Il Libano sta attraversando una situazione complicata aggravata, ulteriormente, dalla fine del mandato del presidente, che si è concluso a fine ottobre. Il Paese, attraversato da una profondissima crisi umanitaria ed economica, peggiorata irrimediabilmente dopo l’esplosione al porto di Beirut, è arrivato ormai alla sua undicesima elezione del capo di Stato fallita.
Gli esiti dell’undicesima elezione del capo di stato sono stati 34 voti per il principale candidato dell’opposizione ovvero il deputato riformista di Zghorta Michel Moawad, 37 schede sono risultate bianche e 14 con la scritta “Nuovo Libano”.
I deputati del partito sciita Amal-Hezbollah e i loro alleati, come nelle altre tornate elettorali, si sono ritirati dall’emiciclo dopo il primo turno, provocando, di conseguenza, il mancato raggiungimento del quorum. Il clima è di esasperazione e, anche, la popolazione non riesce più a sopportare la pesante situazione di immobilismo politico.
La seduta è stata pertanto aggiornata e il leader legislativo Nabih Berry non ha fissato una data per quella successiva.
Si tratta di una situazione delicata, che necessita di attenzione anche da parte delle autorità internazionali. La crisi umanitaria che sta spopolando in Libano e, da anni, continua ad aggravarsi sempre più. Anni difficili che hanno portato a povertà e instabilità in Libano che, dopo l’esplosione al porto di Beirut, ha letteralmente visto sconvolta l’economia e le uniche attività redditizie lesionate. il Paese è allo sbaraglio.
La fine del mandato presidenziale, avvenuto a fine ottobre, ha decretato il colpo finale e, ora, il popolo si trova in condizioni disperate, sotto tutti gli aspetti della vita quotidiana, partendo dalla carenza di beni primari e arrivando alla sicurezza dato che, le guerriglie interne e la presenza di Hezbollah che vuole dominare mettono in difficoltà i cittadini.
Molti deputati hanno espresso dissenso nel vedere le elezioni presidenziali nuovamente posticipate e boicottate ma alcuni hanno, però, di prendere l’iniziativa e iniziare una protesta e si tratta dei parlamentari Melhem Khalaf e Najate Saliba. I due eletti poi raggiunti anche dai collaboratori Firas Hamdane e Cynthia Zarazir, hanno deciso di accamparsi all’interno del Parlamento per spingere il presidente della Camera a organizzare una sessione elettorale aperta fino all’elezione di un capo di Stato.
Non è più tollerabile per loro portare avanti una situazione del genere che porta soltanto ulteriore crisi e instabilità.
L’ex presidente di Beirut ha condiviso su Twitter: “Per rispetto degli articoli costituzionali, e per esprimere il mio attaccamento allo svolgimento di una tornata elettorale di più tornate e senza interruzioni, ho deciso di rimanere in Parlamento e di uscirne una sola volta. Obiettivo raggiunto. Quel tipo di assurdità non funziona con me”.
Ha avuto luogo, anche, un incontro tra i quattro parlamentari ed Elias Bou Saab, vicepresidente della Camera, alla presenza dei tre deputati indipendenti di Saïda e Jezzine.
Abderrahmane Bizri ha dichiarato a L’Orient-Le Jour: “Il signor Bou Saab ha assicurato che l’amministrazione del Parlamento non li priverà dell’elettricità o dell’accesso all’acqua e ai servizi igienici. Un incontro analogo, ma ampliato, dovrebbe svolgersi anche domani a mezzogiorno, secondo le nostre informazioni.”
Alta tensione tra il Movimento patriottico libero e il suo unico alleato Hezbollah. La strategia presidenziale adottata dall’unico alleato, però, è stata quella di rimanere su un terreno neutrale fino a quando non emergerà un compromesso.
Il partito sciita Amal-Hezbollah preferisce il leader del Marada, Sleiman Frangié mentre il leader del CPL Gebran Bassil vuole ed esige di dire la sua, visto che presiede un folto gruppo parlamentare cristiano. E fino a nuovo ordine, rifiuta di appoggiare la scelta degli altri componenti a causa della sua posizione nei confronti di Zghorta.
