Tantissime sono state le persone contagiate dal Covid nel corso di questi due anni di pandemia. Ma, fra coloro che sono guariti, una percentuale di essi ha ancora su di sé gli effetti del Covid. Sintomi che assumono la terminologia del loro appartenere al “Long Covid”.
Questi hanno, purtroppo, anche la capacità di condizionare le attività quotidiane e anche più semplici, di chi ne soffre. Cerchiamo di capire di cosa si tratta.
Diversi e differenti sono gli effetti che il Covid ha lasciato in chi, purtroppo, ne è stato contagiato. Ma ce ne è uno, in particolare, che è diventato anche oggetto di studi e ricerche da parte di diversi team scientifici nel mondo: quello della cosiddetta “nebbia cognitiva”, o meglio ancora “nebbia del cervello”.
In cosa consiste? Partiamo dal termine Long Covid. Si tratta di sintomi che, in chi più in chi meno, possono anche debilitare il nostro vivere ed agire quotidiano. Una sorta di trascinamento di quel senso di stanchezza, fisica e mentale, quella spossatezza che il Covid (in chi l’ha contratto) aveva come uno dei suoi principali sintomi.
Ma, dopo un anno di Covid, uno studio condotto dall’Università di Milano e dall’Ospedale San Paolo ha evidenziato come, anche basandosi su precedenti studi, il Covid fosse in grado di intaccare anche il sistema nervoso e dargli delle conseguenze anche a lungo termine.
La cosiddetta “nebbia cognitiva” è una specie di rallentamento, ma anche di stanchezza mentale che porta, chi ne è colpito, a “rallentare” e a fare fatica anche nelle azioni di tutti i giorni, da quelle più difficili (come le situazioni di lavoro) a quelle più semplici, come ad esempio andare e fare la spesa.
Lo studio, in tutto il mondo, sugli effetti del Long Covid non si è fermato qui. E, ad oggi, i ricercatori dell’Università di Melbourne sono più vicini a capire cosa porta queste fastidiose sensazioni (come, anche, un senso di confusione, le vertigini, un costante mal di testa). Gli scienziati suggeriscono che potrebbero esserci dei parallelismi fra ciò che ha provocato il Covid sul cervello e i primissimi stadi evolutivi di Alzheimer e Parkinson.
Osservando i peptidi in laboratorio (piccoli frammenti di proteine) nel virus Covid, gli scienziati hanno visto come questi si aggregassero fra di loro, formando delle placche molto simili a quelle che iniziano a formarsi nel cervello ai primi stadi di queste malattie neurodegenerative prima citate.
Il professor Reynolds, a capo della ricerca, spiega che, siccome tali placche sono estremamente tossiche per le cellule del cervello, “ipotizziamo che questi aggregati di proteine, possano far scattare sintomi neurologici”, uno su tutti l’annebbiamento cerebrale.
Ovviamente la ricerca continua e tale studio richiederà mesi di conferme. Ma, se l’ipotesi venisse verificata a pieno, i farmaci che sono, oggi, utilizzati per alleviare e combattere i primi sintomi dell’Alzheimer o del Parkinson, potrebbero esser un’arma vincente anche contro il Long Covid.
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