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L’Inter ha vinto 2-0 l’andata delle semifinali di Champions League nel derby contro il Milan

L’Inter ha vinto l’andata delle semifinali di Champions League nel derby contro il Milan grazie alle reti, nei primi undici minuti di gioco, di Edin Dzeko e di Henrikh Mkhitaryan, che si è laureato anche mvp della serata da sogno di San Siro. Il ritorno, fra una settimana, anzi meno, sarà comunque una gara aperta, in cui nerazzurri dovranno amministrare il vantaggio, e che i cugini dovranno tentare di sbloccare subito, magari con in campo anche Rafael Leao, che non è riuscito a esserci oggi dopo il problema muscolare accusato contro la Lazio. Non è un risultato bugiardo, però, anzi è piuttosto la somma tra un primo tempo che la squadra in trasferta, quella di Simone Inzaghi, ha dominato in un lungo e in largo, e che nella seconda frazione ha saputo amministrare, anche perché, oggi, in attacco quella di Stefano Pioli non ha mai saputo davvero pungere o sfruttare gli spazi che l’Inter ha concesso. 

Edin Dzeko che festeggia il gol dell’Inter nella semifinale di andata di Champions League nel derby contro il Milan in casa dei rossoneri – Nanopress.it

Un sogno. Un incubo. Un derby. Di Milano. di Champions League. Delle semifinali della coppa dalle grandi orecchie. Vent’anni dopo l’ultima volta. Una rivincita, l’ennesima, tra due squadre che rappresentano due diversi modi di essere, ma all’interno della stessa città, come se quello che sono io non puoi essere tu e viceversa. Perché se anche quella volta era stato il Milan ad avere la meglio (e poi aveva battuto anche la Juventus), e anche due anni dopo, ma ai quarti, l’Inter, nel tempo, ha servito la vendetta su un piatto freddo, freddissimo, portando a casa anche un triplete che nessuno in Italia, e poche in Europa sono riuscite a fare.

Novak Djokovic, tennista numero uno al mondo e grande tifoso del Milan prima dell’Euro derby contro l’Inter – Nanopress.it

E quindi è anche storia, questo Euro-derby. Questa stracittadina giocata in uno degli stadi più belli, più spettacolari del mondo, che si vuole anche abbandonare, quella Scala del calcio, quel Giuseppe Meazza, quel san Siro che oggi è una bolgia per la squadra di Stefano Pioli, che ufficialmente gioca in casa, e quella di Simone Inzaghi, che con i suoi giocherà la prossima settimana, martedì 16 maggio, e che è già sold out, introvabile il biglietto. Lo spettacolo, d’altronde passa anche da là, da quando gli undici rossoneri e gli undici interisti scendono in campo per il riscaldamento, forse prima.

A proposito delle formazioni, rispetto alle sfide dei quarti contro il Napoli, il tecnico dei campioni d’Italia (al momento lo sono ancora loro) ne cambia solo uno. Non è una scelta tecnica, però, è un’esigenza perché quel Rafael Leao che ha trascinato il Milan, soprattutto contro i partenopei in una doppia sfida che si è già iscritta alla storia del calcio italiano, si è dovuto fermare nei primi minuti della partita contro la Lazio di sabato, una piuttosto importante per la stagione dei rossoneri, che loro hanno vinto con merito (e un po’ anche per demerito della squadra di Maurizio Sarri) anche senza il portoghese, in pratica.

Chissà se sarà così anche stavolta, fatto sta che Mike Maignan è un punto saldo che Pioli non tocca più da quando è tornato dall’infortunio (e ci mancherebbe), a destra trova spazio anche il capitano, Davide Calabria, mentre sull’altra fascia non può mancare il vicecampione del mondo Theo Hernandez. A guidare la difesa, come nelle grandi occasioni, c’è Simon Kjaer affiancato da Fikayo Tomori. Una scelta che garantisce quella dose di esperienza in più, di capacità di giocare partite del genere e la leadership necessaria per far sì di tenere l’urto a un attacco, quello nerazzurro, fatto di grandi interpreti e trame di gioco fitte e complicate da arginare. In mediana non potevano mancare Rade Krunic e Sandro Tonali, mentre a occupare la trequarti Brahim Diaz viene spostato dalla parte di Leao e Alexis Saelemaekers che si prenda la fascia destra. Al centro, dietro il solito Olivier Giroud, l’emiliano opta per Ismael Bennacer, e come non potrebbe? Il centrocampista ha segnato un gol decisivo contro il Napoli, ma soprattutto è quel mediano in grado di amministrare il pallone e la strategia difensiva senza palla. L’ex Empoli sale, pressa, con il suo baricentro basso, recupera palloni e poi è bravo a smarcarsi quando il pallone ce l’hanno i suoi e galoppa sulla fascia. Insomma, una vera e propria arma segreta che Pioli si è riservato per il meglio, soprattutto per gli impegni che contano di più.

