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«La mia scelta di collaborare con la giustizia è maturata anche per liberare il mio quartiere dalla malavita e salvare tanti giovani e invece in questa nuova guerra di camorra, che sta prendendo un po’ tutta Napoli, ma principalmente il Rione Sanità, stanno morendo quasi tutti giovani che non superano i 19 o i 20 anni». Lo dice, con rammarico, Giuseppe Misso, collaboratore di giustizia e precedentemente boss proprio del Rione Sanità, attualmente teatro – suo malgrado – di una grave guerra fra clan.
«Questa situazione – spiega Misso – è dovuta al fatto che sono saltati tutti gli schemi: non ci sono più tutti i grossi boss e chiunque si alza al mattino, prende la pistola in mano e vuole comandare». In effetti alla base di questa guerra di camorra, che vede schierati proprio tanti giovanissimi, c’è l’arresto di molti dei boss più o meno storici del panorama criminale napoletano, tale per cui sono rimasti soltanto i ragazzi a capo dei clan.
Non a caso lo stesso parroco del Rione Sanità, Don Antonio Loffredo, in una nostra intervista aveva spiegato: «Quello che si avverte è un forte vuoto di potere. Tutti i grossi boss della camorra sono, fortunatamente, in galera e non si riesce a capire ora chi comanda. Sembra quasi che ci siano queste bande di ragazzini che si affrontano fra di loro…».
Il problema, però, è che, come nella cosiddetta “società civile” i giovani sono più istintivi e meno prudenti, lo stesso accadde nella “società criminale” e quindi questa guerra di camorra sta risultando molto più cruenta e pericolosa di quelle precedenti. «Io stesso – ammette Misso – venivo da una famiglia malavitosa con 30 o 40 anni di storia, ho fatto la mia gavetta prima di arrivare a prendere decisioni, eppure ho commesso tanti errori “da giovane”, non avendo l’esperienza di mio zio o di tanti alti boss».
Alla Sanità, infatti, è già successo più volte che si creasse un vuoto di potere, soprattutto quando il clan Misso fu debellato anche grazie alle dichiarazioni di Giuseppe e di tutti i collaboratori di giustizia che si tirò dietro e i Sequino non erano ancora quello che successivamente sono diventati. Quello sarebbe stato il momento per intervenire, perché si era creato lo spazio sufficiente in cui un potere legale avrebbe potuto facilmente incunearsi. Così come lo sarebbe ora che anche il clan Sequino ha molti suoi esponenti di spicco in galera.
L’impressione, però, è che, oggi come allora, una parte dello Stato, rappresentata principalmente dalla Magistratura e dalle forze di Polizia, riesca a fermare la criminalità organizzata, arrestando i suoi personaggi di spicco, ma un’altra non riesca a sostituirsi a essa nella guida di un quartiere o della città.
A preoccupare, infine, Giuseppe Misso è che alcuni suoi familiari vivano proprio lì, dove spadroneggiano questi “baby boss”: «Un capo clan ragiona con la testa e magari, prima di fare un dispetto, fa finire i processi…questi invece possono sparare nell’immediatezza».
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