L’Inter si è qualificata ai quarti di finale di Champions League pareggiando 0-0 contro il Porto di Sergio Conceiçao. Simone Inzaghi batte il suo ex compagno di squadra e, come nel 2005, sempre contro i portoghesi, i nerazzurri passano il turno, e adesso fanno compagnia ai “cugini” del Milan. Lo fa soffrendo, soprattutto negli ultimi minuti, in cui è anche la fortuna, oltre che André Onana, a salvarla dai tempi supplementari.
L’Inter di Simone Inzaghi, e l’allenatore piacentino rispondono alle critiche delle ultime settimane con una prestazione neanche troppo brillante, sicuramente attenta e precisa, imbrigliata com’era dal Porto di Sergio Conceiçao, ma che gli vale i quarti di finale di Champions League, i primi dopo dodici anni di astinenza – ed era l’anno dopo il triplete. Lo 0-0 portato a casa è oro, è vero, ma è anche figlio di una mentalità che ha portato i nerazzurri a dire la propria nella coppa dalle grandi orecchie anche in un girone in cui c’era il Barcellona, spedito in Europa League e poi cacciato dall’Europa dal Manchester United, nonostante il primato in Liga.
È un pareggio che vale oro perché salva e fa fare uno step in più a una stagione in cui, comunque, sono secondi in classifica in Serie A, e sì ci sono stati dei momenti migliori, e hanno anche vinto senza appello la Supercoppa italiana contro il Milan, arricchendo anche il palmares (e prendendosi una rivincita per lo scudetto dello scorso anno strappato nel finale). Gli stessi cugini, per giunta, a cui fanno compagnia in questa nuova fase a eliminazione diretta, e che si potrebbero anche incontrare, perché ora, e domani chissà, siamo la nazione che più sta facendo la voce grossa nella coppa dalle grandi orecchie.
E quindi la serata dell’Inter è quella delle grandi occasioni. Non è solo una partita di Champions League, è un ottavo di finale che la squadra di Inzaghi si è andata a giocare a Porto, in uno stadio Do Dragao gremito di tifosi, ma pochi nerazzurri – mille di loro, infatti, pur muniti di biglietto, non sono stati fatti entrare a vedere l’incontro e nonostante il caso si pensava fosse risultato poche ore prima che iniziasse la partita -, forti dell’1-0 dell’andata, ma anche consapevoli che è un risultato che si deve difendere con i denti, in un momento che non è proprio dei migliori, dicevamo.
Perché l’Inter arriva in Portogallo, per giocarsela con gli uomini di Conceiçao – proprio quel Conceiçao meu amigo che ha giocato sia a Milano con la maglia nerazzurra, sia con il tecnico piacentino nella Lazio che ha vinto lo scudetto, nel 2000. Lo stesso che, nel girone che l’ha portata alla fase a eliminazione diretta da prima, non ha fatto sconti neanche a Diego Pablo Simeone, un altro dei protagonisti di quegli anni lì della Serie A, indossando gli stessi colori del portoghese, che l’anno scorso, aveva dato già dei dispiaceri ai suoi vecchi tifosi -, dopo una sconfitta immeritata con lo Spezia, la cui ultima vittoria risaliva al 15 gennaio, e in trasferta. Prima, però, sempre lontano da San Siro, si era perso anche contro il Bologna di Thiago Motta, toh un altro ex, e pareggiato contro la Sampdoria, ultima in classifica, di Dejan Stankovic – eccone un altro.
Per chi crede nella fortuna, tanti indizi fanno una prova, per chi, invece, il calcio se lo gusta, e se lo suda, non c’era proprio niente di scritto. La gabbia del Porto tiene, e lo fa per tutto il primo tempo, l’Inter non riesce a costruire, e i portoghesi sono troppo poco propositi in fase offensiva. È una partita giocata con i muscoli, quelli del centrocampo, in cui a brillare più di tutti, soprattutto per gli italiani, sono Hakan Calhanoglu, tornato a fare il metodista davanti alla difesa al posto di Marcelo Brozovic che pure in Liguria era apparso in ottima forma, e Henrikh Mkhitaryan, bravo a coprire e pronto anche a ricostruire.
Al 46esimo, quasi sullo scadere del primo tempo, sui piedi di Lautaro Martinez, uno dei migliori negli ultimi tempi, ma che viene anche da un rigore sbagliati sempre contro gli uomini di Leonardo Semplici, arriva una palla che è un cioccolatino e per un errore della squadra dell’ex Lazio. L’argentino campione del mondo arriva fino alla porta di Diogo Costa, ma non c’è nessuno in area, soprattutto non c’è Edin Dzeko, scelto da Inzaghi al posto di Romelu Lukaku, che aveva risolto, da subentrato, la gara dell’andata. Il portiere portoghese para senza problemi, chi non lo fa, qualche minuto dopo, è anche André Onana, che però se la vede brutta.
