L’Inter ha pareggiato 3-3 contro il Benfica a San Siro nel finale, ma poco conta perché ha comunque raggiunto il Milan in semifinale di Champions League, come nel 2003 e conquistando una qualificazione decisamente meritata per intensità, gioco espresso e fase realizzativa, dato che sono stati cinque in due partite i gol fatti contro i lusitani. Nel primo tempo, a sbloccare la gara ci ha pensato Nicolò Barella, che aveva già segnato a Lisbona nella gara di andata di una settimana fa, dopo l’1-1 dei portoghesi, però, nella ripresa ai nerazzurri di Simone Inzaghi sono bastati i due argentini, in tandem, Lautaro Martinez e Joaquin Correa per realizzare un sogno che a inizio anno sembrava irrealizzabile.
E poco importa, appunto, che quasi a tempo scaduto, sia arrivato il pareggio degli ospiti, perché è una festa quell’Inter, è una festa che torna dopo tredici anni dall’ultima volta, da quell’Inter post triplete che un po’ viveva di rendita. È una festa soprattutto sugli spalti di San Siro, riempiti di 80mila persone (e qualche portoghese) che non ha mai smesso di spingere la squadra di Simone Inzaghi, dall’inizio alla fine. Il tecnico nel post partita ha anche minimizzato le critiche nei confronti dei suoi calciatori e soprattutto tutti quelli che spingono per il suo esonero, mentre Schmidt si è soffermato sull’operato degli arbitri sia nel match di andata, sia in quello di ritorno, sostenendo che l’utilizzo del Var, applicato in questa maniera, non ha alcun senso.
L’Inter pareggia 3-3 contro il Benfica ai quarti di finale e raggiunge il Milan in semifinale di Champions League
Dopo il Milan potrebbe arrivare l’Inter in semifinale di Champions League, per giocarsela contro come nel 2003, quando andò male ai nerazzurri. Sarebbe un sogno avere la rivincita anche lì, in quella coppa dalle grandi orecchie che per anni, dopo averla vinta assieme a scudetto e Coppa Italia, è diventata quasi proibita. E quindi, anche se in Serie A si arranca, Simone Inzaghi, il tecnico finito non poco sulla graticola per quei risultati, non cambia nulla rispetto all’andata, conferma quegli undici che a Lisbona, contro il Benfica che prima che iniziasse era già qualificata per molti, ne hanno fatti due a Roger Schmidt.
In porta André Onana, a destra, in difesa, confermato Matteo Darmian, poi Francesco Acerbi (scelto anche perché Stefan de Vrij si è infortunato contro il Monza), e infine a completare il tutto l’autore dell’assist della scorsa settimana, che è stato anche l’mvp del match: Alessandro Bastoni. A centrocampo, Denzel Dumfries sgropperà sulla fascia destra, Nicolò Barella, Marcelo Brozovic e Henrikh Mkhitaryan e sull’altra fascia Federico Dimarco, davanti a Lautaro Martinez ancora una volta l’ex Lazio ha preferito Edin Dzeko.
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I portoghesi rispondono, anche loro, con la stessa formazione che ha perso in casa, solo con Nicolas Otamendi tornato al centro della difesa assieme ad Antonio Silva. Per il resto la formazione è quella tipo, confermata anche rispetto al match di andata e con Aursnes, uomo tattico di Schmidt, ancora una volta preferito a un David Neres effervescente, ma che il tecnico preferisce gettare nella mischia a partita in corso.
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Nonostante sia il Benfica a essere in svantaggio nel punteggio, è l’Inter che per prima riesce a trovare la via del gol. A segnare è ancora una volta lui: il sardo con il numero 23, che stavolta non ci riesce di testa, ma con un dribbling ubriacante come non si vedeva da tempo in casa nerazzurra dopo l’assist del campione del mondo. È l’1-0, che in realtà significa 3-0, al 15esimo, ed è anche il momento in cui San Siro, già caldissimo, diventa ancora di più una bolgia.
