José Mourinho non è e non sarà mai una persona come le altre nel panorama del calcio mondiale e nella storia della Serie A. La premessa è doverosa per un uomo di questo spessore, capace di squarciare i lucchetti del diario della storia e dipingerci il suo nome sopra a furia di successi, corse da brividi e bellezza puramente ed esclusivamente pallonara. Nel suo senso più puro. Proprio per questo, fa specie vedere il portoghese imbrigliato in sterili polemiche arbitrali. Che sia un modo per sviare l’attenzione mediatica dalla squadra e puntare i riflettori su di sé? Resta un fatto: nell’epoca del gioco 2.0, dell’iper-tatticismo che si vota alla qualità e del pressing in avanti, diventa stucchevole. È veramente troppo per non chiedersi in che direzione stia andando la sua Roma.
José Mário dos Santos Mourinho Félix non è solo un nome, ma una leggenda che si aggira sugli stadi di Serie A e spruzza la sua storia e le sue stigmate sui posteri. Leggenda, però, è un sostantivo che racchiude sia l’eroismo, l’epica del calcio, le sue connotazioni più belliche e misteriose racchiuse nelle segrete del Camp Nou e nella parte più recondita di San Siro inteso come Scala e teatro, ma anche un termine che ha una connotazione ben precisa, quella di un passato imprecisato che sa di impolverato e lontano. Il Mourinho che ci ha restituito la Liga e poi la Premier League non ha perso il suo animo spiccatamente cinico e vincente, stavolta in un’accezione totalmente positiva, ma le sue tecniche mediatiche, le sue sfide, le sua dita puntate e la sua rabbia hanno un che di schizofrenico rispetto al calcio che medita e poi pratica la sua Roma. Rispetto all’Inter versione 2010 c’è un abisso, ovviamente, anche perché gli uomini, i contesti, lo spessore sono diversi. Ma la sensazione che non ci abbandona è che sia cambiato, e tanto, proprio lo Special One.
A volte ritornano: Mourinho è tra noi, ma non è la stessa sensazione
Mourinho è un ristorante di lusso. Una, due, tre stelle Michelin, valutatelo un po’ come volete. Un ristorante di lusso che l’Italia poteva permettersi nei suoi tempi d’oro dopo una Champions League meravigliosamente romantica vinta con il Porto e il mezzo successo con il Chelsea. Comunque un allenatore in hype, di quelli sulla cresta dell’onda, che non dimentichi dopo due sconfitte consecutive, ecco. A puntarci è stato quel Massimo Moratti, figlio di una famiglia che nel suo cuore ha le valvole, gli stemmi e il sangue dell’Inter e così ha ragionato, un po’ da tifoso, un po’ da visionario, come tutti i grandi sanno fare.
Lo Special One si è presentato in Italia con dei riferimenti ben precisi: la passione portoghese, il volto da Hollywood, il completo che faceva tanto diverso rispetto ai nostri in tuta e scarpacce da tennis bianche, forse blu. Ma soprattutto un velo di magia, di mistico che fin dal suo arrivo ha enfatizzato come solo chi mantiene segreti i lati di sé sa fare. Allena Mourinho, lo fa da Dio e con dei paletti ben precisi, come la scaletta di un film di successo: ha tutto ciò che è richiesto per quell’epoca, soprattutto il carisma e la fortuna, componenti essenziali per arrivare alla vittoria. E poi anche quella spregiudicatezza che all’Inter proprio serviva in quel momento per abbattere la barriera europea dopo tanti scudetti messi già in cantiere.
Insomma, l’uomo giusto al momento giusto e senza che ci fossero tanti compromessi per definirlo. Quell’alone di mistero, lo spot con l’ombrello e la pioggia che arriva subito dopo (ricordate?), l’italiano subito padroneggiato, quel “Non sono un pirla” che ha fatto ridere tutta la sala stampa sono la prova di tecniche comunicative che gli sono proprie, spontanee. Come utilizzare il mancino per Lionel Messi. Quell’anima non l’ha mai persa, anche se in situazioni completamente diverse e con esiti molto diversi. La percezione, però, è che il suo tocco magico sia svanito con il suo picco, quello vissuto con la vittoria della Champions League da parte dell’Inter il 22 maggio 2010. Un cammino stupendo che, in ogni caso, ha avuto anche dei momenti difficili e altri semplicemente iconici.