Gli aounisti non potevano contare sull’appoggio dei ministri di Hezbollah per far concludere la seduta convocata dal primo ministro uscente Nagib Mikati. Di conseguenza, avevano scelto di inviare un messaggio a Hezbollah abbandonando il voto neutrale.
Situazioni contrastanti tra le forze libanesi e una lotta tra opposizioni che si riflette ad ogni tornata elettorale.
Due deputati del movimento di protesta in Libano, Melhem Khalaf e Najat Aoun Saliba, continuano il loro sit-in in Parlamento, dove hanno già dormito la notte tra giovedì e venerdì. Intendono rimanere fino all’elezione di un capo di stato nel Paese, che è senza presidente da quasi tre mesi. Non hanno intenzione di trascinare la situazione ancora per mesi e vogliono che si arrivi a un punto di svolta.
Il Libano è precipitato dal 2019 in una crisi socio-economica senza precedenti, in gran parte attribuita alla corruzione e alla negligenza della classe che ha avuto, per molti anni, il comando della Nazione. Le profonde divisioni interne non riescono a essere superate ma, anzi, dividono sempre più.
Al termine di un’undicesima sessione del Parlamento di giovedì, che non è riuscita come le precedenti a nominare un capo di Stato, l’ecologista Najat Aoun Saliba e l’ex presidente di Beirut Melhem Khalaf sono rimasti in emiciclo, annunciando l’inizio del loro sit in.
Najat Saliba ha scritto sui social: “Abbiamo dormito qui, e speriamo che questa giornata porti nuova speranza per il Libano”.
Ha anche precisato: “Lascia che ci spieghino perché il dollaro è a 50.000 sterline libanesi, il latte per bambini è esaurito, le persone muoiono di fame e perché non possiamo eleggere un presidente, e poi saremo pronti per tornare a casa”.
I protagonisti di questa protesta hanno invitato tutti i parlamentari a unirsi a questa mobilitazione.
In un messaggio ai libanesi pubblicato sul web, nei giorni scorsi, Melhem Khalaf ha affermato che: “è diventata urgente l’elezione di un presidente che possa salvare il Libano”, aggiungendo che: “la loro iniziativa mirava a costringere il Parlamento a tenere sessioni continue per eleggere un capo del stato”.
Molto attivisti si sono radunati già giovedì sera davanti al Parlamento, per sostenere i due parlamentari, e venerdì pomeriggio si è tenuto un nuovo seppur contenuto comizio.
Secondo l’opinione dell’analista del centro Carnegie per il Medio Oriente Young la scelta, seppur coraggiosa: “non avrà un impatto. Secondo me, ciò che potrebbe porre fine allo stallo è un consenso regionale che incoraggerebbe i partiti locali ad accordarsi tra loro dato che precisa che in Libano ogni partito ha “uno sponsor o un alleato regionale”.
Il Parlamento è diviso tra la potenza filo-iraniano Hezbollah compresi i loro alleati e quello dei loro avversari, ma nessuno dei partiti ha a disposizione una netta maggioranza per imporre il proprio candidato.
Ma, per eleggere un presidente, potrebbero volerci mesi, come è già capitato quando Michel Aoun è stato eletto nel 2016. Prima della sua elezione però il posto rimase vacante per ben 29 mesi.
Un’eventualità che potrebbe aggravare la crisi economica. Secondo un nuovo studio del World Food Programme attualmente un terzo della popolazione del Paese si trova in una situazione di insicurezza alimentare, ovvero 1,29 milioni di libanesi e 700.000 rifugiati siriani sono allo stremo. Lo studio stima che il quadro generale peggiorerà ulteriormente entro aprile, con 2,26 milioni di persone in “crisi” e bisognose di assistenza urgente.
Per questo i vertici del Libano dovrebbero raggiungere un equilibrio, nonostante le divergenze,altrimenti sarà necessario intervenire a livello internazionale per contenere gli esiti di questa crisi che sta letteralmente schiacciando un popolo e lo sta dividendo senza curarsi dei possibili esiti dello stallo politico che aggrava ogni difficoltà già presente.
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