Negli ultimi giorni, l’attenzione è massima sulla possibilità che la guerra tra Russia e Ucraina subisca un’ulteriore svolta, in questo caso attraverso le armi nucleari di cui è in possesso Vladimir Putin. Il Consiglio comunale di Kiev ha già fornito pillole di ioduro di potassio ai centri di evacuazione. Ma queste compresse a cosa servono? E sono davvero così importanti per la prevenzione in caso di reale attacco atomico di Mosca?
Il conflitto a Est si compone di colpi sempre più bassi, in una guerra senza interruzioni e che ormai è diventata una battaglia cieca tra due muri che non vogliono saperne di trattare. Ricca di minacce, prove di forza, prepotenze e bugie, la maggior parte da parte della Russia. La contronfessiva ucraina ha reso Putin sempre più solo e, per certi versi, disperato, tanto da accelerare gli attacchi missilistici in diverse zone del Paese invaso e minacciare con ricorrenza sempre maggiore l’utilizzo dell’arma nucleare. L’utilizzo, soprattutto a livello preventivo, di pillole allo iodio non può sostituire la risoluzione diplomatica ed è assolutamente insufficiente anche dal punto di vista sanitario. Scopriamo come funzionano le compresse e perché gli endocrinologi l’hanno già definite “inutili” in questa situazione.
Sono mesi di terrore, di barbarie, di guerra, quelli in Ucraina e quindi per l’Est, gli Stati Uniti, l’Occidente e il mondo intero. Una guerra che si combatte sul campo, ovviamente, ma anche con armi di propaganda e minacce a denti stretti, di quelle che vanno oltre il buonsenso, già ampiamente oltrepassato dal maledetto 24 febbraio in cui tutto è cominciato.
La controffensiva ucraina ha svelato il volto di una Russia più debole, quindi ancora più pericolosa. Lo dimostrano i referendum farsa per annettere in fretta e furia i territori della controparte con l’imbroglio diplomatico e l’intimidazione latente (ma neanche tanto) che sottendono: in caso di attacco alle regioni ormai considerate russe, Putin si sentirà autorizzato all’utilizzo della triade nucleare e ha più volte sottolineato che non si tratta di un bluff.
Il rischio, però, c’era da mesi. Basti pensare a ciò che sta accadendo alla centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, alla missione Aiea, agenzia che ha chiesto più volte l’istituzione di una zona sicura attorno all’impianto. Niente di tutto questo finora è stato realizzato, anzi i combattimenti hanno spesso avuto luogo proprio in quella regione: il disastro nucleare è stato più volte sfiorato e i precedenti nella storia dimostrano che sarebbe uno scenario assolutamente drammatico.
L’incidente di Chernobyl del 1986 ha dimostrato quanto possa essere devastante la fuoriuscita e la propagazione di radiazioni da impianti tanto imponenti, ma, più di recente, si pensi a quanto accaduto a Fukushima nel 2011. La storia ci ha insegnato, nel breve, medio e lungo periodo, come gli effetti siano tragici per la popolazione. Innanzitutto, è fondamentale valutare l’entità dell’esposizione alle radiazioni: sicuramente le conseguenze per i cittadini di Chernobyl sono state differenti rispetto a chi si trovava a centinaia di chilometri dall’impianto, o peggio a chi ci lavorava al momento dell’incidente. E poi fa la differenza anche il tempo di esposizione alle radiazioni.
Innanzitutto, chi si trova nelle immediate vicinanze dell’esplosione rischia di morire subito o nel giro di poche ore, o per la deflagrazione o per i danni ai radiatori o ancora per essere entrato in contatto diretto con il materiale radioattivo. Poi, non va dimenticata la sindrome acuta da radiazioni che colpisce chi è stato esposto e ne ha assorbito in quantità elevate. Può verificarsi poche ore dopo o diversi giorni dopo il contatto e ha un ventaglio di sintomi piuttosto ampio: parliamo di nausea, vomito, febbre, dolore alla testa, problemi gastrointestinali e poi anche danni al midollo osseo, convulsioni e addirittura emorragie interne e coma. Chi pensa si tratti di una condizione passeggera è fuori strada, perché la sintomatologia può riacutizzarsi anche quando il problema sembra superato, e durare anche per diversi mesi.
