Il lockdown mette in ginocchio piccole e medie imprese. Sono 460mila le piccole imprese italiane, con meno di 10 addetti e sotto i 500mila euro di fatturato, che rischiano di chiudere a causa della pandemia. È quanto emerso dal “Secondo Barometro Censis-Commercialisti sull’andamento dell’economia”, realizzato in collaborazione con il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Le piccole imprese a rischio chiusura sono l’11,5% del totale con una capacità di impiegare un milioni di lavoratori, con un fatturato complessivo di 80 miliardi di euro.
A causa delle conseguenze del lockdown, secondo il rapporto, potrebbero sparire il doppio delle microimprese che hanno chiuso tra il 2008 e il 2019, come conseguenza della grande crisi. “Sarebbe un doloroso addio ai nostri piccoli imprenditori vittime di una strage annunciata, con gravi ricadute sulla crescita” si legge in una nota del Cencis.
Il 29% dei commercialisti coinvolti nella ricerca ha rivelato che più della metà delle microimprese clienti ha almeno dimezzato il proprio fatturato. Sono quindi 370mila le piccole imprese che hanno subito un crollo di più di meta dei ricavi.
Il 32,5% dei commercialisti ha registrato in più della metà della clientela una perdita di liquidità superiore al 50% nell’ultimo anno. Così, sono 415mila le piccole imprese che oggi hanno a disposizione meno della metà della liquidità di un anno fa.
Le misure pubbliche adottate durante l’emergenza non convincono tutti i commercialisti. Ad esempio, il sostegno alle imprese, come la moratoria sui mutui e le garanzie statali sui prestiti, è stato giudicato positivamente dal 45,2% e in modo negativo dal 34%. Il sostegno alle famiglie, invece, è stato giudicato con favore dal 36,6%, contro il 37,5% che l’ha giudicato negativamente.
Quando si parla di aiuti al lavoro, come il divieto dei licenziamenti e cassa integrazione in deroga, sono promossi dal 43,3% e bocciati dal 34,9%.
I commercialisti, per evitare la chiusura delle piccole imprese, sostengono che bisognerebbe intervenire agendo su quello che non ha funzionato. Alcuni vorrebbero più chiarezza nei testi normativi (79,9%), mentre altri più tempestività nei chiarimenti sulle prassi amministrative (76,7%) e meno adempimenti (67,2%).
Altri ancora chiedono una migliore distribuzione delle risorse pubbliche tra i beneficiari (67,2%), una più efficace combinazione delle misure adottate (61,1%) e un taglio netto dei tempi necessari per l’effettiva erogazione degli aiuti economici (58,4%). Infine, il 49,9% ritiene necessari stanziamenti economici più consistenti.
Per i commercialisti, inoltre, secondo quanto emerso dai dati raccolti, occorre snellire gli adempimenti burocratici e i passaggi formali affinché gli interventi siano più efficaci.
Per quanto riguarda l’uscita dalla crisi, i commercialisti sono piuttosto negativi. Il 40,7% sostiene che ci vorrà molto tempo per uscirne, mentre il 26,9% ritiene che bisognerebbe adattarsi subito alle nuove condizioni o non ci sarà crescita. Infine, il 24,2% pensa che molti settori vitali siano ancora in grave difficoltà.
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