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Il triplo vantaggio non intimorisce i padroni di casa, che continuano a spingere e creare occasioni per archiviare fin dal primo tempo la pratica qualificazione, e sogno chiaro. Al 33esimo, in effetti, Lautaro raddoppia anche ma il fiscalissimo Carlos De Cerro vede un fallo ed è tutto da rifare.
Il Benfica prende confidenza e sale di giri, ci vuole la migliore versione di Onana per evitare un minuto più tardi la doccia fredda del pareggio su un colpo di testa di Chiquinho. Ma è un sintomo, e infatti al 38esimo arriva davvero l’1-1, su un cross di Rafa Silva, che era sembrato in posizione di fuorigioco, e in effetti c’è solo la spalla di Darmian a tenere dentro Fredrik Aursnes, che a pochi passi dal camerunese non sbaglia.
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Si va negli spogliatoi, e quando si torna, c’è una sorpresa. E un messaggio chiaro da parte di Schmidt perché al posto di Gilberto, che è un terzino, in campo il tedesco mette David Neres, un esterno d’attacco, spostando Aursnes come laterale basso. Nonostante questo, è ancora l’Inter a partire più forte sempre con l’argentino, che tenta con un bolide dalla distanza che finisce di molto al lato. Ma c’è anche il Benfica in campo, e lo si vede un minuto più tardi quando è il subentrato che prova a impegnare la difesa nerazzurra, ma ottiene solo un calcio d’angolo. Al 49esimo, c’è anche il primo ammonito della gara, ed è l’autore dell’assist del pareggio che, stavolta, non poteva essere perdonato.
Segue una fase piuttosto tranquilla del match, in cui sono gli uomini di Inzaghi però a spingere di più. Al 65esimo, sono loro ancora a segnare il gol del raddoppio con un’azione manovrata molto bella in cui Mkhitaryan passa la palla in area a Dimarco, lui crossa e trova il piede di Lautaro che stavolta fa esplodere gli 80mila di Milano.
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Per prudenza, anche per la semifinale che ormai non è più una chimera ma una certezza, il tecnico piacentino fa un triplo cambio e lascia rifiatare Barella, Dzeko e l’autore del 2-1 per inserire Hakan Calhanoglu, Lukaku e Joaquin Correa. Ci mette esattamente quattro minuti l’argentino a prendere confidenza con la gara e a finire nel tabellino. Sempre su cross dell’esterno ex Verona, il Tucu riceva in area, dribbla due avversari e mette una palla sul secondo palo che prima sbatte poi batte il portiere greco.
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La partita non è finita, ma solo per i minuti che mancano, perché in realtà l’Inter è già tranquilla, e lo è quando, all’86esimo, viene trafitta da Antonio Silva che svetta su una punizione e batte il numero 24. A tempo quasi scaduto, poi, arriva anche il pareggio del Benfica con Musa che piomba su un pallone vagante all’interno dell’area e batte il portiere con un rasoterra centrale.
È solo l’ultimo tentativo di uscire a testa alta da una competizione che, prima di incrociare i nerazzurri, li aveva visti dominare in lungo e in largo (anche e soprattutto contro la Juventus di Massimiliano Allegri), ed è soprattutto una festa per i tifosi nerazzurri, chi ha avuto la fortuna di essere allo stadio, chi è rimasto a casa a sperare e soffrire con gli undici di Inzaghi. È una festa anche per loro, che sì, in Serie A non ci stanno facendo vedere il meglio del loro repertorio, ma che in Champions League hanno perso, al momento, solo contro il Bayern Monaco, che oggi è uscito contro il Manchester City.
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Poi sì, c’è un derby di semifinale tutto da giocare, un derby che, comunque vada, regalerà una finalista italiana dopo i bianconeri nel 2017 e nel 2014, entrambe le volte perdendo. Ed è importante, è vero, non perdere, ma è importante anche arrivarci, per il ranking e perché l’Italia merita di essere là. E Milano ci sarà sicuramente.
