Questi Mondiali in Qatar, in cui la politica ha tolto molto spesso al calcio giocato, lasciando spazio altrettanto spesso a quello chiacchierato, stanno arrivando alle battute finali. E sono almeno due le sorprese vere che, a vedere il rovescio della medaglia, hanno anche comportato lacrime di quelli che sarebbero voluti continuare a essere dei protagonisti.
L’emblema sono Neymar e Cristiano Ronaldo, il Brasile e il Portogallo, che hanno lasciato il campo rispettivamente alla Croazia – arrivata per la seconda edizione di fila alle semifinali – e al Marocco, che invece è la prima Nazionale dell’Africa ad arrivare così lontano. In mezzo e dopo, l’Argentina di Lionel Messi ha battuto ai rigori l’Olanda di Louis van Gaal, rianimata nel finale e fatta fuori solo dal tiro decisivo di Lautaro Martinez, l’attaccante dell’Inter, mentre la Francia di Didier Deschamps, soffrendo, ha mandato a casa un’Inghilterra che, sicuramente, avrebbe meritato di più. L’obiettivo, d’altronde, è bissare il successo di Russia 2018, si riuscirà?
I Mondiali in Qatar sono stati, sono e saranno l’ultimo valzer di molti giocatori che hanno segnato la storia del calcio negli ultimi anni. Per qualcuno sono finiti prima del tempo, pensiamo a tutti i pezzi da novanta dell’Uruguay, altri hanno lasciato la scena quando il gioco si è fatto un po’ più duro, per esempio Cristiano Ronaldo, uscito dal campo in lacrime dopo la partita persa contro il Marocco del suo Portogallo. E proprio i marocchini sfideranno i campioni del mondo della Francia in una semifinale che, ora come ora, è tutto meno che scontata. L’appuntamento è mercoledì alle 20, e ne vedremo delle belle, le stesse che abbiamo visto oggi, in un inedito che sa di magia.
FRANCIA-INGHILTERRA 2-1 – A chiudere il quadro, un quarto di finale che ha più il profumo dell’ultimo atto, ma arrivato molto prima. Da una parte ci sono i campioni del mondo in carica che sì, vorrebbero bissare il successo del 2018, dall’altra la Nazionale che è uscita con le ossa rotta da Wembley lo scorso luglio contro l’Italia agli Europei. La voglia di conferma, insomma, contro il riscatto, Kylian Mbappé contro Jude Bellingham, Olivier Giroud contro Harry Kane.
Nessuno di loro, però, sblocca la gara – la più godibile di quelle viste finora perché nessuno si tira indietro -, infatti, a segnare il gol dell’1-0 ci pensa Aurelien Tchouameni, il centrocampista del Real Madrid. Ed è bellissimo, preciso, da fuori area che neanche Jordan Pickford ci arriva.
Di portiere in portiere, a tenere a galla i galletti c’è Hugo Lloris. Lo fa dopo il 17esimo, dopo la rete del vantaggio del classe 2000, aiutato da Adrien Rabiot, ma lo fa soprattutto al ritorno dagli spogliatoi quando risponde indirettamente alla stampa inglese che lo ha dipinto come l’anello debole della Nazionale di Didier Deschamps e devia un tiro velenosissimo del fuoriclasse del Borussia Dortmund.
È uno spettacolo, uno dei primi che si vedono in Qatar, perché l’assedio degli uomini di Gareth Southgate frutta un calcio di rigore, conquistato da Bukayo Saka ma trasformato con freddezza dal capitano e attaccante del Tottenham.
Da qui in poi, parte il festival delle emozioni che mostra la forza offensiva di entrambe le squadre, senza fraintendimenti di sorta. La Francia non si lecca le ferite dopo l’1-1 di Kane, anzi attacca con forza, nel tentativo immediato di rimettere il muso avanti rispetto agli inglesi. Rabiot ha subito un’occasione importante, ma il suo tiro dal limite dell’area di rigore viene neutralizzato da Pickford. A questo punto, proprio nel momento più difficile, entra in gioco Mbappé. Il fuoriclasse del PSG brucia un avversario con un’accelerazione delle sue sulla fascia sinistra, poi mette al centro un pallone molto invitante che Giroud lascia scorrere e che Ousmane Dembele manca clamorosamente.
