Alla premiazione dei Nobel per la Medicina, che si terrà alla Konserthuset, la Sala dei concerti di Stoccolma, alla presenza dei Reali di Svezia, il prossimo 10 dicembre, non parteciperà il farmacologo italiano Alfredo Gorio. E’ stato letteralmente dimenticato, nemmeno una menzione in suo onore, eppure è stato il primo a identificare l’avermictina, quando lavorava come ricercatore alla Rockefeller University di New York. A ricevere i nobel saranno invece Satoshi Omura, microbiologo giapponese, e William Campbell, chimico americano, per l’applicazione dell’avermictina come farmaco capace di debellare patologie infettive gravi, come la cecità dei fiumi, provocata dai vermi.
Per comprendere a fondo la questione, bisogna fare un salto indietro nel tempo e approdare agli anni ’70, epoca in cui Satoshi Omura lavorava al Kitaso Institute di Tokyo ed era alla costante ricerca di microorganismi in grado di produrre antibiotici. Una necessità medica imposta dalla crescente resistenza dei batteri, una questione peraltro incredibilmente attuale.
Inviò il materiale identificato come potenzialmente utile negli Stati Uniti, poiché non disponeva delle strumentazioni necessarie per approfondire gli studi. Si rivolse dunque all’industria farmaceutica Merck Sharp and Dohme.
I ricercatori della Merck si accorsero subito che in quelle colture erano presenti sostanze capaci di paralizzare i vermi, un effetto molto simile al veleno della vedova nera. Il loro interrogativo era capire se si sarebbe potuto sfruttare per creare psicofarmaci, in grado di curare patologie severe e invalidanti come l’epilessia e le convulsioni.
E’ qui che entra in gioco Gorio, poiché a quell’epoca, nonostante la sua giovanissima età, era un noto esperto del veleno del temibile ragno (capace di agire sul sistema nervoso, paralizzandolo) e studioso di interazioni celebrali.
Dalle sue ricerche su quelle colture, individuò proprio l’avermectina e il risultato che ne emerse dallo studio delle sue attività fu interessante e alquanto lungimirante:
‘Non può funzionare come psicofarmaco: è tossico e non arriva al cervello. Potete usarlo in medicina veterinaria per uccidere i vermi che infestano gli animali’.
In Merck, gli studi sono poi proseguiti alla guida di Campbell e così da un farmaco veterinario capace di ripulire gli animali dai vermi intestinali prima della macellazione, si è giunti a un farmaco in grado di salvare l’uomo da patologie severe come la cecità dei fiumi o l’elefantiasi.
Ovviamente, esistono evidenze scientifiche a sostegno della paternità di Gorio circa i primi studi effettuati sull’avermectina: il primo rapporto dei suoi studi sulla molecola sono riportati sulla rivista scientifica Pnas, datata 1979, decisamente prima di chiunque altro.