L’analisi e le reazioni dopo Inter-Benfica: Inzaghi ritrova l’attacco nella serata più importante
Il re di coppa, come i tifosi hanno ribattezzato il loro allenatore, ce l’ha fatta ancora una volta e stavolta oltre un ostacolo che in molti avevano pronosticato come fatale per il tecnico piacentino. Sì, ora lo dimenticano in molti, ma Inzaghi partiva con gli sfavori della stampa, degli addetti ai lavori, anche dei bookmakers a dire il vero, nell’ambito del doppio confronto. E non era una valutazione casuale, anzi l’esatto opposto.
Il Benfica è una squadra che gioca a calcio, quello vero, senza lesinare nel possesso del pallone, nella visione verticale e nelle trame di gioco tra le linee, atte a scardinare la difesa avversaria per poi innescare gli inserimenti dei centrocampisti e soprattutto Goncalo Ramos, uno che si è già guadagnato l’appellativo di miglior attaccante portoghese, al cospetto dei vari Cristiano Ronaldo o Rafael Leao.
Ancora, ora sembra una vita fa, ma i lusitani non hanno sofferto praticamente contro nessun avversario prima dell’Inter nella massima competizione europea. Anche in un girone che sembrava complicatissimo e in cui Juventus e PSG sembravano nettamente favorite per il superamento del turno, la squadra di Roger Schmidt ha saputo mettere in mostra il calcio iper moderno che è riuscita a costruire partita dopo partita fino a creare una macchina perfetta o quasi. È stata un’evoluzione che non era immune da rischi, con quei terzini maledettamente bravi nell’impostazione della manovra e nella fase di spinta, ma che poi qualcosa alle spalle concedono per forza di cose, anche per una questione di fisicità.
Se hai sempre il pallone nei piedi dei tuoi uomini migliori, non è esattamente un problema e questo è ciò che deve aver pensato Schmidt per lunghi tratti di quest’anno, quando le cose andavano particolarmente bene. Le vittorie dei portoghesi sono arrivate in serie nella Liga portoghese e hanno permesso, almeno fino a questo momento, di tenere ben a distanza Porto e Sporting, due squadre comunque quadrate, organizzate e che sanno come vincere. Il grande percorso in campionato non ha comunque inciso in negativo su quanto successo in Champions League. La Juventus ha perso entrambe le volte contro una rosa sulla carta più debole, ma che aveva un’organizzazione decisamente migliore e soprattutto una maniera di pensare il calcio differente e – non ce ne vogliano i tifosi bianconeri – migliore rispetto a quella che è riuscita a dare Massimiliano Allegri. Anche contro il PSG, però, le cose non sono andate affatto male, anzi il Benfica ha giocato praticamente alla pari contro i campioni di Francia, rischiando anche di tornare a casa con il colpo grosso. Non era facile, neppure un dettaglio, nonostante i transalpini non siano riusciti spesso a trovare la continuità auspicata quest’anno.
L’Inter sapeva tutto questo, ha studiato l’avversario, i movimenti di un ex come Joao Mario che ballando tra il centro all’out di destra riesce a rendersi immarcabile per la maggior parte delle squadre avversarie e creando puntualmente la superiorità numerica. Soprattutto in Portogallo ci si aspettava molto dall’ex West Ham che è riuscito con il tempo a diventare il fulcro del gioco di Schmidt dal punto di vista tecnico e a ispirare la maggior parte delle azioni offensive, arrivando puntualmente all’assist, all’inserimento vincente o a conquistare calci piazzati che poi si rivelavano decisivi per il punteggio. L’architrave dei lusitani, insomma, era totalmente studiato e ben composto, anche nelle caratteristiche di calciatori che, per quanto riguarda l’ingaggio, erano i meno costosi tra tutte le otto squadre rimaste in lizza per sollevare al cielo la coppa dalle grandi orecchie.