L’Inghilterra, però, non è morta, anzi dà subito segnali di essere pienamente in partita con una conclusione da lontano di Saka che non trova la via del gol. Il ping pong di occasioni da una parte e dell’altra va avanti su questa scia, ancora con Dembele, poi con Saka e infine con Giroud, che non controlla un bel pallone profondo. Aumentano anche i lanci lunghi, come se le squadre abbiano capito che trovare la profondità per gli attaccanti è la via giusta per arrivare al gol e farlo in fretta.
Al 70esimo arriva la palla più pesante del match e capita sulla testa di Harry Maguire. Un calcio piazzato dalla destra trova tutto solo il criticatissimo difensore centrale che stacca alla grande e gira il pallone verso la porta francese: la palla, però, bacia il palo e termina sul fondo. È solo un avvertimento, perché dopo un solo minuto Saka va di nuovo vicino al gol, ma è provvidenziale un intervento difensivo di Theo Hernandez.
La Francia ha bisogno di un colpo di genio, della sua qualità. E al 77esimo arriva uno squillo importante di Giroud che sfrutta una sponda proveniente dal secondo palo e calcia al volo, ma Pickford si supera e respinge. Sono solo le prove generali per il gol. Antoine Griezmann mette al centro un pallone meraviglioso con il mancino, ancora il bomber del Milan anticipa sul primo palo e brucia sul tempo Maguire, segnando un gran gol per il 2-1. La gioia incontenibile del calciatore francese è seguita dall’esultanza pazzesca di Deschamps e di tutta la panchina francese. Giroud è quasi vicino alle lacrime.
Come successo in occasione dell’1-1 di Kane, l’Inghilterra passa subito al contrattacco e all’81esimo il terzino rossonero commette un’ingenuità e spinge Mason Mount in area. Dopo un controllo Var, l’arbitro assegna il rigore agli uomini di Southgate. Il capitano si prepara, di nuovo, accarezza il pallone come fosse quello di una vita intera, poi però lo spara alle stelle, sopra la traversa. Sì resta sul 2-1 e i tifosi inglesi iniziano già a piangere, pescati dalle telecamere.
La partita, da qui in poi, rallenta e si innervosisce anche un po’. L’arbitro intanto assegna otto minuti di recupero, quelli delle residue speranze inglesi. Luke Shaw scende sulla sinistra e trova un incerto Lloris, che si difende spedendo il pallone in calcio d’angolo. Ci prova anche Raheem Sterling, ma stavolta l’estremo difensore del Tottenham è sicuro. I restanti tentativi dell’Inghilterra non portano al risultato sperato: con qualche difficoltà, ma passa la Francia, ancora lì a difendere l’ultimo trionfo iridato. Altra delusione, invece, per i britannici: anche stavolta non è tornata a casa e non c’è neppure andata vicino.
MAROCCO-PORTOGALLO 1-0 – Neymar ha salutato tra le lacrime, Lionel Messi è in semifinale con tanto di gol, assist e rigori segnati, ma ne parleremo meglio dopo. E Cristiano Ronaldo? Il fenomeno portoghese non parte neanche titolare nel match contro il Marocco. Una squadra che non è affatto da sottovalutare visto il gioco che ha espresso in questo Mondiale, eppure gli iberici partono comunque con i favori del pronostico, destinati, secondo molti, ad arrivare fino alla fine. Prima del fischio d’inizio, scusate la schiettezza, si parla più di CR7 rispetto alle squadre in campo. Sbagliando. I cameramen si dividono: tanti inquadrano il campo, gli inni, gli ultimi attimi di attesa prima di un quarto di finale di un Mondiale. E gli altri? Tutti gli occhi verso Ronaldo, verso uno dei calciatori più forti della storia. O forse è più la caccia alla notizia, visto quanto ha passato il bomber nel suo bis in quel di Manchester e quanto sta accadendo con Fernando Santos. Se due indizi fanno una prova, non può essere affatto casuale.
