L’esecutivo è chiamato a rispondere della difficile situazione economica che serpeggia nel Paese. Molti i nodi da districare: per questo il premier Draghi ha intenzione di fissare, il più presto possibile, un tavolo di confronto con sindacati e rappresentanza imprenditoriale. Le questioni dirimenti: retribuzioni e contratti di assunzione.
L’inflazione, che secondo gli ultimi dati Istat di maggio, ha toccato la punta del 6.9% (+0.9 dal mese scorso) ha riacceso le frizioni tra parti sociali, con i sindacati e Confindustria separati rispetto le misure da adottare per preservare il potere d’acquisto degli italiani.
Proprio lo squilibrio inflattivo tra salari e costo della vita, quest’ultimo in forte aumento per l’aggravio delle spese energetiche ed alimentari in primis, è il primo cruccio del governo.
Si stima una perdita di cinque punti sulle capacità d’acquisto delle famiglie, cosa che mette in allarme le parti sociali.
Tuttavia la strategia da adottare non è altrettanto comune: se i sindacati chiedono un intervento strutturale volto a legare contratti e stipendi alla variazione dinamica dei prezzi dei beni (cosa non registrata dall’attuale sistema Ipca), Confindustria punta su un taglio del cuneo fiscale che liberi le imprese da parte degli obblighi verso lo Stato, così da reindirizzare tali risorse ai lavoratori.
Divenuto ormai un classico del dibattito pubblico nostrano, il salario minimo garantito per legge accumuna la maggior parte dei paesi europei, eccezion fatta evidentemente per l’Italia.
Nonostante le varie proposte presentate e discusse (si ragionerebbe intorno ad una quota garantita di circa 9€ l’ora) non vi è ancora stata fumata bianca dalle aule di Montecitorio e Palazzo Madama.
Il ministro del lavoro Orlando (PD) vorrebbe applicare il “Trattamento economico complessivo” (Tec) a coloro che non rientrano nei contratti nazionali.
Questa formula prevede l’erogazione dei minimi tabellari, il compenso minimo indicato sui contratti collettivi di categoria, più tutte quelle forme di welfare garantite, quali ferie, quattordicesima, notturni, straordinari. Confindustria si oppone ritenendo la misura troppo concessiva e gravosa.
Infine la precarietà. L’esplosione dei contratti a tempo determinato, vero traino della discesa della disoccupazione nella Penisola, allarma governo e sindacati.
L’Italia non sembra in grado, vista la forte instabilità coeva, di garantire periodi di assunzione lunghi e solidi. Naturalmente un lavoratore instabile determina un consumatore incostante e quindi un’economia fragile.
Per ovviare a ciò il Ministro del Lavoro, il sopracitato Orlando, vorrebbe “copiare” il modello spagnolo, il quale è risultato in grado di abbattere la disoccupazione (aggravata in tutta Europa dal Covid-19) attraverso assunzioni per la maggior parte a tempo determinato.
Tale risultato è il frutto di una incentivazione al contratto fisso ottenuta aumentato gli oneri a carico di chi assume nel caso questi scelga come formula il tempo determinato. Tuttavia, il dibattito intorno a quest’ultimo punto non è praticamente ancora stato avviato.
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