Joao Mario era solo la punta di un iceberg solido e ben costruito nelle uscite sugli esterni bassi e le loro sovrapposizioni. Alejandro Grimaldo, che a fine anno andrà in scadenza di contratto e su cui sono già puntati gli occhi delle principali big europee comprese le italiane, è sicuramente più bravo a spingere che a contenere, ma sa andare con grande continuità al cross, al tiro e soprattutto all’assist. I numeri sono dalla sua parte, dato che lo si può notare ai primi posti nelle classifiche d’Europa per la capacità di gestire la sfera nei calci da fermo e anche con la palla in movimento, grazie a uno dei migliori mancini che si possono trovare in Europa, almeno nel suo ruolo. L’assenza di Alexander Bah dall’altro lato è stata certamente un fattore importante, perché serviva a compensare la mancanza di dribbling sul fondo che Joao Mario in costruzione non può dare e non con la continuità che dall’altro lato contraddistingue Rafa Silva. Al massimo quel fattore lo dà David Neres, ma meglio con i piedi nel campo, sulla trequarti, dove l’ex Ajax è solito rientrare sul piede forte e avanzare con delle serpentine spesso travolgenti e incredibilmente efficace.
L’architettura di gioco dei lusitani, anche contro l’Inter, aveva un solo e chiaro obiettivo: tenere alto il baricentro della squadra come prerogativa essenziale e creare la massima densità possibile sulla trequarti con dei fraseggi corti, a partire da centrocampisti tuttofare e molto bravi nella costruzione come Florentino e Aursnes. E si tratta degli stessi fraseggi che hanno messo in crisi la Juventus che sono comunque solo una delle soluzioni a disposizione di Schmidt. Infatti, l’altra via è quella dello scarico esterno per i piedi educati dei laterali, pronti a innescare il fiuto, gli anticipi e quell’istinto da rapace dell’area di rigore che Goncalo Ramos ha dimostrato più volte di avere nel sangue e anche con la maglia della sua Nazionale.
Insomma, ai ranghi di partenza di punti deboli non ce n’erano poi tanti per i lusitani e al massimo erano riscontrabili nella lentezza dei centrali di difesa, protetti comunque dalle marcature preventive dei centrocampisti e dal pressing di ritorno dei trequartisti, in modo da limitare i contropiede subiti. Forse anche nel portiere, perché è vero che Vlachodimos è abile nelle prese laterali e nel ribattere i tiri dalla distanza con un’altezza evidente e che l’ha sempre aiutato nello strutturare la sua carriera, ma il greco ha sempre mostrato qualche incertezza nelle uscite alte o basse, a volte perdendo palloni cruciali per l’andamento della partita.
L’Inter, però, non ha sfruttato tanto quello, ma ha avuto l’umiltà di studiare i diretti avversari nei dettagli, studiarli come un underdog che è convinto di dover fare di più dei valori tecnici in sé e per sé per superare il turno e poi mettere in pratica il lavoro e gli insegnamenti di Inzaghi e del suo staff sul campo, con pochissime sbavature. È vero, stasera la Beneamata ha subito tre gol, ma all’andata neppure uno e anche in questo caso, nonostante la delusione paradossale sugli occhi degli intervistati nerazzurri nel post partita, si è trattato di situazioni strane, casuali, di disattenzioni dovute a fattori esterni. In realtà, non c’è mai stata la sensazione che l’Inter non avesse la partita in mano e questo è stato l’elemento decisivo per superare un turno sulla carta tremendamente complicato per una squadra come quella di Inzaghi che ha sempre mostrato fin troppe fragilità in questa stagione. E soprattutto alti e bassi.
Se di segreto si può parlare, ma probabilmente è molto più corretto definirla tattica vincente, la mossa fondamentale è stata quella di pensare in avanti e non alle spalle. Imparare anche dagli errori di Allegri, far comprendere a quelli in maglia nerazzurra che abbassarsi e farlo per troppi minuti rischiava di essere un errore fatale contro chi interpreta il pallone alla maniera dei lusitani e che, ahinoi, prima o poi uno spazio l’avrebbero trovato e quel gol in più degli avversari l’avrebbero fatto. Inzaghi, e questo l’aveva consigliato anche Paulo Sousa dopo il match tra la Beneamata e la Salernitana qualora ce ne fosse bisogno, ha preparato la partita chiamando sempre un movimento in avanti in più ai suoi centrocampisti, agli attaccanti e quindi alla linea difensiva. Poi la squadra, per la qualità avversaria, è stata costretta anche a retrocedere, ma comunque con ordine e in maniera programmata, creando anche lo spazio per ripartire in contropiede.