La partita comincia e la grande sorpresa prende forma. Il Marocco va a mille all’ora, forse anche più delle altre volte. Attacca, difende benissimo, riconquista palla e si lancia verso l’area avversaria con tutta la schiettezza del caso, con la voglia di fare male. Il Portogallo, invece, quella realtà incontenibile, quel talento smisurato e quella spinta sulle fasce sembra come inserito in una gabbia. Esattamente com’era successo contro la Spagna. Passano i minuti ma la musica non cambia, anzi il Marocco prende coraggio, continua a volare con la qualità del suo centrocampo e delle sue ali. Si chiude e propone, poi ancora e ancora. Aumentando di volta in volta pericolosità, anche senza tanta precisione.
Gli africani giocano talmente bene, con un Sofian Amrabat in grande spolvero, che di occasioni ne subiscono pochissime dal Portogallo. Anzi, a parte qualche guizzo di Bruno Fernandes, raramente gli uomini di Santos riescono a creare delle vere e proprie occasioni da gol. Al 42esimo arriva anche il vantaggio del Marocco, con la spinta ossessiva del suo pubblico: grave errore del portiere Diogo Costa e Youssef En Nesyri firma il gol del vantaggio. Festa grande sugli spalti e in campo, almeno dalla parte degli africani: il sogno continua.
Il Portogallo rientra nella ripresa come chi ha fretta di ribaltare le cose, ma la gabbia del Marocco continua a imbrigliare gli avversari. Fernando Santos aspetta solo altri cinque minuti e ritorna di fatto sui suoi passi: entrano Joao Cancelo e soprattutto Cristiano Ronaldo. Il fenomeno, ormai ex Manchester United, parte con un paio di scatti insidiosi, ma che fanno solo il solletico alla retroguardia africana. Poi anche lui va normalizzandosi e allora ci vuole anche Rafael Leao per cercare di raggiungere il pareggio. Nella girandola di cambi, entra anche quel Walid Cheddira che vediamo segnare puntualmente con la maglia del Bari, ma che con il Marocco fa fatica a ritrovare il feeling con gol. Oggi non è diverso. La partita si apre un po’, ma Bruno Fernandes non trova la via del gol e neanche Ronaldo, ipnotizzato da Yassine Bounou. Dall’altra parte, invece, è proprio l’attaccante del Bari a rendersi pericoloso, ma anche stavolta senza trovare neppure la porta.
I tanti minuti di recupero decisi dall’arbitro assumono le forme di un vero e proprio psicodramma, un altro dopo quello del Brasile di solo 24 ore prima. Il Portogallo cerca di mettere al centro una serie di cross che sembrano più le mosse della disperazione e non delle trame di gioco precedentemente preparate. L’occasione più grande ce l’ha Pepe, ma anche il difensore centrale non riesce a fare centro. Restano pochi secondi, il Marocco si arrocca in difesa e copre tutti gli spazi, mentre gli iberici toccano sempre più concretamente la possibilità di finire fuori dal Mondiale per mano della principale outsider del torneo.
Poi arriva al triplice fischio: il clamoroso diventa realtà e il Marocco scrive la storia, riuscendo a essere la prima squadra africana ad arrivare in semifinale. Non era mai successo. Ma anche in questo caso, la dura realtà viene sbattuta nel muso a tutto il mondo del calcio. Non ci sarà una finale Messi contro Ronaldo, non ci sarà l’ultimo ballo. E soprattutto per il fenomeno ex Real Madrid finisce qui, tra le lacrime che lo accompagnano anche nel tunnel, dopo l’ingresso negli spogliatoi, anche stavolta spiato dalle telecamere. Il suo mito non finirà qui, sarà immortale, ma la sua immagine desolata, sconfortata e, stavolta sì, perdente è la caduta di un mito in fase discendente, che ha fallito l’ultima occasione con la sua Nazionale per superare anche la leggenda. Obrigado, Cristiano, sei stato meraviglioso. E siamo certi che lo sarai ancora, se ti sarà permesso.