Pensate al gesto delle manette a favor di telecamera in occasione di un Inter-Sampdoria in cui i nerazzurri si sono visti sventolare sulla testa due cartellini rossi, ma non hanno perso neanche in nove contro undici. In quel caso, e per tutte quelle stagioni, il tecnico portoghese si è eretto a condottiero di un intero popolo, il Giulio Cesare di un progetto che in lui ha raggiunto il suo culmine.
Ora, però, sono passati ben tredici anni e non si può ignorare il fatto che il contesto che Mourinho ha trovato alla Roma sia completamente diverso da quello nerazzurro. All’Inter lo Special One doveva essenzialmente compattare l’ambiente, creare una strato sottile di separazione tra il suo gruppo e tutto il resto, tutto ciò che è all’esterno, identificato genericamente come il rumore dei nemici.
Nella Capitale, innanzitutto, sono di gran lunga meno importanti le possibilità tecniche, togliendo dal novero Paulo Dybala che è la perla più splendente della squadra. Nella sua Roma, quindi, la sensazione è che a essere accentuato sia solamente quel lato difensivo che è stato fondamentale anche per l’Inter, ma mixato con tutto il resto, e soprattutto con campioni di un livello talmente alto da non avere bisogno di essere presi per mano per intendersi e trovare l’intesa giusta.
E poi l’ossessione di José con gli arbitri, se possibile, è anche peggiorata, facendo risultare il suo attuale personaggio ancora meno intrigante, dopo qualche insuccesso che già ha intaccato la sua aurea di vincente sempre e comunque. Sta di fatto che negli ultimi due anni è capitato fin troppe volte che Mourinho se la prendesse proprio con la classe arbitrale e con toni molto più duri rispetto a quanto non facesse in passato.
È come se la sua frustrazione, la sua tipica ironia di sorta si sia trasformata in una smania rabbiosa e vendicativa, ma anche nella ricerca di un capro espiatorio a tutti i costi. Ora non sappiamo di preciso, almeno non ancora, cosa sia successo tra i due e quali siano queste accuse tanto pesanti d cui parlava lo Special One, che intanto è stato squalificato per due giornate.
È notizia di oggi anche il fatto che l’ex Inter e Chelsea verrà ascoltato, tra la serata di mercoledì 1 marzo e giovedì 2 marzo, da un procuratore federale a Trigoria. Esattamente quello che aveva richiesto e con la finalità di dare una testimonianza diretta sullo scontro con Serra. Quindi, il caso non è affatto chiuso e saremo curiosi di saperne davvero di più, ma resta comunque la personalizzazione del caso da parte dell’allenatore in una delle serate peggiori della stagione.
Chi ha parlato più di Cremonese? Chi si è soffermato sulle pecche tecnico-tattiche di questa Roma? Sì, in molti sui social hanno lanciato gli sfottò e hanno fatto partire una seria ondata di critiche per lo Special One, ma comunque la possibilità di sviare l’attenzione Mou non se l’è fatta sfuggire. La differenza rispetto a quanto fatto all’Inter, a quelle famose manette, però, è evidente, perché è troppo grande in certe occasioni il vuoto da dover colmare. E poi è una questione di pura e nuda credibilità. Essenzialmente il credito che Mourinho ha conquistato con i tifosi dei nerazzurri era talmente tanto da garantirgli fiducia incondizionata. E i risultati si vedevano anche sul gruppo, sulla sua compattezza, sull’amore fraterno e sulle vittorie.
Attenzione, questo non vuol dire che lo Special One non abbia presa sui ragazzi che ora ha disposizione che, anzi, ha portato alla vittoria della Conference League e che lo considerano uno dei migliori in circolazione. Ma è semplicemente diverso, perché a essere diverso è Mourinho. Riflettete anche su un dato che all’Inter quasi mai si era visto: una volta espulso, pochi minuti prima del fischio finale il tecnico ha lasciato l’area a lui deputata, senza guardare il finale di partita. Rabbia sì, ma anche egocentrismo e forse qualche pizzico di rassegnazione per le sorti della squadra sul campo. Quella che in nerazzurro non ha mai avuto, anche nelle scommesse da tutti in attacco e quattro bomber contemporaneamente in campo, il tipico tutto per tutto. Distogliere l’attenzione sembra l’unica vera arma attualmente a disposizione anche per parare il gruppo dalle critiche che pioverebbero copiose dopo alcune prestazioni deludenti.