L’Inter, dal canto suo, non cambia nulla rispetto al doppio incontro contro il Benfica, ma ne cambia tre rispetto alla sfida con la Roma dell’ex José Mourinho, l’allenatore che per ultimo ha portato a casa una Champions League con i nerazzurri. I cambi riguardano soprattutto la coppia d’attacco, al posto di Romelu Lukaku, tornato finalmente a segnare e non solo su rigore, e di Joaquin Correa, Inzaghi opta per la coppia delle coppe: Edin Dzeko e Lautaro Martinez.

In porta c’è sempre André Onana, a comporre la linea a tre l’ex Lazio non rinuncia a Matteo Darmian, adattato da mesi per lo stop di Milan Skriniar, ma perfetto come braccetto di destra della difesa con Francesco Acerbi e Alessandro Bastoni. Sulle fasce, invece, Federico Dimarco corre sulla sinistra, Denzel Dumfries sulla destra, a comandare in mediana, non Marcelo Brozovic, come nella Capitale, c’è Hakan Calhanoglu, affiancato dai soliti Henrikh Mkhitaryan, e uno degli eroi di Lisbona, Nicolò Barella. Secondo alcuni si tratta del centrocampo più forte d’Europa, o almeno quello che gira meglio, per altri è semplicemente la massima espressione del gioco di Inzaghi. Sicuramente è da lì che sono passati i recenti successi dei nerazzurri in Europa e non potrebbe essere altrimenti.

È tutto pronto, quindi, è tutto apparecchiato per il fischio d’inizio dell’arbitro spagnolo Jesus Gil Manzano. È tutto bello, è un sogno, e un incubo, sarà tutta una storia da raccontare e da tramandare a chi non l’ha vissuto, magari, si spera, quando tornerà a viverlo.

E infatti, è una partita cattiva, questo derby, nelle fase iniziali. Il Milan prova a recitare il copione di sempre, mentre l’Inter cerca di ritagliarsi degli spazi in modo da poter, invece, imporre il proprio gioco. Mentre le curve, soprattutto quella dei rossoneri, cantano e si sentono a gran voce, non arriva neanche un tiro in porta. Il primo arriva all’ottavo minuto, e si trasforma in gol. Novak Djokovic e Andrij Shekchenko, un uomo che di Champions se ne intende, specie per il Diavolo, saranno rabbrividiti sugli spalti, ma, nello stesso momento, dall’altra parte è stata un’apoteosi, perché il gol di Dzeko, nato da un corner che lui stesso si era conquistato tra i fischi, è un capolavoro, oltre a essere davvero pesante. Sul calcio d’angolo battuto da Dimarco, il bosniaco si avventa sul pallone di sinistro e fa lo 0-1.


È una doccia gelata, ma è lunga, ancora, e i rossoneri hanno tutto il tempo per ribaltarla. Ne hanno, però, anche gli uomini di Inzaghi per farne un altro. E in effetti ci mettono esattamente tre minuti per riuscire anche a trovare il raddoppio. A colpire il portiere francese, stavolta, è Mkhitaryan, e il freddo inizia a essere pungente per il Milan. Su una progressione sempre dell’esterno ex Verona, e un cross dello stesso, l’armeno ruba un tempo ai rossoneri con il petto, arriva in area e fa, di nuovo, esplodere una gioia che adesso ha un sapore meno amara.

Anche perché passano altri cinque di minuti, ma è sempre dai piedi dell’Inter che passano le migliori palle gol. Prima serve il palo, interno, a Maignan, per salvarsi da una bomba dalla distanza di Calhanoglu nata da un recupero palla di Lautaro, poco dopo, invece, serve la sua versione migliore per salvarsi su Mkhitaryan, il miracolo avviene anche perché Barella la manda alle stelle.