La prima semifinale, che si giocherà martedì alle 20, invece, non è una novità per nessuna delle due squadre. Non tanto per la sfida tra di loro al penultimo atto, chiaramente inedita, ma perché l’Argentina, che ha battuto ai rigori l’Olanda, dopo essere stata rimontata di due gol nei tempi regolamentari, ha già vinto due Mondiali e punta al terzo, e perché la Croazia che, invece, ha spedito il Brasile di Neymar a casa, l’ha raggiunta per la seconda volta di fila, e nonostante i tanti cambi rispetto al 2018.
BRASILE-CROAZIA 1-2 (d.c.r) – Fino a questo momento, per descrivere il Mondiale del Brasile c’era bisogno di due parole: gioia e solidità. Se la prima è una caratteristica comune, fin da tempi di Pelé e anche molto prima, dell’identità di un popolo intero che nel calcio vede proprio sangue, samba e spettacolo, ma soprattutto divertimento, la seconda è un po’ una novità inaspettata. Eppure, quella retroguardia così serrata, e che ha dentro anche una bella macchia juventina, funziona. Il problema è che probabilmente toglie un bel po’ alla proposta offensiva di Tite, non per forza per volontà del commissario tecnico che è – sì, anche lui – all’ultimo ballo a tinte verdeoro.
Con la Croazia questo doppio fattore è evidente fin dai primi minuti del match. Anche perché gli uomini di Zlatko Dalic non sono proprio tra quelli che ti fanno giocare bene. Si chiudono dietro, con un grande lavoro di rientro da parte degli esterni e con un Ivan Perisic in grande spolvero. E poi hanno acquisito un’esperienza internazionale niente male, di chi nell’ultima edizione è stato sconfitto solo in finale. Il Brasile fa la partita, ci prova, ma crea con difficoltà delle vere palle gol. Ogni tanto si fa vedere anche la Croazia dalle parti di Alisson, ma senza riuscire a trovare la via del gol.
Neanche la presenza di Neymar sulla trequarti riesce a dare un’accelerata al match. Il campione del PSG ci prova, ma trovare spazio tra le maglie a scacchi è maledettamente difficile. Con Josko Gvardiol sugli scudi e che si conferma uno dei migliori difensori in assoluto di tutto il Mondiale. Il primo tempo si spegne così, sullo 0-0 e con la sensazione che il Brasile sia davvero in difficoltà, come mai l’avevamo visto nelle ultime settimane, neanche nell’unica sconfitta del girone. Il secondo tempo inizia con l’attacco furioso dei verdeoro che cercano subito di indirizzare la partita a loro favore. Ma il risultato non si sblocca, non ancora.
Intanto, Luka Modric sale in cattedra, nascondendo il pallone in lungo e largo agli avversari. E ci pensa anche Marcelo Brozovic ad addormentare la partita, correndo più di tutti gli altri e impostando la manovra con rara qualità. Semplicemente essenziale. Tite allora non aspetta più e spera di risolvere le cose con una serie di cambi, soprattutto in attacco, per cercare di prevalere sui croati nell’uno contro uno. Né Antony, né Rodrygo sembrano particolarmente ispirati, almeno non abbastanza per sfondare il muro degli uomini di Dalic. Così la partita si avvia verso la sua fase finale ed entra anche Pedro per dare quel peso di cui finora aveva difettato il Brasile negli ultimi metri prima del gol. La Croazia si abbassa, è vero, ma resiste e porta la squadra favorita per la vittoria finale ai tempi supplementari. Probabilmente non se l’aspettava nessuno.
