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Libia, il racconto degli ostaggi liberati: ‘Ci hanno picchiati e affamati, siamo fuggiti da soli’

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Li hanno picchiati, affamati, stremati nel fisico e nella psiche, ma alla fine Gino Pollicardo e Filippo Calcagno sono riusciti a scappare, da soli. I due tecnici della Bonatti Spa, rapiti con i colleghi Fausto Piano e Salvatore Failla uccisi in circostanze ancora da chiarire, sono tornati in Italia dopo quasi 8 mesi dal loro rapimento in Libia. L’aereo che li ha riportati a casa è atterrato all’aeroporto di Ciampino alle 5 di mattina domenica 6 marzo: il loro incubo è finito. Solo allora hanno saputo della morte dei loro due colleghi: un colpo fortissimo per entrambi, che non potevano immaginare cosa fosse successo ai loro compagni. Al rientro in Italia, Pollicardo e Calcagno sono stati sentiti dal procuratore Sergio Colaiocco che indaga sull’accaduto, e hanno raccontato cosa è successo in quei lunghi mesi. Li picchiavano con i calci dei fucili, li hanno tenuti a digiuno, li hanno vessati e malmenati: sono stati insieme fino a mercoledì 2 marzo, quando poi li hanno divisi. Failla e Piano sono stati portati via, forse per trasferirli e loro due sono rimasti da soli. Dopo due giorni, hanno tentato di forzare la porta e sono riusciti a scappare, mettendosi in salvo.

Si sono liberati da soli, dunque. Dopo mesi di prigionia, hanno colto l’occasione che il destino aveva dato loro e sono riusciti a fuggire. La Procura sta indagando sui loro rapitori e sulle modalità del sequestro. Secondo il loro racconto, chi li aveva presi non faceva parte dell’Isis ma era un gruppo di fondamentalisti locali che forse voleva dare sostegno agli jihadisti dello Stato Islamico, come dimostrerebbe il fatto di essere rimasti sempre a Sabratha, in una zona controllata da milizie fedeli a Tripoli (quindi contro l’Isis). I rapitori inoltre non vestivano con le tute mimetiche che di norma indossano i miliziani Isis, non c’erano le bandiere nere del presunto Califfato e soprattutto, tra i rapitori c’era anche una donna, cosa impossibile nei gruppi Isis.

Il 19 luglio 2015 erano in viaggio verso la Libia dalla Tunisia: era tutto organizzato dall’azienda, la Bonatti Spa. Si attendevano un elicottero per portarli oltre confine, a Mellitah, dove c’è lo stabilimento Eni: invece c’era una macchina. Appena varcato il confine, sono incappati in un posto di blocco, probabilmente organizzato dai rapitori. Poco dopo l’incubo è iniziato.

Il rientro in Italia

Poco dopo la notizia della loro liberazione, sulla pagina Facebook del Media Center di Sabratha è arrivata anche la prima foto dei due ostaggi liberati. Già il sottosegretario con delega all’Intelligence, Marco Minniti, convocato dal Copasir fin dalla tarda mattinata di giovedì 3 marzo, aveva chiarito che gli altri due italiani rapiti erano vivi. Le autorità sono al lavoro per cercare di recuperare i corpi degli altri due connazionali. L’ambasciata italiana in Libia è stata chiusa a febbraio 2015 e senza autorità diplomatiche è ancora più difficile muoversi in un territorio al collasso.

Le immagini della sparatoria a Sabrat lascerebbero pochi dubbi sull’identità delle due vittime, riconosciute proprio dalle foto, mentre la procura di Roma ha aperto un fascicolo sulla loro morte. I 4 italiani, dipendenti della Bonatti spa, erano stati rapiti a luglio 2015: da allora si erano perse le loro tracce.

Le prime immagini degli ostaggi liberati

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Le prime foto dei due ostaggi italiani liberati in Libia, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, arrivano dal profilo Facebook del Media Center di Sabratha, in Libia. I due uomini sono fotografati mentre parlano al telefono con le loro famiglie: sotto, un bigliettino scritto in italiano a mano da Pollicardo. Dalla stessa pagina arriva anche il primo video. A parlare è Pollicardo, mentre abbraccia il collega: sono al sicuro, in una stazione delle polizia di Sabratha e vogliono tornare al più presto a casa.

Io sono Gino Pollicardo e con il mio collega Filippo Calcagno oggi 5 marzo 2016 siamo liberi e stiamo discretamente bene fisicamente ma psicologicamente devastati. Abbiamo bisogno urgentemente di tornare in Italia“, si legge nel messaggio.

Gino Pollicardo prima e dopo il rapimento

Pagato un riscatto?

Secondo quanto affermato da un funzionario di Tripoli alla Bbc, per il rapimento dei 4 italiani in Libia sarebbe stato chiesto un riscatto di 12 milioni di euro. La notizia, circolata già nel giorno dell’uccisione dei due connazionali, non è stata confermata dal Copasir o dalla Farnesina.

Filippo Calcagno prima e dopo il rapimento

CHI SONO I 4 ITALIANI RAPITI

A luglio 2015 4 italiani vengono rapiti in Libia: si tratta di Salvatore Failla, Fausto Piano, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. Tutti e 4 si trovavano nel paese nordafricano per conto della Bonatti Spa, azienda di Parma che si occupa di manutenzione e realizzazione di impianti energetici, in particolare dei metanodotti nelle vicinanze del compound libico dell’Eni. Il rapimento è avvenuto il 19 luglio 2015 appena passati in Libia dal confine con la Tunisia, poco prima di di arrivare all’impianto di Mellitah, loro meta finale, nei pressi di Zuwara, un’area senza alcuno controllo che si estende tra il Golfo della Sirte, il Sud della Tunisia e il Sahara algerino.

CHI E’ SALVATORE FAILLA

Salvatore Failla, uno dei due italiani dato per morto in Libia, 47 anni e originario di Carlentini, in provincia di Siracusa, dove vivono la moglie e le due figlie di 22 e 14 anni, è un saldatore specializzato.

CHI E’ FAUSTO PIANO

L’altro italiano dato per morto è Fausto Piano, 60 anni, originario di Capoterra, piccola città vicino a Cagliari. Di professione meccanico, da molti anni lavorava all’estero: a luglio 2015 era appena ritornato in Libia dopo un periodo trascorso a casa.

CHI E’ GINO POLLICARDO

Con loro è stato rapito anche Gino Pollicardo, tecnico specializzato con una lunga esperienza alle spalle, 55 anni, vive a Fegina, a Monterosso, nelle Cinque Terre (La Spezia).

CHI E’ FILIPPO CALCAGNO

Rapito anche Filippo Calcagno, 65 anni, originario di Piazza Armerina (Enna) tecnico specializzato che ha da sempre lavorato all’estero, prima per l’Eni e poi per la Bonatti


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Lorena Cacace

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