Era il 28 luglio quando, nel piazzale di casa sua, alle ore 20.30, Mara Fait, sessantatreenne infermiera, è stata uccisa a colpi di accetta dal vicino di casa Shehi Zyba Ilir, quarantottenne di origine albanese.
L’ha uccisa, stando a quanto è emerso, al culmine di lunghe dispute condominiali che hanno avuto logo per diversi anni. L’agguato si è svolto sotto gli occhi dell’anziana madre della vittima, che è ancora sotto shock. Nel frattempo, il figlio trentenne di Mara, Lorenzo Giori, anche lui infermiere, era all’interno dell’appartamento, ma quando è arrivato sulla scena del crimine era già troppo tardi.Mara era andata in pensione da circa un anno ed aveva prestato servizio come infermiera di sala operatoria all’Ospedale di Rovereto. E voleva solamente godersi la sua pensione.
L’assassino dell’ex sanitaria ha agito in preda a un dolo d’impeto? Oppure si tratta dell’ennesimo femminicidio che poteva essere evitato? Andiamo per gradi.
“È stato un raptus e ho agito d’impeto. Ho rovinato tutto ed è giusto che paghi. Non ricordo nulla. È stato un blackout”. “Stavo lavorando nell’orto e ho colpito la donna con l’accetta che usavo in quel momento”. Queste sono state le prime parole pronunciate dall’uomo per confessare l’omicidio dell’infermiera in pensione. Shehi, quindi, ha dichiarato di non aver in alcun modo premeditato il delitto. Ed ha fatto riferimento alle liti condominiali iniziate tre anni fa, quando con la sua famiglia si era trasferito al terzo piano della palazzina. Lo ha fatto con l’intenzione di prepararsi il terreno per richiedere la perizia psichiatrica? Quel che è certo è che, la perizia, è ormai uno strumento quasi inflazionato. Un vero e proprio jolly, a cui puntano tutte le difese. O quasi. Sicuramente quella di Shehi Zyba Ilir, reo confesso.
Quanto accaduto negli ultimi tre anni in quella palazzina, in verità, lascia poco spazio ad ipotesi di qualsivoglia vizio di mente. Dunque, anche se in questo caso venisse disposto l’accertamento psichiatrico, con tutta la documentazione delle aggressioni e minacce pregresse, è difficilmente ipotizzabile che sussistano i presupposti per il riconoscimento dell’infermità mentale. Né di tipo totale né di tipo parziale.
L’uomo ha agito in preda ad un incontenibile rancore covato da anni. A seguito di reiterati comportamenti violenti. Mara aveva confidato a parenti ed amici di temere per la sua incolumità e per quella della sua famiglia. Prospettando anche l’ipotesi più terribile, quella di essere uccisa. Un’ipotesi che, alla fine, si è purtroppo concretizzata. Shehi ha indubbiamente trovato nelle liti condominiali una valvola di sfogo. Pur tuttavia, nonostante si tratti di un soggetto con una personalità compromessa e disturbata, non ha mai perso, all’avviso di chi scrive, il contatto con la realtà.
Le informazioni ad oggi a disposizione, ed il quadro che ne emerge, fanno ritenere che si tratti di una persona con un disturbo di personalità di matrice paranoidea, probabilmente anche con tratti borderline. Come anticipato, però, sono convinta che l’uomo non abbia mai perso il senso di realtà e la consapevolezza di quello che stava facendo. Dato che, poi, dopo aver confessato l’omicidio ha iniziato a mettere insieme tutta una serie di affermazioni finalizzate ad ottenere una qualche attenuante attraverso la sottoposizione ad analisi psichiatrica. Certamente restano molteplici gli aspetti da chiarire, ma ritengo che le condotte antecedenti di Shehi lasceranno poco scampo in termini di responsabilità e condanne.
I legali della donna hanno fatto sapere che lo scorso 15 marzo l’infermiera Mara aveva denunciato tutte le violenze e le aggressioni, verbali e non, subite da quando l’uomo si era trasferito nella sua palazzina. Tuttavia, la Procura di Rovereto non aveva autorizzato l’applicazione del codice rosso. Nonostante la denuncia fosse stata corredata da ben diciannove documenti. Che comprendevano, tra gli altri, anche tutta una serie di referti ospedalieri, e le testimonianze di ben undici persone. Una decisione, quella della Procura di Rovereto, sicuramente discutibile ed opinabile. Dato che, almeno da quanto è emerso, Shehi aveva già subito alcune condanne per fatti analoghi.
“Se avessimo avuto sentore della gravità saremmo intervenuti“. Queste sono state le prime parole pronunciate dal pubblico ministero titolare del caso. Le liti condominiali in Italia sono all’ordine del giorno. Secondo le ultime stime del Codacons sarebbero ad oggi circa due milioni le cause civili e penali pendenti nei tribunali italiani. Per fortuna, però, non tutte finiscono nel sangue. Tuttavia, non può negarsi come in questo caso che si sia verificata una grave sottovalutazione del rischio rispetto a quanto successo a Mara. La sua storia, infatti, doveva essere trattata come un caso di violenza contro le donne. E dunque prevedere l’applicazione del codice rosso.
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