Junior Messias, centrocampista del Milan, e Henrikh Mkhitaryan, centrocampista dell’Inter e autore del secondo gol per i nerazzurri – Nanopress.it

E piove anche sul bagnato. Perché dopo Leao, deve rinunciare alla partita più importante dell’anno anche Bennacer. Al 18esimo, il centrocampista chiede il cambio per un problema al ginocchio, al suo posto entra Junior Messias. Dopo il doppio shock, per poco non triplo, la squadra di casa decide di reagire, almeno un po’. Ci prova con Brahim al 26esimo, ma lo spagnolo è fuorigioco e si lascia anche cadere in area troppo facilmente per un contatto con  Bastoni, facendo nascere anche un alterco, tra i due (che sicuramente rimarrà in campo). Due minuti dopo ci prova Calabria, con un tacco, che si infrange sulla rete esterna.

Chi di tocca non perisce, di tacco non ferisce, e quello con cui Lautaro si smarca e si prende un rigore per fallo di Kjaer, che rischierebbe anche il rosso, dato dall’arbitro, vede levarselo al Var dallo stesso direttore di gara, mentre lo stadio dalla parte rossonera esultava. Lo ha fatto anche quando, sempre il campione del mondo, ci arriva ancora una volta vicino a fare il terzo, d’altronde è solo un pizzico in ritardo, più di lui, però lo è, nell’azione dopo, Dumfries. Il computo dei tiri a dieci minuti dal termine del primo tempo è lo specchio esatto di questa serata: l’Inter è avanti di dieci, e i padroni di casa ne hanno fatto solo uno, neanche il tanto per pareggiare le distanze, o fare capire che così si vuole arrivare a Istanbul per giocarsela magari contro quel Carlo Ancelotti, che è una leggenda del Real Madrid, ma anche del Milan.

Nasce una fase un po’ confusa, in cui la squadra di Inzaghi torna a essere efficace ma non spietata. Efficace prima con Darmian, poi con Acerbi, e poi ancora con Barella su una girata di Giroud. Il Milan ci prova due volte anche prima del duplice fischio, su Saelemaekers recupera l’olandese, poi è Tonali che commette il fallo, ma non viene ammonito. Il primo giallo se lo becca, però, sempre uno dei rossoneri, ed è Krunic, e per proteste per un altro fallo ancora, una gomitata per cui viene ammonito anche l’autore del gol del raddoppio. Succede nel primo dei quattro minuti di recupero concessi da Manzano, poi ci sono flash dei ragazzi di Pioli, ma non sono abbastanza luminosi.

Al rientro dagli spogliatoi, non ci sono sostituzioni, né da una parte, né dall’altra. Non c’è neanche un vero e proprio cambio di passo, come nei minuti finali della prima frazione, anche all’inizio della seconda è il Milan a farsi un po’ più pericoloso, ma manca sempre lo spunto finale, manca soprattutto a Messias che da solo di fronte a Onana spara davvero lontano alla porta del camerunese. Manca anche agli ospiti, si fa per dire, al 52esimo, sull’ex Roma, l’unico ad aver segnato in semifinale della coppa dalle grandi orecchie con due diverse squadre italiane, però, è bravo ancora una volta il francese che stavolta para con i piedi.

All’ora di gioco, Pioli decide di giocarsi due nuove cartucce. Al posto del danese, entra Malick Thiaw, mentre al posto del belga classe 1999, che non si accomoda in panchina molto sereno, c’è Divock Origi. Due minuti dopo, c’è anche la prima sostituzione per Inzaghi, che leva l’autore del secondo raddoppio più veloce di sempre in Champions League, ammonito dicevamo, per mettere l’ex vice campione del mondo con il numero 77.

Nicolò Barella e Edin Dzeko che esultano per il primo gol dell’Inter segnato proprio dal bosniaco ex Roma – Nanopress.it

È un attimo, e il Milan va vicinissimo ad accorciare le distanze, ma Tonali, dal limite dell’area, fa passare la palla sotto un groviglio di gambe, ma lei va a infrangersi nel palo alla destra del portiere nerazzurro, e non c’è neanche nessuna deviazione. Arriva, però, anche il secondo giallo per i rossoneri, e a prenderlo è Tomori. Il piacentino pensa che è il momento giusto per fare dei cambi, ma deve attendere che il pallone esca per inserire Lukaku per Dzeko e Stefan de Vrij per Dimarco. Se la prima è una sostituzione ruolo su ruolo, nella seconda Inzaghi inserisce un centrale, che prende il posto di Darmian, che a sua volta ora va a fare il quinto più avanti. Sui suoi piedi, al 74esimo, potrebbe esserci l’occasione dello 0-3, e dopo una bella iniziativa del belga, appena entrato in campo, al 75esimo un contatto in area tra Krunic e Bastoni, che riceva un pugno sul costato, fa gridare l’Inter al rigore, ma stavolta lo spagnolo non va neanche al Var a rivedere l’azione e rimane nella sua posizione di non assegnare il penalty ai nerazzurri.

