L’indennità di discontinuità è a rischio e i lavoratori dello spettacolo non ci stanno

L’indennità di discontinuità, tanto agognata dai lavoratori dello spettacolo e finalmente divenuta quasi concreta a luglio, pare essere ormai a rischio. Nella legge di Bilancio 2023, infatti, per adesso almeno non vi è traccia dei fondi stanziati per tutelare questo settore.

Camera dei deputati
Camera dei deputati – Nanopress

La situazione dei lavoratori dello spettacolo, in un’era che potremmo definire post-pandemia (anche se di fatto il Covid non è mai sparito del tutto, quindi non possiamo purtroppo ad oggi considerarlo ancora un vago ricordo) non è affatto idilliaca, anzi. Molti hanno perso il lavoro, altri hanno visto diminuire drasticamente la loro retribuzione, altri ancora hanno deciso di cambiare area professionale a seguito di ingenti perdite economiche. L’indennità di discontinuità avrebbe potuto risollevare le loro sorti, rendendo la loro condizione decisamente più favorevole sia in termini di stipendi che di pensioni. Eppure questa misura, che in estate sembrava essere a un passo dal diventare operativa, sembra non essere stata affatto presa in considerazione dal Governo Meloni. E i lavoratori dello spettacolo non stanno rimanendo di certo a guardare in silenzio inermi.

L’indennità di discontinuità è a rischio

L’indennità di discontinuità potrebbe essere a rischio, ormai è chiaro. La legge di Bilancio 2023 al momento non ha previsto le risorse necessarie per renderla realtà (ricordiamo che questa dovrebbe essere finanziata con una dotazione di 150 milioni di euro).

E così lunedì 19 dicembre si è tenuta una conferenza stampa presso la sala stampa della Camera dei Deputati, a cui hanno preso parte sindacalisti, associazioni del settore e anche volti noti dello spettacolo, finalizzata ad accendere i riflettori sugli impegni presi dal governo e a capire come fare a spingerlo a non fare passi indietro in merito.

Per comprendere però esattamente cosa sta accadendo, dobbiamo fare un attimo un tuffo nel passato. 15 luglio 2022: viene approvata la Legge n.106 recante la “Delega al governo e altre disposizioni in materia di spettacolo”. Cosa significa? Che (quasi) tutte le forze politiche hanno unito le forze e mostrato una certa sensibilità nei confronti dei lavoratori dello spettacolo – in assoluto tra quelli che hanno sofferto di più nei 28 mesi precedenti a causa della pandemia – dopo anni di confronti tra politica, realtà del settore, professionisti.

Ma cos’è esattamente l’indennità di discontinuità? Si tratta in poche parole di uno strumento fondamentale per equiparare i lavoratori dello spettacolo a tutti gli altri, che tiene conto anche della fase precedente alla vendita oppure alla messa in commercio di prodotti di tutti i tipi legati a questo ambito e che comprende quindi lo studio, la progettazione, la scrittura e così via.

Possiamo fare un esempio pratico per comprendere di più. Un cantante non lavora da solo, anzi. Ha bisogno di scrittori, compositori, produttori. Bene, tutti loro iniziano a collaborare con lui molto prima dell’avvento del suo album, EP, singolo in commercio: il loro operato inizia e si conclude dietro le quinte generalmente, quindi tutto ciò che fanno resta in sordina finché il cantante – che potremmo vedere come appunto il volto dietro cui però si cela un intero team – non approda nel mondo discografico e genera vendite, quindi, incassi.

Cosa significa? Che chi compone, ad esempio, un brano, vedrà “risarcito” il suo lavoro solo quando effettivamente lo stesso è sulle piattaforme e sta iniziando a riscuotere consensi. Il suo lavoro non è visibile al pubblico – contrariamente a quello dell’artista, che può guadagnare anche in altri modi, ad esempio collaborando con brand, facendo pubblicità, andando ospite in programmi televisivi e chi più ne ha più ne metta – eppure è indispensabile. Ovviamente abbiamo fatto l’esempio della musica, ma la stessa cosa potrebbe essere traslata tranquillamente nel cinema, nel teatro, nella tv.

Con la riforma cosa sarebbe cambiato? In sostanza se questa venisse approvata definitivamente chiunque lavori nell’ambito dello spettacolo, vedrebbe riconosciuto il suo operato mentre viene messo in atto, quindi sostanzialmente avrebbe una sorta di “stipendio” mensile (definito più che altro un contributo economico ed erogato comunque solo entro una certa soglia, perché chiaramente artisti di fama internazionale, che guadagnano già cifre astronomiche, non ne avranno diritto).