Sul cross di Pepè – quello brasiliano, non l’ex Real Madrid, che non ha l’accento sulla e, e che invece ha dovuto dare forfait nella rifinitura costringendo Conceiçao a correre ai ripari mettendo Fabio Cardoso al posto dell’ex campione europeo -, Stephen Eustaquio non ci arriva per un soffio e sfuma anche l’ultima occasione della prima frazione per i padroni di casa, che ora hanno solo 45 minuti per sperare di continuare a giocare in Champions League quest’anno. Con un solo gol fatto, tra l’altro, o uno di scarto, si va sicuramente ai supplementari.
Si ritorna in campo con il Porto più cattivo degli uomini di Inzaghi – che oggi, quasi, si gioca il tutto per tutto, anche se a bordo campo, prima della partita l’amministratore delegato, Peppe Marotta, ha rinnovato la fiducia all’allenatore -, e in tre minuti prima Alessandro Bastoni, poi Francesco Acerbi, poi Denzel Dumfries, commettono dei falli, da mattonelle interessanti, che finiscono comunque tutti in un nulla di fatto. Al 52esimo, un brivido per i nerazzurri, con Nicolò Barella che angola troppa e spedisce il pallone che gli aveva fornito il bosniaco sopra la traversa.
Si soffre, ma l’atteggiamento è quello prudente, nonostante il baricentro della squadra avversaria sia salito un po’ di più rispetto al primo tempo, e attento, specialmente in difesa in cui Matteo Darmian è perfetto, e nonostante l’ammonizione, da braccetto di destra. Sulle fasce, in fase di ripiegamento, in fase di spinta Federico Dimarco gioca meglio dell’olandese, tanto che al 62esimo è lui a cercare di arrivare con il piede su un pallone interessante, a cui non arriva, ma tanto è in fuorigioco.
Al 70esimo è il momento dei cambi per l’Inter. Al posto dell’esterno, entra Danilo D’Ambrosio, mentre Dzeko, che si era appena preso un giallo dopo una bella ripartenza e ancora sta protestando, viene sostituito con il numero 90 belga. Un minuto dopo, risponde ai cambi anche Conceiçao che mette Andre Franco per Eustaquio e Toni Martinez per Evanilson. Due minuti dopo ancora si fa male Bastoni, che chiede subito il cambio e viene sostituito con Stefan de Vrij, il centrale tedesco entra quasi a freddo.
Con i nerazzurri momentaneamente in dieci per una botta di Dumfries, è bravo ancora il portiere camerunese a neutralizzare il tiro dal limite dell’area centrale di Marko Grujic. Sul ribaltamento di fronte, poi, è l’ex Milan a tirare troppo alto dopo un inserimento in area dettato dal passaggio di un compagno. All’80esimo arriva il momento di Milan Skriniar che rivela uno dei migliori in campo, Darmian, e Brozovic, che prende il posto del sardo.
Tre minuti dopo, la coppia di attaccanti sembra tornata a dialogare come ai vecchi tempi, quelli di Antonio Conte e dello scudetto, l’epilogo non è lo stesso e l’Inter spreca una delle occasioni più importanti della partita, almeno per lei. Il Porto si gioca gli ultimi due cambi con Wendell che entra al posto di Zaidu e Danny Namaso che rileva Mateus Uribe all’85esimo. Poi è quasi un assedio per due minuti, da cui i nerazzurri escono senza commettere fallo, ma prendendolo.
L’arbitro concede sette minuti di recupero, altri sette minuti di sofferenza. Il primo scivola con il pallone tra i piedi dei portoghesi che al momento opportuno non pungono, la stessa cosa succede anche al terzo minuto, ma un pizzico di fortuna, qua, aiuta gli ospiti. È il tutto per tutto, al quinto minuto, che ha bisogno del miglior Dumfries sulla linea, Onana e poi il palo, e la traversa sono gol non fatti che contano più di quelli realizzati, per lo meno oggi. I padroni di casa rimangono in dieci per il doppio giallo di Pepè, poi finisce così, con un’Inter brutta che però si qualifica ai quarti di finale di Champions League, esattamente come il Milan, una settimana fa.
I nerazzurri ce l’hanno fatta, quindi, e ce l’hanno fatta in tutti i modi possibili e utili in un ottavo di finale della massima competizione. È servito il bel gioco, almeno all’andata, sono servite le corse all’indietro e la fase difensiva, ma soprattutto è servito quel pizzico di fortuna che per troppo tempo ha lasciato perdere la Beneamata, ma ora è tornata nella serata più importante. E poi, c’è poco da fare, uno come Inzaghi ha dato la svolta alla mentalità della squadra nelle partite a eliminazione diretta. Non può essere un caso se l’Inter è in piena corsa in Coppa Italia, dove ha raggiunto la semifinale, ma è anche ai quarti di finale di Champions League. E anche l’anno scorso sono arrivati due trofei in questa maniera.
