Sulle colonne del quotidiano statunitense New York Times sono state pubblicate delle intercettazioni, raccolte dal servizio di intelligence ucraino, di alcuni soldati russi inviati sul fronte europeo.
La testata U.S.A. ha impiegato due mesi per verificare l’attendibilità degli audio e l’accertamento è avvenuto incrociando i numeri dei telefoni russi coinvolti nelle chiamate con quelli presenti nelle applicazioni di messaggistica russe.
Le intercettazioni dei soldati russi
Non sono certo lusinghieri gli audio dei miliziani russi intercettati mentre combattono in Ucraina; al contrario sono frustrazione, paura e disorientamento le emozioni che più traspaiono. Soprattutto è l’immagine del leader, del novello zar Putin, ad uscire più malconcia rispetto alla propaganda imbastita dal suo stesso regime.
Il presidente russo è spesso apostrofato quale “idiota” da vari combattenti, in quanto sarebbe pura follia il tentativo di conquistare l’Ucraina.
La presa di Kiev sarebbe insomma impossibile per chi si trova sul campo di battaglia e la disperazione monta man mano che questa consapevolezza si fa strada non accompagnata da ordini di ritirata o cessazione delle ostilità.
Molti parlano apertamente coi propri familiari di “peggiore scelta mai fatta dal governo” e interrogano gli affetti rimasti in patria su quale sia la narrazione governativa, la quale naturalmente, gli viene riportato, non fa cenno ad alcuna difficoltà o volontà di arretrare sulle proprie decisioni, che sono anzi riproposte costantemente come giuste e doverose.
In altri spezzoni di intercettazione si hanno di fatto le prove degli eccidi di massa russi. Un soldato parla dalla tristemente nota Bucha, dove le linee ucraine stanno velocemente recuperando terreno e la ritirata sembra ormai imminente ed inevitabile. Questi accenna all’ordine ricevuto dai superiori di eliminare chiunque si incontri per la città prima di andarsene, probabilmente affinché non testimonino delle atrocità subite (una sorta di soluzione finale per non lasciare traccia di quanto meschinamente fatto alla popolazione civile inerme).
In altre parti si hanno informazioni importanti per ricostruire il numero di perdite dell’esercito russo, poiché si accenna a battaglioni annientati o a sparuti gruppi di sopravvissuti durante le avanzate nei territori sotto la sovranità di Kiev.
La distanza tra base ed apice
Insomma si impone lampante una delle caratteristiche di gran parte delle guerre, soprattutto sul versante di chi aggredisce: la distanza tra la classe di potere, che la guerra la decide, e la classe civile, che la guerra la combatte (e principalmente per questo non la vuole).
Le difficoltà crescenti dell’esercito russo, l’allungarsi degli scontri e le conseguenze interne al Paese aggressore, costretto a richiamare alla leva 300 mila riservisti, stanno provocando un ribollire del malcontento sociale.
Molti cittadini russi stanno tentando di abbandonare la Federazione perché impauriti dal clivo assunto ultimamente dagli eventi: si fugge per non essere arruolati, perché si teme lo si possa essere in seguito, perché si assiste ogni giorno che passa alla stretta del governo sulla vita personale di ciascuno.
Da regime para-fascista e semi-totalitario, il timore della sconfitta e della personale caduta porta il leader ad arroccarsi, a non tollerare non solo l’aperto dissenso, ma ogni forma di vita, seppur non avversa, comunque non inscrivibile in una cieca fedeltà al governo.
Dunque un totalitarismo crescente il quale però lascia, come fortunatamente sempre avviene in qualunque fenomeno umano, filtrare tra le crepe e spaccature del monolite sociale imposto la voce di quei tanti che sono costretti dall’alto a seguire delle scelte che mai compirebbero, se non fosse in gioco la sopravvivenza propria e dei propri cari.