È ancora Inzaghi a fare dei cambi, e quindi a spararsi le ultime cartucce. Al posto di un dolorante, per crampi, Calhanoglu, entra Roberto Gagliardini al 78esimo, e si danno il touch anche i due argentini, così che i giochi delle coppie siano di nuovo in equilibrio. Subito dopo uno squillo ancora di Messias, che ora inquadra lo specchio della porta, ma non dà pensieri a Onana, anche Pioli si gioca le ultime due sostituzioni per dare più freschezza alla squadra nel tentativo di dimezzare almeno lo svantaggio. Pierre Kalulu entra per il capitano, mentre Tommaso Pobega prende il posto di Brahim Diaz.

Come era successo in occasioni dei cambi dell’Inter con il Milan che si era fatto pericoloso, la situazione si ribalta ed è Gagliardini che va vicino al colpo che avrebbe colpito e affondato i rossoneri, vicino nel senso di tempi di inserimento, perché la sua è davvero un’occasione sprecata. Lo è, però, anche la punizione che batte poi Theo Hernandez, per un fallo dello stesso subentrato: finisce troppo lontana anche dalla traversa, e non fa venire nemmeno un brivido agli interisti sugli spalti.

Nei quattro minuti di recupero c’è poco da segnalare, se non che l’Inter continua ad amministrare il doppio vantaggio e ci riesce, perché al triplice fischio di Manzano il punteggio sul tabellone segna uno 0-2 che alimenta i sogni dei nerazzurri, e spegne un po’ quelli dei “cugini”.

La prima puntata dell’Euro derby va all’Inter. Il Milan (senza Leao) perde due a zero, in casa, nella semifinale di andata di Champions League

Che è così, lo dimostra il risultato, è vero, ma lo dimostrano ancora di più i tifosi dell’Inter, che hanno vinto l’andata delle semifinali di Champions League in trasferta contro il Milan, vent’anni dopo l’ultima volta in cui erano stati loro a piangere lacrime amare, e solo per quella parata di Christian Abbiati che è storia. Lo dimostrano, e in faccia ai tanti milanisti in più, festeggiano perché il sogno di andare a giocare a Istanbul il 10 giugno non è così lontano da diventare realtà, sicuramente quei novanta minuti del ritorno, di martedì prossimo, in cui saranno loro a organizzare il campo (è un eufemismo).

Più cauto, infatti, è stato Inzaghi, a fine gara, che ha spiegato che c’è ancora un ritorno da giocarsi, ma in quel caso saranno loro ad avere più supporter a sostenerli, meno arrendevole, com’è giusto che sia, è stato Pioli. L’allenatore del Diavolo, infatti, vede degli spiragli per il 16 maggio. E li vede perché nel secondo tempo è mancata solo la precisione alla sua squadra, e per tutti i novanta minuti ha dovuto fare a meno di un esterno come Leao, uno dei deus ex machina che ha plagiato il trionfo dello scorso anno in campionato, proprio contro i nerazzurri, che invece avevano fatto piangere in semifinale di Coppa Italia, la stessa che ha poi concesso alla Benamata di portare un trofeo in bacheca, e contro la Juventus.

Lo striscione appeso dai tifosi del Milan nel derby contro l’Inter perso dalla squadra di Stefano Pioli – Nanopress.it

Dopo tutto, uno 0-2 non è così difficilmente non ribaltabile in una settimana. Certo, in campionato, e quindi per accaparrarsi della Serie A, la prossima edizione della coppa dalla grandi orecchie, il Milan dovrà affrontare uno Spezia, all’Alberto Picco, che deve macinare punti per non scendere in cadetteria, l’Inter se la vedrà, in casa, contro un Sassuolo che non ha più nulla da chiedere alla stagione, ma che ha dalla sua anche un’arma come Domenico Berardi, tifoso interista da bambino, ma ormai diventato un cuore neroverde, per lo stesso identico obiettivo.