I problemi della Roma sul campo sono difficili da oscurare e da risolvere, ma facili da comprendere fino in fondo. A centrocampo la società, in accordo con l’allenatore, ha messo a disposizione diversi calciatori fisici, in modo da blindare la mediana con interpreti dalla stazza imponente. Anche in difesa sono stati privilegiati i dati atletici rispetto alla tecnica nuda e pura. I problemi si vedono soprattutto quando calciatori come Gianluca Mancini e Roger Ibanez sono costretti a portare avanti il pallone contro avversari parecchio chiusi e lasciano a loro l’impostazione della manovra, con tutti i loro limiti.
Anche la punta rappresenta un problema ancora non risolto per la Roma. Andrea Belotti finora è un oggetto misterioso che ancora non è riuscito a garantire continuità di gioco e prestazioni. Da Tammy Abraham ci si aspettava molto di più in zona gol, ma non sta andando così, anche perché – alcuni dicono – riceve pochi palloni giocabili. Le luci tecniche del gioco restano Lorenzo Pellegrini e Dybala, ma non è abbastanza per sorreggere l’intero peso della squadra. Anche perché gli esterni non riescono a fare tutto quel lavoro nell’uno contro uno, almeno non sempre.
I risultati della Roma evidenziano proprio questo stato di cose. Semplicemente è più facile vedere i giallorossi fallire la partita contro avversari più chiusa, quando sono proprio loro a essere costretti ad attaccare ed esporsi. Esattamente come successo contro la Cremonese. Invece, nel momento in cui incontra un avversario votato a offendere, Mourinho riesce a preparare al meglio la partita e chiudendo gli uomini migliori dell’attacco altrui, come ha sempre fatto, anche se di fronte c’era un certo Lionel Messi.
Il punto è che quel senso di difensivismo ora è arrivato a essere esasperato dalla logica del risultato a tutti i costi. Una mentalità che una volta in Italia era luogo comune, ma che ora si inserisce in un contesto del tutto diverso. Negli ultimi anni, i club stanno cercando sempre di più di mettere il gioco all’interno dei progetti, per poi unire tutti gli ingredienti necessari per arrivare a esprimerlo.
Basta guardare quello che sta facendo Luciano Spalletti al Napoli, ma anche quello che ha fatto Stefano Pioli al Milan. Non si può prescindere dal gioco, non ci stancheremo di scriverlo e ripeterlo, perché quando si passa dalla manovra si costruiscono i progetti seri. Se, invece, si privilegia solo la fase difensiva, si punta solo al risultato e difficilmente si riesce a vincere. Soprattutto si finisce per annoiare i tifosi, sempre più tecnici, esperti, dal palato fine e abituati ad avere il bello a disposizione dell’occhio.
Non serve molto per cambiare canale e guardare la Premier League, la Liga, il nostro Napoli. Sono tutte squadre con delle trame di gioco ben precise, un’identità chiara che sta esaltando le caratteristiche dei singoli giocatori. Mourinho chi ha migliorato da quando è arrivato alla Roma? Sì, Dybala con lui sta rendendo al meglio, ma ancora non come negli anni d’oro alla Juventus. Nicolò Zaniolo da talento assoluto si è trasformato in problema da estirpare alla radice e poi c’è stato anche il caso Karsdorp, un’altra trave nell’occhio dello Special One.
Ormai è difficile che questa ruota giri in senso opposto, ma vorremmo vedere un allenatore diverso, più evoluto e maturo. Non che cerchi sempre un parafulmine per insabbiare – per quanto possibile – i problemi della squadra e scatenare le attenzioni su di sé. Che si prenda le sue responsabilità proteggendo i suoi ragazzi e lavorando per migliorarli nei suoi difetti. Che capisca la sua nuova stagione calcistica e dia degli spunti diversi dal solito rischiando anche di subire un po’ di più, ma creando qualcosa a lungo termine. Non sappiamo ancora se Mourinho resterà alla Roma o se ne andrà alla fine, ma – Conference League a parte – se non dovesse arrivare la qualificazione alla Champions League, il suo ritorno sarebbe considerato un fallimento. Soprattutto un ridimensionamento in piena regola rispetto a quell’eroe magico che abbiamo conosciuto una quindicina di anni fa.