È vero anche che la continuità non è la migliore amica della squadra marchiata dall’ex tecnico della Lazio. Sicuramente ci sono tante cose da sistemare, ma rispetto alla squadra che spesso si blocca sul più bello in Serie A, questa Inter sta mostrando il suo volto più bello in Europa, e probabilmente è ciò che conta di più. È successo anche ai gironi, quando il Bayern Monaco ha dominato, questo di sicuro, ma i nerazzurri sono riusciti a mettere alla porta un avversario tremendo come il Barcellona. Non può essere casuale e neanche facile, ma è giusto che sia così, che gli obiettivi più importanti siano anche quelli più difficili da raggiungere. Per l’Inter pare valga il contrario, dato che negli ultimi mesi sta diventando complicato fare bottino pieno contro le ‘piccole’ della nostra Serie A, ma con le grandi i nerazzurri mostrano tutto il loro potenziale.
Anche questa sera non è stata la prestazione migliore dell’anno, nonostante fosse probabilmente l’impegno più importante degli ultimi mesi, ma comunque la concentrazione, la compattezza difensiva e addirittura quella maniera istintiva e autocondizionata con cui si va a combattere un pallone sono stati di tutt’altro livello. E, infatti, laddove l’attacco non ha convinto proprio nei suoi protagonisti – ora ci arriviamo -, sono stati centrocampo e difesa a compensare per portare a casa l’obiettivo finale.
Pensate alla prestazione di Matteo Darmian, un calciatore che si sta rivelando essenziale per il destino dell’Inter e che anche ieri sera non ha affatto deluso. Il terzino ex Torino è praticamente il jolly buono per tutte le bandiere: da esterno destro ha fatto la differenza alla ripresa di gennaio, ma anche ora dà la sensazione di poter rappresentare il baluardo su cui i nerazzurri stanno basando le loro fortune. Ieri sera non ha sorpreso tanto per la solidità difensiva, quella non è una novità, ma sicuramente per essere riuscito a gestire un cartellino giallo sulle spalle fin dal primo tempo e senza mai rischiare veramente l’espulsione. Contro una squadra come il Porto, furba, tecnica e rognosa, è quasi un miracolo. Anche perché sono stati i portoghesi alla fine a conteggiare un rosso a partita. Il suo match, il modo di interpretarlo e la serietà dimostrata lo fanno entrare nella storia in questo successo essenziale per una squadra che ben da dodici anni non riusciva a toccare questo traguardo.
Al suo fianco, però, qualche parola bisogna spenderla anche per Francesco Acerbi, molto più che per altri. Il difensore centrale arrivato tra i mugugni della piazza dalla Lazio, dove aveva rotto con tutti, è inaspettatamente e assolutamente essenziale per gli equilibri di Inzaghi. È lui a portare a termine un paio di chiusure di altissimo livello, ma anche a chiudere puntualmente Taremi, un attaccante temibile e praticamente anestetizzato dalla linea difensiva avversaria. Non è scontato neppure questo, come tanti lo stanno facendo apparire. L’età non è dalla sua parte e neppure la considerazione pubblica, ma se Acerbi dovesse continuare a mantenere questo livello, è probabile che la difesa si basi su di lui anche nella prossima stagione. Ed è possibile che alla fine un accordo con la Lazio arrivi senza troppi problemi, visto come si è lasciato l’ex Milan con i biancocelesti.
Quindi, approvata la retroguardia nerazzurra, ma qualche parola bisogna spenderla sicuramente anche per André Onana. A inizio anno, la battaglia dei tifosi milanesi (e non) per vederlo tra i pali al posto di Samir Handanovic è stata forte, fino a quando allenatore e società non hanno ceduto dando l’opportunità meritata al nuovo arrivo, nonostante implicasse mandare in panchina il capitano in carica. Stasera è stato lui la cifra in più che ha mandato l’Inter dritta ai quarti di finale e confermando di essere uno dei migliori portieri in circolazione, soprattutto in prospettiva. Onana, dopo l’ora di cena, ha fatto capire che lui non è lì a caso e che può essere anche un portiere solido e non solo istintivo, che poi è la cosa che gli viene più rinfacciata. Nella serata di oggi, ha sfoderato un paio di parate clamorose che hanno tenuto a galla l’Inter proprio nel momento in cui serviva di più. E nel finale concitato di Porto è salito assolutamente in cattedra, mostrando di essere sempre sul pallone, anche quando Uribe e compagni hanno tirato fuori i pezzi forti del repertorio.