E dal 91esimo comunque la musica non cambia. Il Brasile tenta di spingere, di farlo con le tutte forze residue per scongiurare la lotteria dei rigori, mentre la Croazia riparte anche buona cattiveria, soprattutto con Bruno Petkovic e Perisic. Al 106 minuto, quando già alcuni pensano a chi mandare incontro al suo destino dagli undici metri, il lampo del campione arriva dall’uomo più atteso. Neymar prende il pallone centralmente e inizia una serie di scambi con i compagni che lo portano tutto solo davanti a Dominik Livakovic. Lo scarta e segna il vantaggio. Sembra la fine di un incubo, una liberazione e un pericolo sventato allo stesso tempo. I tifosi cantano e ballano, in pieno stile brasiliano, quello che porta alla vittoria.
Eppure, la Croazia non si arrende a un’eliminazione prematura da questo Mondiale. Raccoglie le forze residue e rientra in partita con tutta la cattiveria necessaria. Al 117esimo, forse anche per qualche difetto di troppo degli uomini di Tite nel possesso palla, lo sforzo dei vicecampioni del mondo viene premiato. Mislav Orsic imbecca Petkovic, l’uomo che non ti aspetti e che firma un 1-1, a quel punto, totalmente inaspettato. Da qui inizia un vero e proprio psicodramma tutto brasiliano. I tifosi sono ammutoliti, in ansia, devastati. E i calciatori sembrano frustrati da quanto successo, incapaci di reagire per davvero, insomma l’inerzia della partita e della qualificazione è totalmente cambiata. E ora si va ai rigori.
Dagli undici metri, parte bene la Croazia con Nikola Vlasic, centrocampista del Torino, che gonfia la rete. Sbaglia subito, invece, Rodrygo chiudendo con peggio non poteva un Mondiale non eccezionale. Lovro Majer porta al raddoppio croato e materializza l’incubo dei sudamericani. Poi arrivano i rigori pesanti e nessuno fallisce l’appuntamento con il gol: Casemiro, Modric e Pedro fanno centro con tre grandi realizzazioni. A questo punto il pallone più pesante è sul piede destro di Marquinhos, che parte con una rincorsa un po’ incerta, di quelle lente e infinite. Il suo tiro si schianta sul palo e torna in campo, mentre il Brasile è condannato a un’eliminazione storica, che alimenta l’astinenza verdeoro: la finale di un Mondiale non arriva dal lontano 2002.
La festa croata e le lacrime di Neymar e compagni fanno da contorno a un risultato storico per Dalic e i suoi uomini, capaci di arrivare tra le primissime per due edizioni di fila. La notizia, però, – non ce ne vogliano Brozovic e compagni – è l’eliminazione del Brasile. Sorprendente, deludente, usate un po’ gli aggettivi che volete. In patria li definiranno addirittura inesperti. Resta il fatto che ci si aspettava di più nel momento che più contava e così non è stato. Passa sempre chi merita, chi dimostra di volerlo di più e ai ragazzi di Tite sono mancate troppe cose. Soprattutto quella voglia di spettacolo e gioia che ricopre ogni pallone e ogni giocata, fino a scrivere la storia. Stavolta, la favola è rimasta a metà, spegnendosi in un amaro in bocca che sa di rivoluzione necessaria.
OLANDA-ARGENTINA 2-3 (d.c.r) – L’Olanda affronta l’Argentina in un match dai mille significati. Louis van Gaal contro l’Albiceleste, l’ambizione di Lionel Scaloni, nonostante i tanti singhiozzi emessi finora ai Mondiali, ma soprattutto Messi. Sì, lui. Quella Pulce con il 10 sulle spalle che ha la mania della storia e dello spettacolo e la rara capacità, che l’ha già reso eterno, di lasciare tutti a bocca aperta. L’ha fatto per una carriera intera, ma la carta d’identità corre anche per i marziani e, quindi, è già tempo di ultime volte, ultimi balli, prima che la musica venga spenta del tutto, anche per lui.
