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Categories: Ambiente

Living Planet Report 2014, WWF: “In 40 anni abbiamo perso il 52% della biodiversità”

L’indice del Pianeta Vivente (Living Planet Index – LPI), che misura i trend di migliaia di specie di vertebrati, mostra un declino del 52% dal 1970 al 2010, e per le risorse che utilizziamo attualmente servirebbe un pianeta e mezzo. Sono forse questi i due dati che più di tutti riescono a sintetizzare i risultati del Living Planet Report 2014, una pubblicazione biennale del WWF, che documenta lo stato del nostro pianeta, dai cambiamenti nella biodiversità e negli ecosistemi alla richiesta di risorse naturali da parte dell’umanità. Se aver contribuito al dimezzarsi di popolazioni di vertebrati in soli 40 anni non sembrasse sufficiente, l’altro allarme riguarda l’impronta idrica: il 92% dell’acqua globale viene utilizzata nell’agricoltura e la sua distribuzione non è uniforme. Le nostre scelte alimentari quindi hanno in modo evidente un impatto di rilievo sull’ambiente che non può più essere ignorato. Per questo motivo una presa di consapevolezza anche a livello individuale è uno degli obiettivi delle associazioni ambientaliste.

LA BIODIVERSITA’ CERCA GIUSTIZIA
Aver dimezzato la biodiversità del nostro pianeta, tra mammiferi, pesci, uccelli, anfibi e rettili, è già di per sé un dato allarmante ma a soffrire più di altri questo fenomeno rimangono le specie di acqua dolce, che registrano un declino del 72%, con una concentrazione maggiore nelle zone tropicali del Sud America. La perdita di habitat e il suo inquinamento a causa dello sfruttamento delle risorse vanno purtroppo di pari passo con la pesca e la caccia, senza contare il problema mai arginato definitivamente del bracconaggio. Se tutto sembra perduto, il potere decisionale delle istituzioni, sostenuto anche da una base popolare fondamentale, sembra riuscire a recuperare un barlume di speranza nelle zone dove invece gli interventi per preservare la biodiversità sono stati incentivati, come ad esempio in Nepal: le popolazioni nelle aree protette soffrono meno della metà del tasso di declino rispetto a quelle non protette. Se a prima lettura può sembrare ovvio, questo può invece dare un’idea precisa dell’importanza d’interventi mirati alla salvaguardia del patrimonio della fauna selvatica del nostro pianeta.

SI CONSUMA TROPPO E IN MODO NON UNIFORME
Il Living Planet Report sottolinea che la domanda di risorse naturali dell’uomo è sproporzionata: servirebbero un pianeta e mezzo per far fronte alle richieste. Cosa significa nella pratica? Che tagliamo più alberi di quelli in natura e che consumiamo più acqua dolce di quella che le fonti riescano a rifornire. Si sta imponendo a livello globale la necessità di trovare una nuova forma di sviluppo che non preveda più la crescita a qualsiasi costo ma che tenga conto anche dell’impronta ecologica delle scelte economiche che attuiamo ogni giorno. Il divario tra i Paesi ricchi e quelli poveri, spesso ricchi di risorse ma che diventano bersaglio facile di sfruttamento senza un reale ritorno economico sul territorio, è diventato insostenibile. Più di 200 bacini fluviali, dove vivono circa 2 miliardi e mezzo di persone, soffrono di una grave scarsità d’acqua per almeno un mese ogni anno. Se tutti utilizzassero le risorse necessarie a un cittadino europeo, sarebbero necessari 2,6 pianeti di risorse.

SIAMO ANCORA IN TEMPO?
Cosa possiamo fare a livello pratico per arginare questa corsa alla distruzione del nostro Pianeta? “Dobbiamo capire che siamo di fronte a una nuova era geologica, il cosiddetto Antropocene – dichiara durante la presentazione a Milano Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – ovvero quella nella quale all’uomo e alla sua attività sono attribuite le cause di alcune modifiche territoriali, strutturali e climatiche. Per proteggere la natura bisogna puntare alla conservazione attiva, con una volontà politica forte e un sostegno da parte delle imprese concreto”. Le proiezioni dell’Onu parlano di 9,6 miliardi di persone da sfamare nel 2050 e questo costituisce la vera sfida: riuscire a realizzare un nuovo modello di sviluppo basato sulla sostenibilità, che sia sempre meno propenso allo sfruttamento fine a se stesso e allo spreco.

Simona Buscaglia

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