Nemici prima, durante e dopo i novanta minuti della partita. Amici, anzi, fratelli, quando il gioco finisce e comincia la vita vera, quella fatta di ospedale, coma e medici che ti danno per spacciato. Il mondo ultras è anche questo e, dopo la fine dell’incubo (anche se la strada della guarigione è ancora lunga) per Luca Fanesi, l’ultrà della Sambenedettese finito in coma dopo gli scontri a Vicenza, sua moglie ringrazia gli ultras biancorossi, passati da essere i «nemici» del marito, ai «suoi angeli custodi».
Lo scorso 5 novembre, al termine della partita di serie C tra Vicenza e Sambenedettese, scoppiano scontri tra le tifoserie, con l’intervento della polizia. A un certo punto Luca Fanesi, 44enne tifosissimo della “Samba”, addetto alla sicurezza antincendio in un centro commerciale, cade a terra e non si rialza più. Le sue condizioni appaiono subito gravissime, e l’uomo finisce in coma, nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Bortolo di Vicenza.
Come ha fatto a finire in fin di vita? Secondo la versione della polizia, che sta ancora indagando, Luca avrebbe sbattuto la testa violentemente a un’inferriata. Un incidente, insomma. Secondo ultras e alcuni testimoni presenti, invece, il tifoso sarebbe stato manganellato dai celerini. Due versioni contrastanti, con il timore di insabbiamento nel caso che a ridurre in fin di vita Fanesi fosse stata davvero una manganellata della polizia.
Luca, da oltre 40 giorni in ospedale, si è svegliato dal coma, anche se appare ancora confuso, il processo di guarigione è ancora lungo e lo aspettano operazioni chirurgiche delicate. Il peggio sembra essere passato e la moglie, la 39enne Teresa Brecciaroli, si è aperta in un’intervista al Corriere del Veneto, in cui ha ricordato quei momenti ed elogiato gli ultras del Vicenza che sono rimasti ogni giorno vicini a lei e alla famiglia di Luca, arrivata dalle Marche, in modo concreto: «Dalla sera in cui Luca è stato ricoverato in ospedale, i tifosi vicentini si sono preoccupati delle sue condizioni, mi hanno prenotato e pagato l’albergo, poi affittato una casa, provvedendo a tutte le spese, preoccupandosi di non farmi mancare nulla, dalla spesa alle lenzuola profumate, e accompagnandomi dove avessi bisogno di andare».
«Ci sono ogni sera: finiscono di lavorare e in sette, otto di loro, uomini e donne dai 25 ai 45 anni, mi accompagnano al San Bortolo e rimangono ad aspettare fuori dalla stanza per riaccompagnarmi a casa. Se fossi da sola, in una città che non conosco, senza un mezzo, non so come farei. Sono i miei angeli – sottolinea la donna, commossa, al Corriere – non finirò mai di ringraziarli. Non mi stanno dando solo un supporto materiale e logistico ma anche vicinanza, affetto, sostegno».
Può sembrare assurdo, a chi non conosce questo mondo complesso, ricco di mille sfaccettature, dove c’è spazio per le scazzottate, ma anche per la solidarietà. La moglie di Fanesi non se l’aspettava, questa vicinanza: «Mi hanno spiegato che gli ultras hanno un codice: durante le partite ci sono i divari con le tifoserie avversarie, ma quando succedono cose del genere non possono rimanere indifferenti. “Siamo persone”, mi hanno detto. E io so che posso contare su di loro, sono tranquilla».
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