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Ci sono nomi che a noi “civili”, così come si dice in gergo giornalistico, non vogliono dire nulla. Anzi ci risultano incomprensibili e senza senso. In realtà dietro quei nomi si celano persone, con le loro storie, le loro angosce personali e professionali, i loro sogni e le loro paure. Sono i nomi radio degli equipaggi di Polizia. Quarto Savona 15 e Quarto Savona 21 erano due di questi e dietro quei nomi si celavano le scorte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Ma soprattutto ci sono nomi di persone che meriterebbero di essere più conosciuti e più ricordati.
Se è normale che i loro nomi radio siano insignificanti per la maggior parte degli italiani, che ovviamente non conoscono le dinamiche e l’organizzazione delle Forze dell’Ordine, lascia perplessi come in realtà siano completamente sconosciuti ai più anche i nomi propri di quegli agenti che nello svolgere quel ruolo hanno trovato la morte.
Chiunque, in Italia, credo (o almeno spero) sappia chi erano Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Ninnì Casserà, Rocco Chinnici e Beppe Montana. Ma chi, invece, sa chi erano Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo o Agostino Catalano ed Emanuela Loi?
Falcone e Borsellino in primis, ma poi anche Chinnici, Montana e tutti gli altri sono infatti diventati personaggi simbolo della lotta di quella parte onesta dello Stato contro la mafia e la criminalità organizzata in genere e per questo si ritiene – a ragione – che debbano essere ricordati. Eppure lo stesso impegno profuso da costoro nella lotta alla mafia, venne in realtà speso anche da quegli agenti che arrivarono a sacrificare la loro vita, già prima di morire, per proteggere quella di questi uomini.
Nel ricordare Falcone e Borsellino, li abbiamo fatti diventare degli eroi, li abbiamo eletti martiri, come fossero stati qualcosa di più e qualcosa di diverso da tutti noi. Messi di fronte alla nostra vigliaccheria, alla nostra paura e al nostro egoismo, abbiamo cercato di proteggere il nostro voltare la faccia dall’altro per non vedere o chinare il capo perché è più conveniente, rendendo loro qualcosa di superiore al nostro essere maledettamente umani.
Lo stesso, però, non avremmo potuto farlo anche con gli agenti della scorta: sarebbero stati troppi gli uomini “straordinari” e anche le nostre coscienze avrebbero cominciato a capire che quella divinizzazione era in realtà soltanto una nostra invenzione per sentirci in diritto di essere da meno. Quel teorema costruito nella nostra mente secondo cui «sì, lui l’ha fatto ma era Giovanni Falcone, Paolo Borsellino o Rocco Chinnici» sarebbe venuto a cadere se avessimo dovuto aggiungere a quell’elenco anche tutti i nomi degli agenti delle scorte. Così abbiamo preferito dimenticare quei nomi, consegnare il loro ricordo all’oblio del tempo.
Antonio, Vito, Rocco, Agostino e tutti gli altri, che forse sarebbe meglio chiamare gli agenti della Quarto Savona 15 e della Quarto Savona 21 per evitare di dimenticarne anche uno solo, sono la dimostrazione, che abbiamo voluto cancellare, di come non sia necessario essere per forza Giovanni Falcone o Paolo Borsellino per essere dei cittadini per bene, degli onesti servitori dello Stato e dei coraggiosi eroi dell’antimafia. Quegli agenti ci hanno dimostrato quanto ciascuno di noi possa contribuire, a modo suo, per rendere questo mondo un posto migliore.
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