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La Consulta ha dichiarato incostituzionale una parte della legge elettorale del Porcellum con cui si è votato in Italia anche alle ultime elezioni politiche. La tornata elettorale dello scorso febbraio ha messo in mostra tutti i limiti della legge: la disparità che si è creata nella maggioranza alla Camera e al Senato ha di fatto paralizzato il Governo per due mesi, arrivando alla fine a un esecutivo di larghe intese tra PD ed ex PdL. In tutte le democrazie occidentali e non solo esistono sistemi elettorali in grado di dare stabilità al governo: cosa differenzia i sistemi elettorali degli altri paesi dal nostro? Quali sono i sistemi alternativi? Come potremmo votare in futuro? La legge Calderoli (n.270 del 21 dicembre 2005), più nota come il “Porcellum”, ha già fatto danni la prima volta nel 2006, quando la vittoria dell’Unione di centrosinistra di Romani Prodi venne vanificata da una maggioranza al Senato di soli 3 senatori.
A distanza di sette anni si è riproposta una situazione ancora più caotica, con la maggioranza assoluta alla Camera per il centrosinistra, quella relativa al Senato e una stabilità precaria dell’esecutivo, raggiunta dopo due mesi di trattative e la prima storica rielezione del Presidente della Repubblica. Con la decisione della Corte Costituzionale il sistema elettorale deve essere modificato: al Paese serve una nuova legge, visto che quella in vigore ha parti incostituzionali.
Durante la scorsa legislatura si era già tentato di cambiare la legge elettorale, ma le posizioni tra centrosinistra e centrodestra erano e sono distanti in molti punti. Al momento la paura di tornare alle urne con il Porcellum ha avuto la meglio sulle differenze e si cerca una via di mezzo sia per non mettere in crisi il governo sia per i tempi troppo lunghi che richiederebbero modifiche alla Costituzione. Vediamo quali sono le caratteristiche del Porcellum e come si vota negli altri paesi.
La legge Porcellum
Il Porcellum è un sistema proporzionale puro che garantisce un premio di maggioranza alla coalizione vincente. Alla Camera dunque la coalizione che ha avuto più voti a livello nazionale ha diritto a 340 seggi, mentre al Senato il calcolo avviene su base regionale. Ciò deriva anche da un paletto che arriva dall’articolo 57 della Costituzione: “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiori a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno. La ripartizione dei seggi tra le Regioni, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti”.
In ogni regione dunque la coalizione che ottiene la maggioranza ha diritto al 55% dei seggi: questo comporta una frammentazione e spiega le lotte che si sono scatenate intorno alle Regioni chiave (Lombardia, Veneto e Sicilia).
Altro punto bocciato del Porcellum è l’eliminazione delle preferenze. I candidati sono presentati dai partiti in liste bloccate: la graduatoria stabilisce chi verrà eletto in base ai voti ottenuti dalla lista. Non ci sono limiti per la candidatura su base territoriale: se si viene eletti in più circoscrizioni, se ne sceglie una, liberando così il posto agli altri candidati a scalare.
Ogni coalizione sceglie un “Capo della coalizione” destinato alla presidenza del Consiglio, anche se tecnicamente è il Presidente della Repubblica a nominare il premier. In questo modo, per prassi, il capo della coalizione è anche il “candidato” premier.
Infine le soglie di sbarramento, diverse per coalizioni e singoli partiti che corrono da soli. Per la Camera ogni coalizione deve superare il 10%, mentre al Senato è al 20%. Per i singoli partiti che corrono da soli, la soglia per Montecitorio è del 4% che sale a 8% per Palazzo Madama: anche all’interno delle coalizioni ci sono dei paletti stabiliti nel 2% per chi si presenta all’interno di una coalizione per la Camera e del 3% per il Senato.
