Lia Celi è una è una giornalista, una scrittrice, un’autrice televisiva e radiofonica, ma soprattutto è una madre. Uno dei suoi figli, sta attualmente completando la transizione e questo le ha dato modo di darci una lezione di vita davvero importante.
La storia di Lia Celi e di suo figlio Roman dovrebbe essere ascoltata da tutte le famiglie in cui un componente sta affrontando una transizione. Sì, perché insegna come in effetti questa riguardi tutta la famiglia, non solo chi la compie di fatto. Ma, soprattutto, che non è detto che una madre – oppure un padre – non possa avere almeno un minimo di difficoltà (almeno all’inizio) ad adattarsi allo status del figlio, ma è come supera gli ostacoli che fa davvero la differenza. E il modo in cui lei lo ha fatto, l’ha fatta eccome.
Che bella lezione ci ha fatto Lia Celi. E no, non si è messa in cattedra, al fine di elargire i suoi consigli: l’ha fatta semplicemente dando il buon esempio. Del resto, si sa, il miglior insegnamento è proprio essere chi si vuole insegnare ad essere agli altri (scusate il gioco di parole)
Per chi non lo sapesse, Lia Celi è una giornalista, una scrittrice (ha scritto, tra le altre cose, testi satirici per Cuore, Smemoranda, Avvenimenti), un’autrice televisiva e radiofonica (ha collaborato ai testi di Pippo Chennedy Show e La Barcaccia), ma soprattutto una madre. Per diversi anni è stata sposata con il giornalista Roberto Grassilli e ha avuto quattro figli. Uno di loro è semplicemente nato nel corpo sbagliato. Lei lo ha capito, ha compreso il suo stato d’animo e ha imparato a reinventarsi. Sì, perché la transizione riguarda tutti, anche i genitori dei protagonisti, le famiglie. E così Lia ha capito che qualcosa sarebbe dovuto cambiare. Non solo dentro al figlio, ma anche – soprattutto anzi – dentro di lei.
A partire da quello sguardo sbigottito, che ha riservato a suo figlio Roman dopo il suo discorso in cui ammetteva per la prima volta cosa stava accadendo davvero, di cose ne sono successe eccome. Dall’endocrinologo, al chirurgo, sono state tante le figure presenti e fondamentali in questo percorso, culminato con una nuova consapevolezza, probabilmente più su di lei come donna e mamma che sul figlio, ma più di tutti, protagonisti assoluti della storia sono stati la sua interiorità e quella di Roman, allo stesso modo potremmo dire.
Del resto, come Roman le ha sempre fatto notare che una “madre illuminata” come lei avrebbe dovuto sapere che la transizione è prima di tutto interiore e che inoltre non sarebbe dovuto sembrare molto strano comprendere che in realtà sua figlia non era “un adorabile maschiaccio”, “era sempre stata un maschio ma nel corpo sbagliato”.
Qui arriva l’importantissima lezione di vita di cui sopra che Lia Celi ci ha dato: il modo in cui ha reagito dovrebbe essere un monito per tantissimi genitori che si trovano in situazioni come la sua.
“Non capiva, e forse non può capirlo nemmeno ora, che per me lo choc non è stato tanto quel che intendeva fare del suo corpo (era maggiorenne e responsabile delle sue scelte). Quanto il dover cambiare di colpo me stessa, il mio sguardo, la mia narrazione e il mio discorso riguardo a lui. Anche retrospettivamente”: queste le parole con cui Lia Celi, in un’intervista rilasciata a La Stampa, ha provato a spiegare cos’è accaduto esattamente dentro di lei non appena ha compreso cosa stesse accadendo al figlio Roman.
Il discorso è che la transizione vera l’avrebbe dovuta affrontare in primis lei come madre. Avrebbe dovuto anche iniziare a usare i pronomi correttamente, cosa che invece i suoi figli più piccoli avevano iniziato a fare molto prima di lei, perché avevano capito perfettamente che Roman, in realtà, era “un maschio, anche quando aveva i capelli lunghi e il nome di nascita”.
Come la stessa Celi ha ammesso, in sostanza, “la loro transizione (perché tutti i membri della famiglia devono farla, a loro modo) è stata più facile della mia”. Ecco il primo punto degno di nota: Lia non solo ha compreso a fondo Roman, ma ha saputo anche mettersi in discussione, è stata capace di ammettere i suoi limiti e superarli. Sia chiaro: per lei non c’è mai stato nulla di sbagliato nella scelta del figlio, ma ha ammesso di aver avuto difficoltà all’inizio ad adattarsi al suo nuovo status di madre di un (altro) maschio, all’uso corretto delle desinenze e dei pronomi.
Alla fine Roman quattro anni fa ha finito il liceo e quella “sembra un’altra epoca”. Non perché sia passato del tempo, ma perché “a renderla lontana è soprattutto il fatto che oggi sa chi è e qual è il suo posto nel mondo”. E questo è il secondo insegnamento: una madre – così come anche un padre – dovrebbe volere che i figli siano felici, che si sentano soddisfatti, che riescano a trovare il loro posto, il loro spazio, la loro collocazione nel mondo, a prescindere da quale sia. Un genitore dovrebbe sapere che i figli devono stare bene in primis con sé stessi e sa che per farlo possono usare ogni mezzo (purché sia legale, si intende) e ogni modo. Dovrebbe sapere che il suo pensiero, i suoi desideri, le sue ambizioni (sue, cioè del genitore) vengono dopo quelle del figlio. E accettare quindi le sue (sue, quelle del figlio), perché sa che sono tutto ciò che conta davvero.
Oggi Roman “Attraverso il Mit di Bologna sta completando la sua transizione e a marzo potrà cambiare i documenti d’identità. Ed era già Roman per il professore con cui in novembre si è laureato”. E oggi Lia ha “una soddisfazione supplementare”. Finalmente, infatti, non sbaglia “più pronomi e desinenze”. E questo è il “segno che anche la mia transizione sta procedendo bene”. Ma qui arriva la terza lezione di vita: un genitore si dovrebbe sentire soddisfatto nel sapere di aver saputo rendere felice il figlio. Stop. Tutto il resto dovrebbe essere marginale.
Sentirsi inadatti, capire di essere nati in un corpo sbagliato, guardarsi allo specchio e non riconoscersi ogni giorno, è terribile. Non sentirsi compresi da chi si ama, dai genitori, i fratelli, gli amici, lo è ancora di più però. Ogni persona che si trova ad affrontare il percorso di transizione ha bisogno di supporto, di aiuto, di conforto e quello che può dare la famiglia non ha eguali. Eppure molti non lo capiscono e spesso i pregiudizi nascono proprio lì e alla fine pesano sui figli, che si ritrovano a non sentirsi accettati, a soffrire, a vivere con un perenne senso di “non inclusione” nel mondo.
Se nel mondo ci fossero più genitori come Lia, ci sarebbero meno ragazzi insoddisfatti, questo è chiaro.
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