perdere peso o essere magre avrà per loro, letteralmente, un costo. È economicamente razionale che tutti dedichino tempo all’istruzione perché ha evidenti ritorni nel mercato del lavoro e per i salari futuri. Allo stesso modo sembra essere economicamente razionale per le donne perseguire la magrezza”.
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