E qua, la differenza la potrebbe fare solo la panchina, un po’ più lunga quella del piacentino, un po’ meno quella dell’allenatore dei rossoneri, o per lo meno non efficace quanto la prima. O forse no. Sicuramente servirà la versione migliore del Milan, ma anche quella dell’Inter, e se il buongiorno si vede dal..Mkhitaryan, eletto mvp del match a fine gara, la notte più importante dal 22 maggio 2010 potrebbe essere rivissuta, chissà se con lo stesso finale, però.

L’analisi tattica della partita e le interviste: Inzaghi la vince a centrocampo, ma poi poteva anche aumentare il distacco con un Milan tramortito

La sensazione, subito dopo il fischio finale, è paradossale rispetto al risultato che recita il tabellino del match. Sì, perché non viene in mente che il Milan, con il gioco e la fortuna, le armi e l’amore, e tutte quelle doti che sono implicate in una semifinale di Champions League, avrebbe potuto raggiungere il pareggio o chissà una vittoria che avrebbe ricordato una Istanbul al contrario e che avrebbe ripagato probabilmente quella grossa delusione a marchio Liverpool quasi venti anni dopo. Nulla di ciò, perché l’Inter ha talmente dominato, soprattutto nei primi trenta minuti in gioco, da lasciare l’amaro in bocca anche nei suoi stessi tifosi che probabilmente una notte così l’hanno sognata, aspettata e poi vissuta nella loro mente per decenni, sicuramente dai primi scampoli degli anni duemila quando, pur con uno squadrone all’attivo da poter amare, di delusioni e rospi vivi ne hanno dovuto ingoiare fin troppi a vantaggio dei cugini.

I nerazzurri, quindi, tornano nelle proprie case con un sorriso a metà, come quando la notte in discoteca è andata bene ed è finita anche meglio, ma chissà, magari poteva essere addirittura epocale, o almeno un pizzico di più, da raccontarla agli amici e farli restare anche a bocca aperta per giorni. Insomma, fuori da metafore e con senza peli sulla lingua, lo 0-2 sta anche stretto all’Inter per quanto ha fatto vedere in campo. La direzione che ha preso la partita è stata subito ben chiara. I primi minuti sono stati di studio, quelli in cui entrambe hanno fatto capire ai rivali che stavolta non si scherzava, che la gamba non sarebbe stata tirata indietro e ancor di più che per vincere c’era bisogno di uno sforzo tecnico maggiore, perché intanto dal punto di vista fisico si sarebbe finiti pari (o quasi) e anche sotto il profilo dell’aggressività.

Il banco, però, ci ha messo ben poco a saltare e l’Inter l’ha ribaltato con le giocate dei singoli all’interno dei contesti di squadra, quelle che alla fine contano più di tutto il resto (tranne che del cuore) per portare a casa partite del genere. Il primo squillo è arrivato su un calcio piazzato ben battuto, forte e che ha tagliato fuori qualsiasi uscita dell’onnipresente Maignan. Il resto l’ha fatto Dzeko, uno a lungo e probabilmente ingiustamente criticato in questa stagione, che si è liberato del diretto avversario come un gigante si libera dal suo contendente. Poi in una frazione di gioco ha dimostrato tutta la sua eleganza e la sua tecnica colpendo con il mancino un pallone che è finito dritto sotto la traversa. Una giocata, uno schiaffo che vi abbiamo voluto raccontare nuovamente nei dettagli, perché di fatto è stato la chiave di volta di una partita intera. Ha tramortito il Milan, le sue ambizioni, ha fatto girare il bilancino del match tutto dalla parte blu del Naviglio, allontanandosi inevitabilmente da quella rossa.

Otto minuti e uno a zero, quindi, ma ancora troppo per definirsi soddisfatti, per poter gioire più del dovuto, per potersi sentire paghi di quella felicità sotto la propria curva. E, infatti, l’Inter da lì ha solo iniziato, perché il centrocampo ha preso in mano la partita, ha permesso agli esterni di salire e ha mandato letteralmente in confusione tutto l’asse di squadra rossonero. Il pressing di Pioli non ha più funzionato di fronte alle trame fitte dei braccetti di difesa dell’Inter e poi dei tre in mezzo, supportati dalle sponde degli attaccanti. Un ruolo decisivo, in tal senso, l’ha avuto sicuramente Dzeko, oltre al gol ovviamente. Inzaghi ha scelto di giocare una palla alta sul bosniaco che non era lì buttata a caso o semplicemente un atto di inferiorità nella manovra. Era una via di gioco essenzialmente per sfruttare la differenza fisica che si è venuta a creare nel gioco aereo rispetto a Tomori e Kjaer, nettamente in difficoltà con il gigante ex Roma e Manchester City.

