Scoppia il caso licei sul web e non solo. Tutto nasce da una segnalazione di Repubblica che ha spulciato nei Rav, i rapporti di autovalutazione voluti dal Miur con cui ogni istituto si presenta agli studenti, trovando alcune segnalazioni sui generis. In particolare, hanno fatto scalpore quelle dei licei più rinomati che hanno voluto sottolineare la mancanza o scarsa presenza di studenti poveri, stranieri, nomadi o disabili come un punto a loro favore. Immediata la risposta della ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli per cui alcune frasi sono inaccettabili e “violano la Costituzione” che invece prevede una scuola “inclusiva, capace di rispettare e valorizzare le differenze”. “Scriverò all’Invalsi perché faccia immediatamente un attento monitoraggio dei Rav”, ha concluso.
Gli istituti e i licei sono stati accusati di essere classisti. Nel caso del liceo Ennio Quirino Visconti di Roma, il Rav sottolinea che a dargli un prestigio particolare non è solo il fatto di essere il più antico liceo capitolino, ma anche che “tutti gli studenti, tranne un paio, sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile”, rilevando che la percentuale di alunni svantaggiati “per condizione familiare è pressoché inesistente”.
Più o meno le stesse parole ritornano nella presentazione di un altro istituto capitolino, il liceo classico parificato Giuliana Falconieri a Roma Parioli che ospita “studenti prevalentemente della medio-alta borghesia romana” per cui “la spiccata omogeneità socio-economica e territoriale dell’utenza facilita l’interazione sociale” anche perché “non sono presenti né studenti nomadi né provenienti da zone particolarmente svantaggiate” e questo nonostante negli anni passati ci siano stati tra gli allievi “figli di portieri e/o custodi di edifici del quartiere”. Oggi, si legge nel Rav, “data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi”.
Stesso dicasi per il liceo Parini di Milano per cui “gli studenti del liceo classico in genere hanno, per tradizione, una provenienza sociale più elevata rispetto alla media e questo è particolarmente avvertito nella nostra scuola”, dove avendo”la scuola il compito (obbligo) di contribuire a elevare il livello culturale dei suoi allievi” ci può essere “qualche criticità nelle attività di inclusione”.
Il liceo classico D’Oria a Genova invece sottolinea come “poveri e disagiati costituiscono un problema didattico”, motivo per cui “il contesto socio- economico e culturale complessivamente di medio- alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale (ad esempio, nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione e al dialogo tra scuola e famiglia”.
Sulla questione si è scatenato un vero putiferio anche sui social, dove si stigmatizzano queste definizioni per cui un istituto è più prestigioso se ospita pochi poveri, pochissimi disabili e quasi nessun straniero o nomade.
[didascalia fornitore=”altro”]Le domande del Rav e le risposte contestate, in questo caso del Liceo Parini/Miur[/didascalia]
Non è che i singoli istituti abbiano scelto di sottolineare questo aspetto di loro spontanea volontà. Lo hanno fatto perché sono i criteri richiesti dallo stesso Rav, come si legge nei documenti pubblicati da ogni scuola sul sito Scuola in chiaro del Miur.
Dunque è lo stesso ministero a ritenere i dati sulla composizione sociale del corpo studentesco elementi importanti per la valutazione di una scuola.
Certo, alcune frasi rimangono classiste, ma fotografano la realtà della scuola italiana, quella in cui nei licei si forma ancora la classe dirigente e dove provenire da famiglie agiate e da contesti ricchi e benestanti rimane comunque un vantaggio.
Vogliamo forse negare che nei licei classici (e scientifici) più rinomati ci vanno per lo più i figli delle famiglie benestanti nostrane?
Il problema semmai è un altro e cioè la distanza che ancora oggi, nel 2018, esiste tra questi istituti e le altre scuole superiori, compresa l’assurda credenza per cui gli istituti tecnici/commerciali sono il parcheggio per studenti svogliati e non scuole in cui dare un vero futuro ai ragazzi.
Forse sarebbe il caso di lavorare su questo aspetto più che puntare su sterili polemiche e dare a tutti, senza distinzioni alcuna come vuole Costituzione, una formazione eccellente in ogni liceo o scuola superiore del Paese, da Nord a Sud.