L’elastico costruito dai nerazzurri ha funzionato, anche perché la pressione subita dal Benfica non è stata mai davvero così costante e pericolosa, anzi molto meno del previsto. Ora che il doppio confronto si è concluso e le bocce sono ferme, possiamo dire senza troppi dubbi che l’Inter non solo ha battuto i favoriti, ma ha meritato inequivocabilmente di farlo per il gioco espresso. Anzi, che i milanesi si sono dimostrati complessivamente più forti, più qualitativi, con uscite di gioco splendide e un centrocampo che è capace di fare filtro e organizzare la manovra meglio rispetto ai diretti avversari. In definitiva: è passata la squadra migliore e in pochi un mese fa avrebbero detto che fosse l’Inter.
Nonostante le tante critiche, anche ingiuste, che i nerazzurri si sono beccati per il gioco espresso, la risposta è stata forte e chiara ed è arrivata attraverso il campo, la declinazione più corretta per capire l’andamento di un club e dove potrebbe arrivare. La Beneamata è andata in Portogallo con la volontà scandita e convinta di non essere la vittima sacrificale dell’ennesima bellezza del Benfica, anzi di poterlo battere e di poter anche comandare il gioco con i giusti accorgimenti. Quello che è successo, poi, e non è affatto casuale, è stato proprio questo. L’Inter si è preoccupata di tenere il pallone per più tempo possibile per poi organizzare una manovra corale e ben orchestrata che costringesse gli avversari a fare quello che sono meno bravi a fare: cioè coprire l’area di rigore, le loro spalle e tentare di contenere gli inserimenti.
Il lavoro di Marcelo Brozovic è stato quello dei tempi migliori, il regista che riesce quasi da solo, in aiuto alle uscite dei terzi di difesa, a scavalcare le linee serrate degli avversari e senza neanche troppo problemi. Si contano molto di più le volte in cui il Benfica è andato a vuoto ed è stato costretto a retrocedere rispetto a quando la pressione di attaccanti e centrocampisti lusitani è andata a buon fine, e questa sarebbe stata comunque una vittoria importante dal punto di vista tattico per i nerazzurri. Questo non vuol dire togliere meriti alle mezzali di Inzaghi che, invece, sono stati nell’arco del doppio confronto assolutamente i migliori in campo. Nicolò Barella ha gestito spesso gli attacchi in maniera sublime e senza un reale punto debole che si possa definire in maniera convinta.
L’ex Cagliari ha vinto contrasti, ha organizzato l’azione sulla catena di destra, poi si ritrovava sulla trequarti e in zona gol con uno stato di forma splendido e completamente diverso rispetto a quanto si potesse pronosticare qualche settimana prima. Il gol realizzato all’andata, con il pezzo meno forte del repertorio e quindi il colpo di testa, è stato un marchio su quello che sarebbe successo e ha rotto gli indugi di un centrocampo che spesso è stato criticato, perché votato solo al possesso e alla gestione lenta del pallone, senza poi tentare di offendere in area di rigore. Al ritorno, invece, ha fatto una cosa ancora più bella, dato che ha vinto con grande qualità un paio di duelli per poi sfoderare una giocata di rara bellezza al limite dell’area e liberare un mancino (anche in questo caso piede debole) splendido e che si è infilato direttamente sotto l’incrocio dei pali. Era esattamente quello che serviva all’Inter, in quel momento, per blindare la qualificazione e così è stato a conti fatti.
