La Legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita torna al vaglio da parte della Corte Costituzionale: cade il divieto di accesso alle tecniche di procreazione per le coppie fertili portatrici sane di patologie genetiche. La questione era già stata discussa in una udienza del 14 aprile scorso, secondo le pressioni del tribunale di Roma, nell’ambito di due procedimenti avviati da coppie cui era stata negata questa possibilità: non potevano accedere nemmeno alle diagnosi pre impianto. «Un’altra bellissima notizia. Leggeremo con attenzione il dispositivo della Corte Costituzionale che da un altro colpo a una legge ingiusta, perché ripeto la legge 40 è una legge ingiusta», ha detto la senatrice del PD Emilia De Biasi, presidente della Commissione Sanità del Senato.
Sono 11 anni che la Legge 40 è in vigore, 33 le volte in cui è stata oggetto di modifiche. Sottoposta a referendum, è stata uno dei provvedimenti più contestati della storia della nostra Repubblica. Nel corso degli anni, i giudici hanno eliminato 4 divieti fra cui quello di fecondazione eterologa. La Legge 40 continua però ad essere sottoposta a discussione, fra tutte quella che riguarda il divieto di utilizzo degli embrioni per la ricerca scientifica, oggetto di udienza da parte della Consulta e della Grand Chambre della Corte europea. Persiste invece il divieto di accesso alla fecondazione assistita per single e coppie omosessuali, una battaglia aperta da diversi anni che parla di uguaglianza e rispetto.
I soci dell’associazione Luca Coscioni, portatori di patologie genetiche, non hanno esitato a dimostrare il loro entusiasmo per il risultato ottenuto sollevando il dubbio di costituzionalità sulla sezione della Legge 40 che li riguarda: Maria Cristina Paoloni, Armando Catalano, Valentina Magnanti e Fabrizio Cipriani si sono così rivolti alla Consulta: «Un grazie ai giudici. Quello che noi desideriamo è solo una gravidanza serena, che non finisca con un aborto o con figlio con bassissime possibilità di sopravvivenza. Cerchiamo solo di crearci una famiglia in un Paese che viene sempre dipinto negativamente per la bassa natalità». Non ne potevano più di venire esclusi dal loro Paese ed essere forzati ad andare all’estero per poter finalmente avere un figlio: «Abbiamo conosciuto molte coppie tramite le associazioni di pazienti che non potrebbero permetterselo. Siamo cittadini italiani e vogliamo contribuire ad una vita migliore nel nostro Paese. Ci sentivamo diversi ed esclusi, ora non più», hanno commentato.