Una strada di gioco che solitamente l’Inter predilige per vie basse con una palla nei piedi atta a far salire la squadra poi aprire il gioco sul laterale di centrocampo di parte e soprattutto con l’appoggio per la mezzala, in modo da guadagnare campo e sfruttare lo spazio in profondità, spesso immarcabile per gli avversari. Il Milan ci ha capito poco, anche perché a salire in cattedra, allo stesso tempo, sono stati i centrocampisti nerazzurri, capaci di mixare la palla aerea e verticale con suggerimenti stretti che spesso hanno tagliato fuori Tonali, Krunic e gli esterni rossoneri. Anche il lavoro di Bennacer è stato vanificato, soprattutto rispetto quanto era riuscito a fare contro il Napoli. L’algerino spesso si è trovato nella terra di mezzo tra la prima fase di pressing e le sovrapposizioni centrali dell’Inter, riuscendo a coprire la zona palla molto meno rispetto a quanto mostrato nell’ultimo mese. La dimostrazione di quanto vi stiamo raccontando è arrivata soprattutto nei duelli vinti, tanti, troppi per la Beneamata rispetto a quelli dei diretti avversari.

Il tutto, in pochi minuti, è sfociato nel gol del 2-0 realizzato probabilmente dal migliore in campo e, non a caso, da colui che poi ha vinto il premio di mvp della partita. Mkhitaryan questa sera ha vissuto una delle partite più importanti della sua carriera (già meravigliosa di per sé) con un match totale, splendido. Ha coperto, ha recuperato un numero di palloni impressionanti rispetto a quelle che sono le sue reali caratteristiche, ha giocato la sfera sempre nel modo giusto e con i giri giusti. Poi si è fatto anche trovare pronto con una percussione centrale magnifica per realizzare il raddoppio e con una freddezza invidiabile, pur avendo di fronte uno dei migliori portieri al mondo, quale è sicuramente Maignan. Arrivati al 15esimo minuto di gioco, la sensazione è che l’Inter avesse già messo in ghiaccio un bel pezzo di qualificazione e non solo per gli eventi che già avevano caratterizzato il doppio confronto, ma soprattutto per la mole di gioco e per l’espressione della manovra che i nerazzurri avevano evidenziato per tutto il match. Tutto ciò in una cornice splendida come San Siro che giustamente stasera era più a marchio rossonero che nerazzurro.

A cambiare le cose paradossalmente è l’infortunio di Bennacer. Sembra l’ennesima doccia fredda per il Milan che è costretto a togliere dal campo uno dei suoi uomini più importante e, invece, si rivela una variante tattica che mette un po’ in difficoltà l’Inter o che quantomeno la costringe ad arretrare il suo baricentro. C’è da dire che nel frattempo la Beneamata aveva dimostrato di meritare un vantaggio anche più pesante con il palo stupendo di Calhanoglu, un paio di chance per Lautaro Martinez e Barella non sfruttate a pieno, quindi quella sensazione di incompiutezza rispetto al reale valore delle due squadre in campo era già maturata. Inserendo in partita un altro calciatore abile nell’uno contro uno, però, Pioli ha dato maggiori preoccupazioni ai centrocampisti avversari e, quindi, ha avuto più libertà anche Brahim Diaz di fare la differenza. Ciò che più è mancato ai rossoneri è stata, a questo punto, la precisione. Anche nelle poche occasioni che il Diavolo si è creato il trequartista ex Real Madrid e Messias hanno allargato troppo il tiro a giro da buona posizione, senza mai davvero mettere in difficoltà un concentrato Onana. Troppo poco per pensare di impensierire una squadra organizzata e ben messa in campo come l’Inter.