I discorsi non possono essere meno lusinghieri per Henrikh Mkhitaryan. L’ex Roma è stato un acquisto arrivato un po’ in sordina, con i crismi del sostituto di uno dei tre titolari e qualora ce ne fosse bisogno. Il suo apporto, fino a questo momento, è stato in realtà completamente diverso rispetto alle attese e rivisto sicuramente al rialzo. L’armeno ha fatto in modo, con il lavoro e le prestazioni sul campo, di ritagliarsi un posto fondamentale nell’assetto disegnato da Inzaghi e non ne è più uscito. Ora si può dire con certezza che si tratta di uno degli insostituibili nella squadra del tecnico piacentino e che sta inglobando nel suo gioco caratteristiche che prima non lo riguardavano affatto o non del tutto. La fase difensiva dell’ex Roma è stata encomiabile nel doppio confronto contro il Benfica e ha permesso a tutta la squadra di alzare il livello di intensità e di costruire costantemente occasioni da rete, sfruttando sia la via centrale che va direttamente alle punte sia le costanti sovrapposizioni degli esterni di centrocampo, bravi a gestire il pallone e mettere al centro cross interessanti, come in occasione del gol di Lautaro Martinez, sia a chiudere le continue discese dei portoghesi che sono state molto meno pericolose del previsto alla lunga.
Se il centrocampo ha funzionato ed è sicuramente il punto forte della rosa di Inzaghi, molti saranno stati sorpresi da una difesa che è riuscita a reggere l’urto contro avversari temibili e per numeri tra i migliori dell’intera competizione. Goncalo Ramos e compagni, sempre per prendere a riferimento la doppia sfida contro un’altra italiana, avevano segnato sei gol in due partite contro la Juventus, che comunque ha una delle retroguardie più solide della Serie A e avrebbero potuto realizzarne anche degli altri con un po’ di cinismo in più. Nei 180 minuti contro l’Inter, invece, non c’è mai stata la sensazione reale che il Benfica potesse abbassare la testa e mettere in difficoltà in maniera continuativa i nerazzurri. Anche i tre gol messi a segno a San Siro sono parsi abbastanza estemporanei e hanno alla base delle motivazioni ben precise. Ad esempio, per quanto riguarda il gol di Aursnes, è chiaro che la linea difensiva si sia totalmente fermata convinta che almeno un calciatore del Benfica fosse in fuorigioco. Poi, una volta capito come stavano andando le cose, per Darmian e Dumfries è stato praticamente impossibile recuperare il terreno perso ed evitare la marcatura.
Invece, per il 3-2 e il 3-3 si possono imputare dei cali fisiologici che sono giustificabili per chi ormai è sicura di aver conquistato il pass per una semifinale storica contro il Milan. Nella rete di Antonio Silva, inoltre, non si può evitare di dare grossi meriti al difensore centrale che ha realizzato un gol da attaccante puro e difficilmente contenibile. Il pareggio, invece, è arrivato praticamente sul fischio finale e, anzi, molti calciatori dell’Inter pensavano fosse già stata decretata la parola fine sul match. Giusto o sbagliato che sia, non ha alterato l’equilibrio globale di una qualificazione in ghiaccio e sorprendentemente, rispetto a quanto era successo con il Porto, con molti minuti di anticipo.
Andando ad analizzare la prestazione dei singoli, invece, è chiaro che l’apporto dato nell’uno contro uno e nella gestione della linea da diversi nerazzurri sia stato molto positivo e decisivo ai fini del risultato. Avere a che fare con la costante pressione di gente come Rafa Silva o Joao Mario, e poi David Neres, non è affatto semplice, eppure i centrali di Inzaghi hanno tenuto particolarmente bene e concesso a Goncalo Ramos una sola grande occasione nell’arco del doppio confronto, puntualmente spenta da un clamoroso André Onana. Ah, per chiunque avesse dei dubbi sulla tenuta a certi livelli dell’ex Ajax, beh la dimostrazione dei fatti è ben diversa dalla presunzione di saperne di più. Settimana dopo settimana, l’estremo difensore sta dimostrando di essere un portiere moderno che sa impostare benissimo la manovra, ma che anche tra i pali sa dire la sua e farsi trovare pronto al momento giusto. Contro il Benfica non è stato costantemente messo sotto pressione, e ciò è paradossalmente più difficile per un numero uno, eppure nei lampi improvvisi dei portoghesi non ha sbagliato praticamente nulla ed è riuscito a tenere la porta inviolata nella partita d’andata. Insomma, l’Inter ha trovato un erede più che degno di Samir Handanovic e l’ha preso a parametro, che dà ancora di più una dimensione di quale colpo abbiano fatto i nerazzurri.