E non solo, perché un altro enorme problema è il lato previdenziale, che praticamente per questa categoria di lavoratori si annulla del tutto: pochissimi artisti, infatti, sono riusciti ad oggi a maturare il requisito dei 90 giorni per avere i contributi ai fini pensionistici. Con la riforma, invece, anche questo sarebbe cambiato, perché in pratica tutti loro sarebbero potuti ufficialmente andare in pensione, come tutti gli altri lavoratori del resto.

Indennità di discontinuità
Indennità di discontinuità – Nanopress

Adesso possiamo tornare ad oggi. Da luglio ad oggi – sono passati circa cinque mesi – in Italia è successo di tutto e alla fine tutto si è concluso con la formazione di un nuovo Governo. Bene, pare che però quest’ultimo non abbia affatto tenuto in considerazione l’indennità di discontinuità, che quindi potrebbe essere oggi nulla.

Cosa sta accadendo oggi

La domanda che risuona oggi nelle orecchie di tantissime persone è questa: perché questa misura è stata cancellata? Ad oggi non ci sono risposte, ma probabilmente – almeno questo è il pensiero comune più diffuso – semplicemente questa faccenda è scivolata dietro tante altre ritenute più importanti e quindi in sostanza la condizione dei lavoratori dello spettacolo non è stata ritenuta prioritaria dal nuovo governo.

Prima di tutto, per capire effettivamente l’importanza che ha questa misura, possiamo attenerci le parole di Vittoria Puccini, attrice e presidente dell’associazione U.N.I.T.A., durante la conferenza stampa: “Inserire all’interno della legge di Bilancio un finanziamento adeguato all’indennità di discontinuità che è Legge approvata in Parlamento lo scorso 15 luglio significa dare la possibilità a tutti i professionisti dello spettacolo di vivere in maniera dignitosa della propria professione, di uniformarsi al resto dell’Europa, di aumentare la qualità del nostro lavoro, di far diventare il nostro comparto più competitivo a livello internazionale, non è un qualcosa a cui possiamo rinunciare, a cui nessuno di noi può rinunciare, non siamo nel campo delle scelte politiche di destra o di sinistra, la cultura è un bene primario, essenziale, universale che riguarda tutti noi cittadini in maniera indistinta.”

Ma non solo, perché merita una considerazione la reale situazione ad oggi dei lavoratori dello spettacolo, nell’era post-pandemia potremmo dire. Ci ha pensato l’Osservatorio sui lavoratori dello spettacolo elaborato dall’Inps a fornirci una panoramica di quello che è accaduto in questo settore negli ultimi tre anni, dallo scoppio della pandemia cioè. Certo è che il 2021, rispetto all’anno precedente, ha registrato segni di miglioramento, ma a quanto pare questi non sono ancora sufficienti, perché la situazione di questo settore non è affatto idilliaca. Basti pensare che il numero medio di giornate retribuite e la retribuzione media annua hanno subito un ennesimo calo, rispettivamente del 6% e del 2%, cosa che di certo non costituisce un ottimo segnale.

Ma non solo, perché una ricerca condotta dal Centro Studi Doc ha mostrato poi che il settore dello spettacolo dall’inizio della pandemia ad oggi ha perso circa 8 miliardi di euro, che nel gruppo tecnici c’è stato un calo significativo – solo nel primo anno del 12,7% – e che il 21,7% di questi ultimi non lavora più in questo settore (considerando che di questi l’11,4% ha deciso di cambiare completamente ambito, mentre il 10,3% sta ancora cercando un nuovo lavoro) e l’86% ha cambiato lavoro per ragioni economiche.

E ancora, le aree professionali che hanno visto un tasso di abbandono più ingente sono state quelle inerenti a produzione, scenografie e allestimenti e strutture (non a caso, tutte legate al dietro le quinte). C’è poi da aggiungere che i più colpiti sono donne e lavoratori di età compresa tra i 30 e i 50 anni che spesso quindi hanno famiglie a carico e mutui da pagare.

Questa è una panoramica generale, dati alla mano, della situazione oggi e ci fa comprendere quanto in effetti la pandemia hanno inciso negativamente su un settore che in realtà da sempre ha mostrato crepe mai risanate e divenute solo più evidenti negli ultimi anni. Ecco perché la riforma avrebbe potuto cambiare le sorti dei lavoratori dello spettacolo: non avremmo mai più dovuto assistere a loro cambi di rotta improvvisi, ad abbandoni, a crisi economiche. Tutti sarebbero stati tutelati, sia i professionisti che ci mettono la faccia, che quelli che restano in sordina, ma il cui operato è fondamentale in poche parole.

Adesso quello che c’è da capire è cosa accadrà effettivamente con il nuovo Governo. Ad oggi non è detta l’ultima parola, quindi bisognerà vedere anche se, dopo che le voci dei diretti interessati hanno urlato aiuto, qualcuno le ascolterà.

Impostazioni privacy