I nerazzurri hanno iniziato a giocare sul doppio vantaggio, sentendosi anche un po’ paghi per come si era messa la qualificazione. Hanno scelto di creare pericoli soprattutto in contropiede e con l’ingresso di Lukaku hanno accentuato le palle lunghe e nello spazio per giocare degli uno contro uno che avrebbero potuto mettere in costante apprensione la retroguardia di Pioli. Un po’ per un pizzico di imprecisione delle punte, un po’ per l’abilità di Maignan che alla fine si è rivelato il migliore in campo tra i suoi (e questo la dice lunga), il tris non è arrivato, ma la difesa di Inzaghi ha comunque mantenuto un vantaggio che non è mai stato realmente in discussione, se non in un singolo caso. In una buona sortita da sinistra del Milan, in cui probabilmente il centrocampo dell’Inter si è abbassato troppo, è arrivata una conclusione estemporanea di Tonali che, dopo la deviazione di Bastoni, ha centrato il palo pieno. Uno squillo che è poco per chiamarla sfortuna, per accontentarsi e per non pensare che alla fine abbia vinto la squadra più forte. Anche perché, tralasciando il gioco e facendo semplicemente la conta delle occasioni, sicuramente la squadra ospite avrebbe meritato quantomeno il terzo gol, probabilmente anche il quarto.

E qui ritorniamo alle questioni della vigilia, all’assenza di Rafael Leao che non può essere l’unica ragione rispetto alle difficoltà che il Milan ha dimostrato sul campo, ma sicuramente è mancato tanto ai compagni e al tema tattico della squadra di Pioli. Il portoghese, che ancora deve ufficialmente rinnovare il contratto con i rossoneri, è la via di fuga che permette ai suoi di uscire dal pressing avversario, consente di puntare l’area di rigore con continuità e di mettere apprensione anche ai difensori avversari, che quindi sono costretti a piazzarsi più bassi e a cercare di concedergli meno campo possibile per poi evitare di recuperare il pallone nella propria porta. Saelemaekers in quella zona di campo ha sofferto molto di più, ha puntato sempre verso l’interno e mai sul fondo e lì a presidiare la zona c’era quasi sempre un Darmian in buona condizione e che è stato una delle risorse fondamentali dell’Inter quest’anno. È cambiato il copione tattico, è cambiata la partita offensiva del Milan, ma anche quella difensiva della squadra di Inzaghi, e questo sicuramente ha fatto la differenza nella distanza tra le due squadre.

È importante, anzi fondamentale, che il portoghese recuperi per la gara di ritorno, che sia lì presente in quella parte del terreno di gioco e cerchi fin da subito di dare un certo ritmo alla partita, come è abituato a fare. A guadagnarne è soprattutto Theo Hernandez, insieme a Brahim Diaz. Senza il gioiello ex Lille in campo, anche loro fanno fatica ad avere i giusti tempi di discesa a creare trame di gioco veloci e incontenibili e, infine, a marchiare le partite come invece sono abituati a fare.

Insomma, di cose a cui ripensare e da cui ripartire il Milan ne ha tante, anche perché la gara di ritorno per il punteggio che alla fine è maturato potrebbe riservare comunque delle sorprese e ribaltoni importanti. Ne ha parlato Pioli nel post partita, ammettendo la verità che il campo ha dato e che l’Inter ha evidenziato una forma e una forza superiore: “L’Inter ha giocato meglio nel primo tempo e ha segnato due gol, noi magari abbiamo fatto meglio nella ripresa. C’è da dire anche che fino al settimo minuto i nerazzurri non erano ancora entrati nella nostra area, poi hanno segnato”. E ancora: “I nerazzurri hanno messo più qualità e noi abbiamo sbagliato più palloni. Ci dobbiamo credere però, le partite cambiano, gli episodi possono stravolgere anche un risultato già scritto. Cercheremo di fare meglio nella sfida di ritorno. Volevamo essere intensi, compatti e aggressivi, ma non ci siamo riusciti. L’Inter ha avuto la meglio nei duelli. La partita è stata complicata dal punto di vista mentale e tattico. Nel secondo tempo, però, ho visto una grande reazione. Ed è quello che dovremo fare il 16 maggio”.

Pioli, insomma, ci crede e oltre a battere sulle motivazioni tattiche che non gli sono andate giù nel match di andata, cercherà soprattutto di fare leva sull’orgoglio, sul cuore e sulla testa per far sì di tenere testa a una Beneamata che, in questo momento, sembra averne decisamente di più: “Abbiamo avuto un paio di occasioni per accorciare la gara, ora dobbiamo alzare il livello. Serve una prestazione diversa. Tra i giocatori c’è delusione, ma anche la volontà di ribaltare il risultato“. Non sono gli unici temi di una partita che ne ha tantissimi, ma anche la prestazione dell’arbitro, anche nei piccoli episodi, e per cui l’allenatore rossonero recrimina un po’: Ha avuto una gestione da due pesi e due misure nelle situazioni metà e metà, ma non entro nello specifico”.