E nel novero di chi ha fatto meglio, sempre nel reparto arretrato, non si può non inserire Alessandro Bastoni. La particolarità di un difensore come l’ex Atalanta è il meraviglioso apporto che riesce a dare nella doppia fase, coprendo benissimo ogni spazio e poi ripartendo con una gamba e una qualità che non sono affatto facili da trovare anche ad alti livelli. Il centrale della Nazionale italiana è stato grande protagonista in occasione del gol di Barella che ha dato tutta un’altra connotazione al doppio confronto tra Inter e Benfica. La sua sventagliata con il mancino dalla zona centro-sinistra ha aperto una linea di passaggio meravigliosa e che in pochi si aspetterebbero da un difensore. Poco dopo ha anche replicato con una giocata analoga e che il Benfica non è praticamente mai riuscito a leggere, ma i portoghesi in quel caso sono stati fortunati a contenere il doppio tentativo di Denzel Dumfries. Insomma, Basto ormai è una certezza sia avanti, sia dietro e blindarlo con il rinnovo di contratto sembra un obbligo per un interista vero e che sta incidendo non poco nei successi dei nerazzurri.
Arriviamo, quindi, al punto nevralgico delle critiche rivolte alla Beneamata nelle ultime settimane, quelle relative l’attacco. Se serviva una reazione (e serviva) è arrivata proprio stasera nel 3-3 contro i lusitani. Lautaro Martinez, infatti, dopo un periodo di forte appannamento è tornato a dare la qualità che tutti si aspettano da lui e a ritrovare un fiuto del gol riposto nel cassetto dopo un inizio di 2023 meraviglioso e che vedeva l’argentino ancora in gran forma dopo la conquista del Mondiale in Qatar. Stasera il Toro è stato totale: ha giocato la partita all’argentina con un’intensità e un’applicazione difensiva encomiabile per non permettere ai diretti avversari di giocare il pallone con tranquillità, ma poi non ha perso di lucidità anche negli ultimi metri. L’ex Racing ha ripulito un numero di palloni mostruoso, è uscito vincente da una lunga serie di contrasti e poi, quando c’era da mettere a segno il gol decisivo per blindare definitivamente la qualificazione, l’ha fatto con una cattiveria e una qualità che ha soltanto chi ha un grosso attaccamento alla maglia e all’obiettivo.
L’Inter dovrà ripartire da lui, quindi, in questo finale di stagione, ma non è l’unico su cui fare affidamento, nonostante il mese di appannamento che tutto il gruppo nerazzurro ha vissuto dal punto di vista offensivo. Romelu Lukaku ha vissuto un momento di forma molto difficile dopo uno dei momenti più difficili della sua carriera e il grave infortunio muscolare che non gli ha permesso di essere in campo per mesi. I segnali sono positivi e lo stesso vale per un calciatore molto criticato come Joaquin Correa che stasera ha messo il marchio finale sulla partita con un gran tiro a giro sul secondo palo. Il modo giusto per sbloccarsi, per dimostrare di poter essere una risorsa importante da qui a fine stagione e anche per guadagnarsi la fiducia dell’ambiente e dei suoi tifosi, gli stessi che li hanno criticati per gran parte della sua esperienza in nerazzurro. All’appello nella girandola dei gol è rimasto fuori solo un Edin Dzeko che si è dimostrato uomo fondamentale nello scacchiere della Beneamata nella prima parte di stagione, ma che poi è sceso di condizione e fiducia. Resta comunque un titolare di Inzaghi e uno che ha fatto salire il suo rendimento anche stasera contro il Benfica, aprendo spazi, vincendo duelli e facendo essenzialmente tutto ciò che serviva per rendere letali gli attacchi dei suoi.
