Mentre continua ad infuriare lo scontro nel Donbass tra truppe russe ed ucraine, il presidente russo Vladimir Putin firma un decreto che mette in chiaro, ancora una volta, i suoi obiettivi.
Purtroppo, come se non bastasse, la guerra non è mai solo cannoni, missili che fischiano nell’atmosfera, palazzi che crollano e vite spezzate; le finalità di una guerra sono sempre di natura politica e per tale ragione alle brutalità del campo si accompagnano misure economiche e governative atte ad istradare quelle morti e quelle macerie conquistate in qualcosa da rivendicare e gestire come proprio.
La zoppicante propaganda di un’Ucraina da “denazificare” sembra ormai tramontata, eppure permane in Putin il desiderio di vedere cancellato quell’insulto alla “Grande Madre Russia” di un popolo slavo, così intrecciato nella sua storia con Mosca, che prende una via di futuro divergente e che ne rivendica la legittimità, addirittura affermando la propria possibilità di autodeterminazione.
Per chi ragiona nel senso di un destino di grandezza da compiere, come l’ex KGB, non è ammissibile perdere una parte così importante di potere: perché l’Ucraina non è semplicemente un vastissimo territorio (il doppio della Francia in superficie) ricco di risorse naturali ed alimentari: è il pontile di lancio, la proiezione nel mondo della Russia. È la riconferma della forza di Mosca e del suo diritto di decidere delle sorti del globo assieme a Stati Uniti e Cina.
Quindi innanzitutto, di fronte ad una inaspettata resistenza, la popolazione va fiaccata, va fatta pentire delle proprie scelte tramite bombardamenti continui e sempre più imprevedibili nei loro punti di caduta: ormai nessuno sembra al sicuro e palazzi residenziali, uffici e centri commerciali sono obiettivi quotidiani al pari di accampamenti militari, depositi di munizioni e stazionamenti di armi di tiro.
Se da un lato quindi si tenta di far vacillare un popolo, rendendolo insicuro e portandolo a tenere più per la vita propria e dei propri cari piuttosto che a quella della nazione, in seconda battuta si fa di tutto per mostrarsi pronti ad accogliere nuovi rinsaviti ucraini disposti a farsi coccolare dal caldo abbraccio del manto dell’orso russo.
Se questo è probabilmente il modo con cui sta conducendo l’offensiva il capo del Cremlino (aberrante pensiero, ma è pur sempre necessario confrontarcisi in modo analitico e freddo per poterlo comprendere e contrastare adeguatamente), la nuova disposizione siglata dal presidente moscovita risponde alla seconda finalità.
In questo senso si inserisce il decreto appena firmato dal presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Questi ha difatti esteso a tutto il territorio formalmente controllato da Kiev la procedura semplificata per diventare cittadini russi.
Ora la domanda per essere cittadini sotto le direttive del Cremlino non contemplerà più, per gli abitanti ucraini che ne faranno richiesta (o ne saranno “indotti”), l’aver vissuto in Russia per almeno 5 anni e l’aver superato un esame di lingua.
Questo decreto amplia a tutto il territorio ucraino la misura già in vigore nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhans’k e nei territori di Kherson e Zaporizhzhya, conquistati dopo il 24 febbraio.
Zelensky naturalmente controbatte, evidenziando l’ennesima violazione della sovranità e della integrità della propria nazione, la quale però non trova seguito nella mente del neo-zar, semplicemente perché l’Ucraina non ha il diritto di esistere per Putin.
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