Sfogo di Massimo Bossetti sulla presunta distruzione dei reperti che sarebbe intervenuta con l’interruzione della catena del freddo causata dallo spostamento dei campioni di Dna, la cui analisi è sempre stata negata alla difesa, dal San Raffaele di Milano all’Ufficio Corpi di reato del Tribunale di Bergamo.
L’ex muratore di Mapello sconta l’ergastolo in via definitiva per l’omicidio di Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa a Brembate di Sopra nel novembre 2010 e trova senza vita in un campo di Chignolo d’Isola nel febbraio successivo.
I 54 campioni di Dna del caso Gambirasio – che erano conservati a 80 gradi sottozero (come da protocollo) fino al 2019 presso un laboratorio dell’ospedale San Raffaele di Milano – a seguito dello spostamento all’Ufficio Corpi di reato di Bergamo, disposto dal pm titolare dell’inchiesta Letizia Ruggeri, sarebbero andati distrutti.
Non sarebbero più utilizzabili, ha dichiarato l’avvocato di Bossetti, Claudio Salvagni, per l’interruzione della catena del freddo che avrebbe visto i reperti finire in uno scaffale, chiusi in una scatola, a temperatura ambiente.
Una condizione che potrebbe aver provocato danni irreparabili al materiale contenuto nelle provette, rendendolo di fatto inservibile ai fini di nuove analisi (accertamenti che la difesa ha sempre chiesto per anni e che sono stati sempre negati nei tre gradi di giudizio).
Massimo Bossetti ha scritto una lettera dal carcere, rivolta a Marco Oliva della trasmisssione Iceberg su Telelombardia, per parlare della questione secondo il suo punto di vista.
Le affermazioni del detenuto sono intrise di rabbia e sconforto per quanto accaduto in merito alla conservazione dei reperti, oggetto di una inchiesta che vedrebbe il pubblico ministero Ruggeri indagato per le ipotesi di frode processuale e depistaggio.
Massimo Bossetti continua a dirsi innocente e si chiede chi sarebbe “il pazzo” capace di insistere sulla necessità di nuovi esami sul Dna se consapevole della propria colpevolezza.
Lo dice nella lettera rivolta a Marco Oliva in cui si dice praticamente scioccato dal fatto che, nei tre gradi di giudizio, gli sia stata negata la possibilità di condurre una nuova analisi sulla “prova regina” che lo ha inchiodato e che i suoi consulenti non hanno mai visto.
La difesa, infatti, non ha mai avuto accesso ai reperti del delitto di Yara Gambirasio e in sentenza sarebbe stato affermato che non c’era più materiale genetico disponibile per rifare i test chiesti dall’allora imputato.
Una cosa che sarebbe stata smentita dal professor Casari, colui che avrebbe conservato invece ben 54 campioni di Dna da lui definiti utili a nuovi accertamenti e di quantità importante.
Bossetti ha definito il suo arresto “vergognoso e disumano”, dipingendo come “imperdonabile” il fatto che in realtà, a suo dire, tutti sapessero dell’esistenza di materiale sufficiente per ripetere l’analisi sul Dna:
Non mi è stato mai concesso, rispondendomi solo che il materiale in questione era stato tutto consumato, ritenuto pacificamente inesistente
Nel suo sfogo dal carcere, Massimo Bossetti ha sottolineato i suoi interrogativi su reperti, conservazione e negato accesso ai campioni di Dna:
Tutti erano ben consapevoli dell’esistenza di questo Dna, pure gli stessi consulenti dell’accusa affermano che esiste in grande quantità e in abbondanza per essere ripetuto
Perché spostare le provette dal congelatore del San Raffaele, dove erano tenute a 80 gradi sottozero come necessario per la corretta conservazione, per essere destinate a uno scaffale in una stanza di Bergamo a temperatura ambiente?
Se lo chiede con insistenza l’avvocato di Massimo Bossetti, Claudio Salvagni, così come il suo assistito: “Perché asportare i campioni di Dna se non si avesse qualcosa da temere?“.
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