E qualche parola va spesa anche sul tecnico nerazzurro, uno che fin dai primi passi falsi a inizio stagione ha visto scendere sul suo operato la scure di un esonero sulla carta ingiusto, ma che si è sempre sentito al centro del progetto e anche prima delle ultime sfide è stato legittimato del suo posto sulla panchina dell’Inter. Dopo aver conquistato la qualificazione, ha detto subito ai giornalisti: “C’è grande felicità per tutta l’Inter, abbiamo fatto una grande partita contro una squadra molto forte. Va dato onore ai ragazzi che hanno fatto due gare strepitose, abbiamo ampiamente meritato questa qualificazione“. E visto il pressing mediatico che ha subito nell’ultimo periodo, non può che esserci una domanda su come ha preso le critiche: “Io ero felice per i ragazzi, per il cammino, sappiamo cosa abbiamo dovuto fare, nel girone avevamo Bayern e Barcellona, siamo stati uniti insieme ai tifosi che ci hanno aiutato, si lavora giornalmente per vivere queste serate”.
E poi ancora: “Le critiche non sono un problema, so chi parla bene e chi parla male a volte ci sta, a volte no. Sono da tanti anni in questo mondo e sono concentrato sulla squadra e sul lavoro per far vivere alla gente serate come queste”. In molti hanno visto i calciatori imbronciati, quindi viene chiesto anche a Inzaghi come abbia preso i due gol subiti nel finale: “Nel secondo sono stati bravi loro, sul terzo c’è stato un fischio e i giocatori si sono fermati. Abbiamo fatto un grandissimo primo tempo e nel secondo abbiamo coperto il campo bene e i cambi ci hanno aiutato. Sul lavoro degli attaccanti? Il mio obiettivo è avere tutti e 4 gli attaccanti a disposizione, questo calendario è diventato proibitivo, ho bisogno di tutti e tutti mi stanno dando una grande mano”.
Ora è il momento di analizzare anche le parole del tecnico avversario, di Roger Schmidt, che non si è concentrato solo nell’analizzare l’operato dei suoi in campo, ma anche l’operato degli arbitri nel doppio confronto e che non ha lasciato proprio soddisfatti i lusitani: “Le statistiche sono molto buone, non solo in trasferta ma anche in casa. Abbiamo dimostrato di essere coraggiosi, è il nostro DNA, è per questo che siamo riusciti a vincere tante partite fuori casa. La mia filosofia è essere proattivi, c’è più probabilità di vincere. Le partite con l’Inter sono state equilibrate, anche oggi loro hanno dimostrato molta qualità individuale, ma siamo stati sfortunati con l’arbitro: non so perché il VAR non abbia richiamato per rivedere il rigore su Aursnes. Stessa cosa all’andata con il rigore su Goncalo Ramos. Per me possono cancellare il VAR perché così non ha senso”.
Migliorare la tecnologia avrebbe sicuramente un valore importante, ma concentrarsi solo su quello in un quarto di finale di Champions League senza storia ci sembra un po’ troppo e forse è pure pretestuoso. Di certo, il Benfica ha ancora tanto da giocarsi in stagione e dare la colpa a qualcosa di esterno serve anche a dare morale a un gruppo in netto calo rispetto a qualche settimana fa, ma non è molto corretto nei confronti di un’Inter che con la tecnica, la qualità e non con i pullman davanti la porta ha dimostrato globalmente di meritarsi la qualificazione. Ora c’è da guardare avanti, a quello che sarà: una finale di Coppa Italia da conquistare, tornare a fare bene in campionato, che poi è un obiettivo primario perché è di vitale importanza il quarto posto, infine e non per importanza, ci mancherebbe altro, una finale di Champions League in palio contro i rivali di sempre e che è sicuramente l’appuntamento da cerchiare in rosso sul calendario. Perché ora fermarsi sarebbe un peccato capitale e di certo Inzaghi e i suoi ragazzi non sono progettati per farlo.