C’è stato un periodo in cui l’ambiente dell’arte contemporanea in Italia era vivace e innovativo: in questo contesto, gli anni ’60 e ’70 soprattutto, lavorava la curatrice e critica d’arte Lea Vergine. Nata a Napoli nel 1938 con il nome di Lea Buoncristiano, si è spenta oggi all’ospedale San Raffaele di Milano, 24 ore dopo il marito, il celebre designer Enzo Mari. Entrambi sono deceduti a causa del coronavirus.
Il contributo di Lea Vergine all’arte del XX secolo è da trovarsi soprattutto nei saggi che ha scritto. La sua ricerca si è concentrata sul corpo come strumento per la performance artistica e come veicolo comunicativo. Sull’argomento nel ’74 ha pubblicato “Il corpo come linguaggio” e nel 2000 “Body art e storie simili”.
Il suo libro “L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940” (1980) ricostruiva le tante artiste dimenticate, riportando al centro del discorso le donne artiste. Dopotutto era coetanea e collega di quella Carla Lonzi che si batté strenuamente proprio per i diritti delle donne, influenzandosi reciprocamente.
Nel 2016 ha ripercorso una vita fatta di arte e attivismo in “L’arte non è faccenda di persone perbene. Conversazione con Chiara Gatti”, una sorta di omaggio a se stessa e al suo impegno intellettuale: come aveva spiegato, chi aveva dedicato una vita all’enigma dell’arte non poteva essere modesto, ma non poteva permettersi di non essere umile.
Oltre ai libri, collaborò con varie testate, soprattutto con il Corriere della Sera.
Lea Vergine si era sposata con Enzo Mari nel ’78. Entrambi reduci da un matrimonio (Mari stava con la disegnatrice Iela, dalla quale avrà il celebre scrittore Michele), daranno vita a un sodalizio intellettuale e di vita conclusosi con la morte di entrambi.
“L’arte non è necessaria. È il superfluo. E quello che ci serve per essere un po’ felici o meno infelici è il superfluo. Non può utilizzarla, l’arte, nella vita.“
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