Il sistema uninominale alla francese
Destra e sinistra, nel tentativo di modificare l’attuale legge regionale, hanno a turno tirato in ballo il sistema uninominale alla francese. Si tratta di un maggioritario a doppio turno, usato in Francia per l’elezione del Presidente della Repubblica e dei due rami del Parlamento. In questo sistema i candidati sono eletti in collegi uninominali e per essere eletti al primo turno devono avere la maggioranza assoluta (50%+1). Se nessuno raggiunge la maggioranza assoluta si ricorre a un secondo turno di votazione che comprende i candidati che hanno superato una soglia di preferenze, dando così una chance anche a chi ha raggiunto la maggioranza relativa.
Uno dei più grandi vantaggi che dà l’uninominale alla francese è quello avere una maggioranza più solida e la possibilità da parte degli elettori di dare la propria preferenza al candidato del proprio collegio, ma rimane il rischio di una “lottizzazione” dei collegi come già avveniva in passato in Italia con le forze politiche a spartirsi i collegi.
Con la votazione a doppio turno, già usata nelle elezioni dei sindaci in Italia, si formano governi più solidi, ma il cosiddetto “voto utile” al secondo turno non elimina del tutto il rischio di una frammentazione.
Sistema uninominale a un turno o Anglosassone
Il più antico e semplice meccanismo elettorale è quello anglosassone, l’uninominale maggioritario a un turno. In vigore in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, si basa sull’assunto che chi ha più voti vince. Non è necessaria dunque la maggioranza assoluta: basta un voto in più dell’avversario per conquistare il seggio elettorale.
Proprio per la sua semplicità costituiva, è adatto ai paesi che storicamente hanno un sistema bipolare e permette un rapporto diretto tra chi viene eletto e i suoi elettori, oltre a garantire grande stabilità a livello di governo. La condizione sine qua non è però quella di una netta divisione del mondo politico (Tory e Labour, Democratici e Repubblicani): in una realtà frammentata come quella italiana, sarebbero troppe le componenti politiche non rappresentante in Parlamento.
Sistema proporzionale con sbarramento alla tedesca
In Germania vige il sistema proporzionale puro che, a differenza del Porcellum, non prevede premi di maggioranza e ha un numero di deputati variabile. Su tutto vige la soglia dello sbarramento: per essere elettti bisogna superare il 5%.
Il Parlamento viene diviso a metà: una è eletta in collegi uninominali a turno unico (vince chi prende più voti), l’altra viene scelta con liste di partito bloccate che sono soggette al calcolo in base al voto nazionale e nei vari Land. Se poi gli eletti nei collegi uninominali non bastano per la composizione del parlamento, vengono integrati dai candidati in quota proporzionale. La differenza fondamentale rispetto al nostro sistema elettorale è l’assenza di un premio di maggioranza che va a vanificare il proporzionale puro.
Il sistema spagnolo
In Spagna vige un sistema proporzionale diverso per Camera e Senato: quest’ultimo conta 259 membri di cui 208 sono eletti direttamente dalle province tra i tre candidati proposti dai partiti e scelti direttamente dagli elettori. Gli altri senatori sono eletti, indirettamente, dalle comunità autonome, ma è il sistema per la Camera quello che è stato chiamato in causa per la riforma elettorale in Italia.
Si basa sul metodo d’Hondt, usato per il calcolo delle proporzioni tra le liste che superano il 3%. Per eleggere i 350 deputati, il Paese viene diviso in 52 circoscrizioni e in ognuna di esse si vota il partito: i seggi vengono poi assegnati in proporzione alla popolazione rappresentata con una media di 6,73 seggi. La soglia minima dello sbarramento al 3% cade così in molte province se si tiene conto che per entrare in Parlamento in alcune zone è necessario arrivare al 20 o 30% (solo Madrid e Barcellona eleggono da sole più di 30 deputati). Questo favorisce da una parte l’accentramento del voto bipolare e la formazione di governi stabili, dando forza soprattutto ai movimenti radicati sul territorio.