Se si valutano poi i danni nel medio periodo, si parla di tumori del sangue, quindi linfomi e leucemie, dovuti ai problemi a carico del midollo osseo, predisposto all’assorbimento delle radiazioni. Ancora, anche dopo molti anni, aumenta di tanto la possibilità di esprimere un carcinoma della tiroide e qui il discorso si allarga ulteriormente. Infatti, l’utilizzo delle armi nucleari porta alla contaminazione di ambiente, falde acquifere, cibo anche a grande distanza dal luogo della deflagrazione. Vivere in zone interessate fa impennare la possibilità di contrarre tumori della tiroide, ghiandola molto sensibile alle radiazioni. Pensate che, nel caso di un disastro nucleare a Zaporizhzhia, si stima che la diffusione arriverebbe alle porte della Germania.
I rischi di un nuovo incidente nucleare o dell’utilizzo dell’arma atomica avrebbero, quindi, in entrambi i casi, effetti devastanti. La risposta dell’Ucraina, per il momento, è arrivata dal Consiglio comunale di Kiev. Infatti, poco meno di una settimana fa, ha iniziato a fornire i centri di evacuazione di pillole di ioduro di potassio (KI) che servirebbero a inibire l’assorbimento dello iodio radioattivo da parte della tiroide.
Addirittura, l’Ucraina ha chiesto all’Unione europea, già il 26 agosto, compresse in grande quantità come misura preventiva in caso di disastri nucleari su larga scala. Il Centro europeo di coordinamento della risposta alle emergenze si è mossa rapidamente, mobilitando 5,5 milioni di pillole verso il Paese invaso, di cui larga maggioranza sono state prese dalle riserve di emergenza. Ricordiamo, infatti, che non si tratta di prodotti acquistabili in farmacia, ma di pertinenza della Protezione Civile e del Servizio Sanitario Nazionale, in Italia.
Lo ioduro di potassio, però, non va comunque assunto a cuor leggero e farlo a scopo preventivo, con giorni di anticipo, rappresenta un controsenso medico. Infatti, la tiroide è una ghiandola che può tollerare una dose di potassio di circa 1 mg al giorno, che comunque dipende dalla fascia d’età e da diversi fattori. L’effetto protettivo delle pillole KI si realizza nel momento in cui, solo poche ore prima dell’esposizione allo iodio radioattivo, si fa partire la profilassi e si satura completamente la tiroide con l’assunzione delle compresse. Infatti, la ghiandola non è in grado di distinguere tra iodio stabile e radioattivo e le pillole in questione contengono un dose centinaia di volte maggiore rispetto a quella consigliata giornalmente, seguendo la profilassi. Si ottiene, in pratica, un blocco tiroideo che non permette l’ulteriore assunzione degli isotopi radioattivi dello iodio. Come una scatola talmente piena da non riuscire a infilarci neppure uno spillo.
Ovviamente, quantità talmente alte vanno comunque modulate e assunte con il timing giusto e soprattutto quando si ha la certezza di venire a contatto con le forme radioattive degli atomi. Una strategia di questo tipo, infatti, presenta effetti avversi importantissimi a carico della tiroide come infiammazioni autoimmuni, tiroiditi di Hashimoto, praticamente la distruzione della ghiandola. Un effetto kamikaze che non può essere sottovaluto in profilassi di questo tipo e con l’effetto fai da te che incombe, di fronte al terrore di un disastro nucleare in atto.
L’assunzione delle pillole allo iodio ha anche un altro rischio da non sottovalutare. In chi presenta alcuni tipi di noduli tiroidei o in chi soffre di ipertiroidismo, la ghiandola funzionerà con ancora più velocità e inizierà a secernere ormoni in quantità elevatissime. Ciò può portare a crisi severe, la cosiddetta tempesta tiroidea, che può manifestarsi anche con aritmie cardiache e avere conseguenze mortali.
Le compresse di ioduro di potassio, inoltre, proteggono solo dagli isotopi radioattivi dello iodio, ma non da tutti gli altri emessi, in caso di disastro nucleare, e che verrebbero comunque assorbiti. Si tratta, quindi, di una strategia rischiosa e parziale che diversi endocrinologi hanno definito “inutile” per fronteggiare attacchi nucleari o catastrofi in impianti così importanti, come quelle che potrebbero verificarsi in Ucraina.
La risposta, in eventi di questa portata, non può che essere politica e diplomatica, perché non esistono farmaci che possano del tutto proteggere la popolazione. Un dato di fatto con cui la comunità internazionale deve fare i conti in questi giorni, perché la corsa all’approvvigionamento di queste compresse e la loro assunzione rischia di avere gli effetti di una goccia d’acqua per spegnere un incendio. Se e quando la ragione inizierà ad avere il sopravvento, sarà quello l’unico antidoto per un’escalation nucleare che sarebbe semplicemente catastrofica. Senza pillole che tengano.
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