E poi c’è il centrocampo, che comunque è il punto di partenza e di arrivo del successo dei nerazzurri. Hakan Calhanoglu è stato bravissimo a svolgere il ruolo che ora gli riesce meglio, quello di centrocampista davanti la difesa. Il turco sa come iniziare l’azione e soprattutto, con entrambi i piedi, sa cambiare il gioco e divincolarsi anche nello stretto tra avversari aggressivi e temibili. Quello che sorprende nel suo lavoro preziosissimo davanti la difesa è certamente la maniera in cui il centrocampista riesce anche a svolgere la fase di contenimento. Certo, non avrà di certo le caratteristiche di N’Golo Kanté, ma neanche si pretende che sia così, ovviamente. La trasformazione dell’ex Milan non era affatto scontata per uno che, fino a quel momento, si era imposto essenzialmente come trequartista. Ed è sicuramente quello su cui bisogno porre l’accento. Lo stesso si può dire di Henrikh Mkhitaryan e Nicolò Barella, anche se oggi l’armeno ha decisamente fatto meglio rispetto al suo corrispettivo sul lato destro. L’ex Roma ha cercato di far correre al massimo il pallone, ma poi si è rivelato decisivo con il suo posizionamento difensivo, quasi da insegnare nelle scuole calcio per il livello a cui è arrivato.
Le note dolenti arrivano, diciamo la verità, soprattutto quando si parla dell’attacco. Inzaghi ha preferito scegliere dal primo minuto Dzeko rispetto a Lukaku. Beh, anche il bosniaco, in realtà, ha dimostrato di non essere più il calciatore letale di inizio stagione. Stasera è stato bravo a tenere la palla anche in un paio di occasioni difficili, ma si è visto veramente poco, troppo poco per considerare positiva la sua prestazione, perché positiva non lo è stata. In generale, nonostante nei singoli non sia eccezionale, la difesa del Porto ha dimostrato di controllare senza troppi problemi gli avversari e in molti si aspettavano che uno come Lautaro Martinez potesse fare di più per fare male in partite importanti come l’andata e il ritorno degli ottavi di finale di Champions League.
Invece, anche l’argentino è rimasto nell’ombra in diverse occasioni e ha perso troppi duelli fisici, cosa che per lui non è esattamente consuetudine. Anche le opportunità da gol avute sono state ben poche, a parte una bella discesa in dribbling che è terminata con un tiro defilato dalla destra. Insomma, da lui c’era bisogno di altri acuti, sicuramente di lampi più significativi, ma comunque non si può rimproverare all’argentino l’applicazione e la cattiveria messi a disposizione dei compagni e dell’obiettivo.
Nel doppio confronto è abbastanza chiaro che colui che ha fatto meglio è proprio Lukaku. Il belga è subentrato per ben due volte e all’andata è stato lui a fare la differenza, mettendo a segno il gol decisivo che ha permesso all’Inter di eliminare i portoghesi. Ma anche dal punto di vista della mentalità, nonostante ancora l’intesa con i compagni non sia ai massimi termini, è stato lui a dare la scossa decisiva alla squadra e a tenere in avanti il pallone nei minuti finali di stasera, in cui il forcing del Porto è stato sempre più serrato. Di certo, ora Inzaghi può contare su un’arma pronta all’uso e che dà anche maggiori garanzie dal punto di vista fisico. Ancora non è il massimo, ma è comunque quello che serviva.
E, alla fine, il protagonista è stato in ogni caso proprio Inzaghi. Il tecnico è stato letteralmente bersagliato dalle critiche, spesso ingiuste, sul suo operato. In molti vorrebbero la sua testa, o meglio la sua panchina, perché non sarebbe capace di motivare i suoi ragazzi, di effettuare le giuste sostituzioni e di interpretare al meglio i momenti della partita. Addirittura, c’è chi si è speso in domande un pochettino tendenziose a Beppe Marotta proprio prima del match contro il Porto e chiedendo se la panchina fosse saltata con l’eliminazione. Non è quello che un allenatore si merita dopo aver portato la sua squadra agli ottavi di finale di Champions League per due anni di fila, dopo tanti anni. E dopo la conquista di due trofei di Supercoppa italiana e una Coppa Italia.
Ora per un po’ non se ne riparlerà, perché funziona così, ma al prossimo momento negativo siamo certi che la litania fatta da esonero, dimissioni o traghettatori tanto per farla, tornerà a viaggiare in tv, sui social o tra i tifosi. Il futuro, in realtà, è suo nel progetto di crescita che l’Inter sta portando avanti e che passa anche dalla sua di crescita. Per adesso, va benissimo così, perché lo scudetto non è arrivato (e non arriverà), ma il percorso europeo vale quasi quanto quello. E su questo ormai non ci sono più dubbi.
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