Il peso dell’obbligo di non fallire Messi lo sente tutte sulle spalle larghe di chi del calcio ha riscritto le regole e la magia non lo abbandona al 35esimo. Dopo un inizio di partita lento e ragionato, in cui nessuna delle due squadre è riuscita realmente a prevalere sull’altra, un lampo dell’ex Barcellona conduce direttamente al vantaggio. Messi porta palla sulla trequarti, nella zona che più gli piace. Si porta a spasso mezza difesa, poi verticalizza senza neppure guardare verso Nahuel Molina che va in rete. Il pubblico esplode, l’idolatria pure: giudicate voi se in maniera eccessiva o meno. Si va a riposo così, con la luce che abbaglia ancora gli occhi, ma con almeno 45 minuti ancora, o forse un po’ di più, per accedere direttamente alla semifinale.
Nel secondo tempo, van Gaal fa diversi cambi e sbilancia un po’ anche la squadra. Le occasioni ci sono, ma al 73esimo è l’Argentina che trova il raddoppio. Messi si presenta dal dischetto e non sbaglia: gol e assist per la Pulce, anche un biglietto timbrato per la storia. Per chi credeva che la partita si spegnesse così, non ha fatto certamente i conti con un’Olanda che non sarà quella dei tempi d’oro, ma che è squadra fisica e aggressiva, senza alcuna voglia di arrendersi.
Al 78esimo il commissario tecnico azzecca la mossa giusta e mette in campo un certo Wout Weghorst, un bomber alto e forse un po’ impallato, soprattutto non proprio noto al calcio che più conta, quello della Champions League e dei grandi club. Eppure, gli bastano solo cinque minuti per mettere a segno il gol che accorcia le distanze. Poi, addirittura al 101esimo, dopo un bello schema su punizione di Teun Koopmeiners è ancora Weghorst a bloccare il punteggio sul 2-2. Incredibile. E che proteste! Sì, perché Messi e compagni non hanno affatto preso bene il fatto che l’arbitro abbia concesso di batterla quella punizione.
Il nervosismo, dai momenti finali in poi, la fa da padrone. Leandro Paredes scaglia un pallone contro la panchina dell’Olanda, si crea un parapiglia: la partita, quella vera, continuerà ai supplementari. Supplementari che sono praticamente la fiera delle ammonizioni, ma anche con qualche occasione importante da entrambe le parti. A dire il vero, specialmente per l’Argentina. Enzo Fernandez colpisce un palo clamoroso dalla distanza, poi domina soprattutto la stanchezza e la voglia di calci di rigore. Nonostante tutto l’amaro in bocca che l’Albiceleste porta con sé e che deve trasformare in voglia incontenibile anche nei calci di rigore.
Così, con le mani che tremano per la rabbia e le gambe che tremano per l’emozione, si arriva ai calci di rigore. Sotto i tifosi dell’Argentina e con l’Olanda che batte per prima. Si presenta Virgil van Dijk, un gigante – in ogni senso – ma che non ha come specialità quella di essere un rigorista. E, infatti, il suo tentativo viene respinto da Emiliano Martinez. Poi tocca già a Messi e lui no, non sbaglia. Il pubblico esulta e lo fa anche di più quando sbaglia anche Steven Berghuis. Koopmeiners, Gonzalo Montiel e Weghorst – manco a dirlo – vanno tutti e tre a segno, prima dell’errore di Enzo Fernandez. Un’altra rimonta, però, non è ammissibile, non per l’Argentina: dopo il gol di Luuk de Jong, Lautaro Martinez incrocia e gonfia la rete. Poi libera la sua gioia in un’esultanza tipicamente sudamericana, di quella con i muscoli contratti e le urla a squarciagola, superate solo da quelle dei tifosi. Lo raggiungono anche i compagni, ma solo dopo aver sbeffeggiato gli avversari olandesi e causando l’espulsione di Denzel Dumfries. Un finale che preferiremmo non aver visto, ma che non cambia la sostanza delle cose: l’Argentina è a sole due vittorie dal trionfo, e lo è anche Messi. Ma il meglio, o il peggio, devono ancora venire.
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