I risultati “straordinari” sono diventati la normalità nella ricostruzione mammaria. Dopo un tumore, come prima, come se niente fosse stato. La bella notizia arriva dal 64mo congresso nazionale della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica SICPRE, da poco concluso a Milano. “In pochi anni è avvenuta una vera rivoluzione” spiega Marco Klinger, co-presidente del congresso. “A compierla sono stati un insieme di fattori: tecniche chirurgiche sempre più conservative, il sempre più diffuso impiego del grasso e per finire i cosiddetti nuovi materiali, ovvero le matrici dermiche e le reti utilizzate in sede ricostruttiva, per mascherare meglio le protesi”.
E poi, soprattutto, uno “stile ricostruttivo” ibrido, cioè sempre più in grado di mixare tra loro tecniche e materiali diversi, in approccio completamente tailored made. “Fino a poco tempo fa” spiega Maurizio Nava, tra i relatori delle sessioni dedicate al tema, “per la ricostruzione si sceglieva una strada, per esempio si sceglieva di impiantare una protesi. Adesso, invece, si è sempre più inclini a modulare tecniche e strumenti diversi, per esempio ‘imbottendo’ con il grasso i sottili tessuti rimasti dopo un intervento oncologico, prima di impiantare una protesi. I risultati, anche in termine di simmetria con l’altra mammella e di naturalezza della forma, sono molto, molto buoni”.
Ed è proprio lui, il grasso, il vero promosso con lode nella chirurgia ricostruttiva. E il perché è presto detto. Come le ricerche scientifiche hanno ampiamente dimostrato, il nostro tessuto adiposo è ricco di cellule staminali adulte, in grado di attivare nei tessuti in cui vengono trasferiti un processo di rigenerazione. Prelevato dai punti del corpo della paziente in cui è naturalmente presente, il grasso viene poi opportunamente lavorato e trasferito nel seno. E qui, oltre a migliorare le cicatrici e i tessuti danneggiati dalle terapie oncologiche, il grasso viene anche impiegato per ‘ricreare’ mammelle che in seguito all’intervento oncologico hanno perso forma e volume.
Last but not least, la “rivoluzione” è stata fatta anche dalle varie associazioni attive nella lotta contro il tumore al seno: da Europa Donna a Fondazione Umberto Veronesi, passando per Senonetwork Italia onlus, attiva nel diffondere i risultati delle ricerche e delle buone pratiche, da un centro di senologia all’altro. Grande soddisfazione, quindi, nel complesso. Ma anche la consapevolezza di aver ancora molta strada da fare. “I nostri prossimi obiettivi”, dice Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna “sono trasformare le Breast Unit in realtà concrete in tutte le regioni italiane e sensibilizzare maggiormente agli screening mammografici le donne del Sud, dove l’adesione è solo del 34%, una percentuale molto più bassa rispetto al Nord”.