Il tema forte, infine, almeno in casa rossonera, sono le assenze e chi potrebbe recuperare per la gara di ritorno. Se per Leao le speranze sono tante e si farà di tutto per metterlo a disposizione, è praticamente impossibile che ce la faccia Bennacer, uscito questa sera per un problema al ginocchio: “Vediamo nei prossimi giorni se riusciremo a recuperare Rafa Leao – dice Pioli -. Ne mancano sei, spero possa recuperare per il ritorno“. Queste le parole su Bennacer invece, sulle cui condizioni il giornalista chiede lumi: “Ha sentito un dolore forte al ginocchio, non si ricorda quando ha subito l’infortunio, ma era dolente”.

Dall’altra parte del Naviglio, per forza di cose, le emozioni sono decisamente diverse. Ma soprattutto la certezza è quella di voler confermare l’ottimo risultato anche nel ritorno e, quindi, accedere alla finale di Istanbul che sarebbe assolutamente storica per l’Inter. Inzaghi, infatti, senza eccessivo entusiasmo, perché mancano ancora 90 minuti e perché è giusto così, ha espresso il suo pensiero e le sue emozioni dopo la vittoria del derby di questa sera: “Abbiamo fatto un primo tempo straordinario, potevamo fare più di due gol ma è stata una grande gara. Siamo in vantaggio, ora ci sarà una gara di ritorno in casa col nostro pubblico. Sappiamo che dobbiamo fare ancora un grandissimo sforzo per un sogno”. E ancora: “I ragazzi hanno fatto una grandissima partita, ho parlato dei subentrati perché, avendo giocato a calcio, so che è più difficile subentrare che cominciare la partita”.

I mattatori del match sono stati certamente Dzeko e Mkhitaryan, e questo la dice lunga su quanto conti l’esperienza e la tranquillità, ma anche la cattiveria, che si possono mettere in campo in appuntamenti così:Dzeko e Mkhitaryan sono stati splendidi come gli altri 13-14, ne avevo cinque o sei in panchina che avevano voglia di entrare”. Uno dei marchi di fabbrica del tecnico di Piacenza, poi, è la serenità con cui riesce a far avvicinare il gruppo per partite di questo tipo, senza caricarli di eccessive pressioni o di ansie da prestazioni che finiscono per rendere le gambe pesanti: “Per quanto riguarda i ragazzi, siamo stati insieme da ieri a pranzo fino alla sera, abbiamo cercato di prepararla nel migliore dei modi. Ieri eravamo sorridenti, prima del Benfica un po’ meno. In questi due giorni e mezzo li avevo visti molto rilassati, a volte sono segnali positivi e a volte no”.

Onore ai vincitori, quindi, a chi è riuscito a prevalere sotto il punto di vista mentale, tattico e, infine, anche fisico, visti i valori che i nerazzurri sono riusciti a mettere in gioco in tutto l’arco della partita. Guai, però, a sottovalutare una squadra come il Milan che negli ultimi anni è riuscita a mettere in difficoltà l’Inter sia nel percorso scudetto dell’anno scorso, sia nei duelli individuali che sono maturati dal centrocampo in su. Ci si aspetta tanto di più anche da Giroud, uno che in match del genere è riuscito sempre a fare la differenza e che stasera è stato letteralmente annullato da Acerbi. Al ritorno, con i rossoneri che saranno costretti ad attaccare costantemente, sarà più difficile reggere l’urto sugli esterni e quindi anche limitare i cross che potrebbero arrivare in area e su cui l’ex Arsenal e Chelsea è un vero e proprio maestro. Insomma, di motivazioni tecniche e tattiche la gara che si giocherà tra sei giorni ne ha veramente tante e alla fine i pronostici, pur essendo a favore dell’Inter, restano molto aperti. I nerazzurri, quindi, non possono dare nulla per scontato, far calare l’asticella delle motivazioni e sottovalutare i cugini: un club che questa semifinale di Champions League ha dimostrato di meritarla anche più dei futuri campioni d’Italia ed eliminando il Tottenham. Guardia alta per tutti, quindi, perché la massima competizione europea è così: nulla può essere dato per concluso o già portato a casa, altrimenti si rischia l’oblio di chi viene eliminato.

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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