Una delle cose che mi capita più spesso da che seguo con passione le questioni legate alle donne è che molto spesso le donne sono davvero le peggiori nemiche di loro stesse. Non è bello da dire, ne convengo, ma è la verità. Sentirsi additate da quelle stesse persone che stai cercando di aiutare e difendere è strano. Tuttavia a me finora era capitato di leggere commenti scorretti di donne nei confronti di altre donne o in casi inequivocabili (esponenti politici noti per le loro posizioni catto-bigotte tendenti al medievale) o basate su quello che attualmente viene definito “analfabetismo funzionale”, piaga sociale che coinvolge un’alta percentuale della popolazione.
Sappiamo di vivere in una società che discrimina le donne, che le tratta come merce di scambio, che commercializza i loro corpi privandoli di qualsiasi dignità, che le relega a stare in casa o sotto la scrivania, che le etichetta come “puttane” per il semplice fatto di avere una vita sessuale o che le colpevolizza quando sono vittime di stupro. Tutto questo causa danni irreparabili nella concezione che le donne hanno di loro stesse ed è questa una delle primarie missioni di FEMEN: “My body, my rules”, mio è il corpo e mie sono le regole con cui lo gestisco, nessuno ha il diritto di giudicarle e di mettersi in mezzo.
Ciò che però non mi aspettavo è che fosse il Presidente della Commissione Pari Opportunità della Regione Autonoma della Sardegna, Stefania Chisu. Si, Pari Opportunità. La signora dice di volersi togliere la corona che le è stata data per difendere le donne (chi gliela abbia data non si sa, di certo non io), che per quello che sta per dire non cascherà il mondo e scrive: “Chi ha nel Dna l’essere una gran troia, rimarrà tale per sempre”. Ho provato a chiudere e riaprire internet ma la notizia era ancora lì in tutta la sua drammaticità. Qui non è questione di togliersi o meno la corona, qui il punto è che se si è Presidenti della Commissione Pari Opportunità non ci si può permettere sfoghi con questo linguaggio, quale che siano le motivazioni. E, anzi, le motivazioni sono evidenti.
Non si tratta di uno sfogo per “prostituzione politica”, di qualcuno che ha venduto il proprio voto per un incarico, ma la signora Chisu parla di “donne che sono grandi amanti del pene”. Mi verrebbe da dirle che male ci sia in tutto questo. Se da una figura, da una donna, che dovrebbe essere istituzionalmente riconosciuta come posta dallo Stato a difesa di una fetta di popolazione in difficoltà (donne e minoranze discriminate) arriva un attacco alle donne stesse in questi termini, modi e toni cosa possiamo sperare di fare perché si inverta la tendenza che ha falcidiato l’Italia negli ultimi 25 anni almeno? Pare che il post sia stato cancellato, ma la rete è impietosa e non perdona. E nemmeno noi la perdoniamo, signora Chisu. È inaccettabile che una persona nella sua posizione possa cadere così biecamente nello slut-shaming. Probabilmente non è degna di quella corona che si è effettivamente tolta e la pregheremmo di restituirla definitivamente quanto prima.
Perché allora dovremmo stupirci che in Italia il dibattito sulle unioni civili è ancor in atto ed è anzi sempre più oggetto di scambio politico? Perché meravigliarsi se continuiamo ad essere lo zimbello dell’Unione Europea che ci invita a fare dei grandi passi in avanti in tema di legislazione sociale?
Auspicherei meno persone che vengono indegnamente investite di certe corone e molta più attenzione e sensibilizzazione ai reali problemi della gente, senza inutili tavole rotonde, senza sinodi di uomini senza famiglia che parlano di famiglia e senza concili di uomini che parlano di problemi delle donne senza le donne. Ma intanto accogliamo con una certa soddisfazione le dimissioni della signora Chisu.
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