«Dopo aver arrestato la prima e la seconda generazione, oggi a Napoli sono rimasti ragazzi giovani», spiega il Vicepresidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Luigi Gaetti, a NanoPress.it e il carcere di Nisida ha già dimostrato «come, se a questi ragazzi viene insegnata una professione, terminano la loro pena, potendosi mettere sul mercato hanno una minore probabilità di tornare in carcere». Il problema è che spesso sono i problemi burocratici a rendere difficile il recupero dei giovani napoletani e, per questo «ci vorrebbe – secondo il Senatore Gaetti – un po’ più di elasticità» nelle istituzioni.
In Commissione Antimafia vi siete occupati di quello che sta succedendo a Napoli?
«Abbiamo iniziato a occuparcene subito dopo il primo omicidio, al Rione sanità. Abbiamo ovviamente udito le Forze dell’Ordine, lo staff del Sindaco De Magistris e Padre Zanotelli e altre figure di riferimento della società civile, per cercare di capire cosa stesse succedendo. L’elemento che è emerso è che, alla domanda posta soprattutto ai magistrati, quindi alla componente inquirente, se ritenessero utile l’invio dell’esercito a Napoli, tutti ci hanno risposto tutti che invece la cosa più importante è garantire la scuola come elemento di risveglio sociale, la scuola come elemento di costruzione di una società diversa.
La denuncia è che non c’è la scuola a tempo pieno, ma non c’è neanche un campo da calcio. Questo è un dato che poi ho visto ripreso da altre funzioni, come il vescovo, e condivido perfettamente: bisogna ripartire dalla scuola per la costruzione di un tessuto sociale diverso. Altrimenti, come diceva anche il Procuratore Colangelo, dopo aver arrestato la prima e la seconda generazione, oggi a Napoli sono rimasti ragazzi giovani, poco scolarizzati, che quindi hanno una visione molto limitata della vita e che quindi vogliono il guadagno subito. È questo che li sta deviando e ora ne stiamo vedendo i risultati: un numero maggiore di omicidi, un numero maggiore di reati in generale e questo proprio perché non c’è quel tessuto sociale che dovrebbe rappresentare una prospettiva di futuro per questi giovani».
Secondo Lei, quanto è pericolosa la situazione?
«Il problema è che mancano prospettive: prospettive di lavoro e prospettive culturali. Padre Alex Zanotelli raccontava di aver creato piccoli gruppi di raccolta del cartone, un elemento che può essere venduto anche se per poco. In questo modo creava cultura e dignità. I negozianti cominciavano a impacchettare il cartone affinché questi lo passassero a prendere e così aveva creato un lavoro non solo socialmente utile, ma anche economico remunerativo. Quando quest’attività ha cominciato a prendere piede, è intervenuto il Comune per avocare a se quest’attività, sostenendo che rientrasse nel concetto della gestione dei rifiuti.
Ci vorrebbe un po’ più di elasticità, però bisogna partire da questi piccoli passi. Le istituzioni dovrebbero imparare a gestire e indirizzare i soldi in questo modo, ad esempio dando i beni confiscati a queste associazioni per un uso sociale e quindi crescita di valori, perché se non c’è una crescita di valori, una crescita della società, sarà difficile riuscire a venirne fuori».
A margine della missione a Napoli, avete anche visitato il carcere minorile di Nisida…se non mi sbaglio
«Lì per me è stata veramente l’apertura di un mondo che non conoscevo. Innanzitutto quel carcere, magistralmente diretto dal Direttore che sta cercando, oltre alla scuola al mattino, di creare laboratori per permettere ai giovani detenuti di professionalizzarsi. C’è il laboratorio di ceramica, dove fanno piatti e porcellane anche molto belli, il laboratorio di presepi napoletani e quello di pasticceria. Nel carcere di Nisida esiste anche una scuola per pizzaioli e si è già visto come, se a questi ragazzi viene insegnata una professione, terminano la loro pena, potendosi mettere sul mercato hanno una minore probabilità di tornare in carcere.
Il problema è permettere a questi laboratori di avere un’attività economica, ma spesso sono i problemi burocratici a bloccarne il funzionamento. Qualche sindacalista sostiene che, così, questi ragazzi vengano sfruttati ed è anche vero che ad esempio i panettoni non devono essere venduti sottocosto, benché i lavoratori non siano pagati, perché sarebbe concorrenza sleale, però credo che in situazioni così anche un minimo di buon senso e di tolleranza credo che sia dovuta!»
Un’ultima domanda, Lei da mantovano si sta ora, per la prima volta, trovando ad affrontare questo tipo di tematiche. Cosa sta “scoprendo”?
«Non sono i ragazzi di Napoli a essere “cattivi”, perché quando le istituzioni ci sono e fanno bene il loro lavoro, questi ragazzi sono uguali a quelli di qualsiasi altro posto d’Italia o del mondo e infatti il ruolo delle istituzioni dovrebbe essere quello di dare linee di indirizzo e quindi di organizzare le risorse. Quello che mi piacerebbe chiedere ai ragazzi che scelgono la criminalità organizzata è perché le mafie, che oramai hanno capitali immensi e stanno comprando mezzo mondo, non investono nei loro territori di provenienza? I mafiosi dicono di amare la propria terra, ma perché poi non investono lì?»
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