A quanto pare l’affidamento verso il web ed i portali di ricerca è tale da sgravare chiunque vi si rimetta perfino dalla responsabilità di aver selezionato una fonte di informazione piuttosto che un’altra: eppure è ciò che è successo a Jesi a due genitori, provetti medici fai-da-te.
Portati a processo per lesioni multiple sul corpo del loro figlio neonato, i genitori del piccolo sono stati scagionati perché i traumi sarebbero dovuti a Google, in quanto i due ne avrebbero solo seguito i consigli medici.
La vicenda del neonato
I fatti si svolgono a Jesi, vicino ad Ancona, nel 2018 quando una coppia di giovani genitori sta tentando di aiutare il loro bambino ad evacuare correttamente. Per farlo, in quanto inesperti, i due decidono di ottenere qualche utile spunto dal più popolare motore di ricerca esistente: Google.
Tuttavia, dopo aver svolto alcune manovre sul neonato trovate online, il riscontro non è stato quello sperato o prospettato. Così i due hanno deciso di recarsi in una struttura più atta a monitorare e aiutare il fisico di chi ne senta il bisogno: ossia l’ospedale pediatrico Salesi di Ancona.
Qui i primi accertamenti hanno evidenziato la presenza di fratture plurime sul corpo del bambino che hanno fatto perciò scattare il procedimento verso la coppia di genitori per maltrattamenti.
Inizialmente difatti le lesioni sono state ritenute incompatibili con i movimenti che madre e padre affermavano di aver compiuto sotto le direttive di Google.
Da qui l’allontanamento del figlio dalla coppia e la sua custodia, che ormai perdura da 4 anni, a due affidatari.
Google e responsabilità
Ora il ribaltamento: la difesa della coppia jesina ha dimostrato invece la sovrapponibilità dei traumi alle manovre indicate online. La nuova perizia ha così sgravato i genitori del piccolo dalle responsabilità dolose, ridimensionandole a danni colposi. Questo ha portato la pena dai 4 anni e 6 mesi iniziali, ai 3 mesi definitivi.
Quindi, se da un lato viene riconosciuta alla coppia la non volontà di fare del male al bambino, nondimeno viene negato quel fenomeno sempre più dilagante nell’era della esplosione dei mezzi di informazione alternativi e avulsi dalle classiche pratiche di verifica delle conoscenze scientifiche o specialistiche in genere.
Se infatti ai genitori marchigiani non può essere imputata l’intenzione volontaria di ledere all’infante, resta in piedi la responsabilità di questi di aver ritenuto le parole scritte da una fonte non verificata e verificabile, come la loro assente preparazione in campo di manovre mediche, comunque bastevoli ad intervenire sul corpo del neonato, coi risultati poi emersi.
Di conseguenza i due possono sentirsi alleggeriti dall’accusa di dolo; permane quella sulla responsabilità di scelte che tradiscono una reale consapevolezza delle conseguenze delle proprie decisioni: Google offre già tanti servizi, non può pure sobbarcarsi la responsabilità umana.