Dopo le mail tocca alle spese, ma per Luigi Di Maio il ritornello delle polemiche non cambia. Questa volta, il vicepresidente della Camera finisce sul banco degli imputati per aver speso 100mila euro in tre anni in eventi sul territorio e aver così provocato una frattura interna tra la corrente “governalista” e quella “delle origini”. Le due anime del movimento sarebbero in rotta di collisione, come racconta il nuovo capitolo di Supernova, libro degli ex grillini Marco Canestrari e Nicola Biondo (rispettivamente ex braccio destro di Casaleggio e Grillo ed ex capoufficio stampa del gruppo alla Camera), pubblicato a puntate sul loro sito: i due parlano di un “sommovimento”, di una vera e propria rivolta contro Di Maio da parte di circa 70 eletti, capeggiati da Roberto Fico e forti dell’indignazione della base che si chiede che fine abbia fatto la “politica a costo zero”. A questo si aggiunge che il presidente della Vigilanza Rai è secondo nella classifica delle spese sul territorio ma con circa 30mila euro, tre volte meno di Di Maio. È davvero uno scontro sulle cifre o c’è altro?
Di Maio ha risposto alle polemiche a margine della conferenza stampa del movimento per il No al referendum. “Sono meno di tremila euro al mese, è normale per un parlamentare spendere per attività sul territorio“, spiega. Rispedite al mittente tutte le frecciatine al veleno. “Come vicepresidente della Camera rinuncio al doppio stipendio, alle spese di rappresentanza, all’auto blu, al telepass gratuito, alle spese di tipografia e al cellulare di servizio. Gli eventi sul territorio prevedono spese di vitto, di alloggio e anche di trasporti che in alcuni casi non mi faccio rimborsare e in altri non sono rimborsabili“, chiarisce. “Faccio anche risparmiare al Cerimoniale della Camera alcune spese che in passato ho pagato direttamente con i miei rimborsi. Questo per non parlare delle attività sul mio territorio“. Inoltre, “come tutti i miei colleghi, mi taglio lo stipendio da deputato. Questo dimostra che si può fare politica con pochi soldi“. Centomila euro in tre anni non sono “pochi soldi”.
Il grafico delle spese di Di Maio per gli eventi sul territorio
LE VERE VOCI DI SPESA DI DI MAIO: Come tutti gli eletti del movimento, anche Di Maio ha i conti sotto la lente degli strumenti di controllo pentastellati: il sito maquantospendi.it, che elenca tutte le voci di spesa, e tirendiconto.it (che si appoggia sul blog di Grillo). È facile quindi risalire alle voci di spesa e controllarle: questo è quanto risulta dal sito del M5S.
Il vicepresidente della Camera ha speso in totale 247. 310,49 euro, con una media mensile di 7.494 ed è 21esimo nella classifica generale, dietro per esempio al collega del Senato Vito Crimi (il primo è Roberto Cotti).
La voce più imponente è quella degli “Eventi sul territorio” per cui ha speso 108.752,14 euro con una media di 3.508,13 euro al mese: in questo caso è il primo della classifica, davanti a Fico, secondo con circa 31mila euro.
In sintesi, Di Maio non è tra i più spendaccioni in assoluto ma è quello che spende di più alla voce “eventi sul territorio”.
QUANTO HA RESTITUITO DI MAIO: Di Maio è passato all’attacco e dal blog di Grillo ha chiarito di aver restituito più di quanto speso. In un post infatti chiarisce di aver “restituito in tre anni e mezzo 204.582, 62 euro“, elencando le varie voci. “Da quando sono stato eletto deputato e poi Vice Presidente della Camera, avrei avuto diritto a: Stipendio aggiuntivo da Vice Presidente – Stipendio pieno da deputato (di cui restituisco la metà) Spese di rappresentanza – Auto blu – Telepass gratuito – Cellulare di servizio – Spese gratuite in tipografia. Tutti i rimborsi spese che non uso e non rendiconto“.
Facciamo un po’ d’ordine.
Più che di restituzione, Di Maio avrebbe dovuto parlare di soldi risparmiati quando ricorda di non percepire il doppio stipendio da vicepresidente della Camera. Oltretutto non è l’unico ad averlo fatto. Esempio? Anche Roberto Giachetti, altro vicepresidente a Montecitorio in quota PD, ha rinunciato ai rimborsi forfettari, all’alloggio di servizio e all’auto blu (oltre a rinunciare allo stipendio da consigliere comunale a Roma).
Come giustamente ricorda Di Maio, anche lui, come tutti gli eletti del M5S, versa parte dello stipendio da parlamentare al fondo di ammortamento dei titoli di stato e al fondo per il microcredito che però non è del M5S ma un fondo dello Stato (creato nel 1996 dal governo Prodi come Fondo di Garanzia, operativo dal 2000, mentre il microcredito è stato introdotto con una legge del 2010 e poi ampliato e reso più semplice da una legge del 2014).
I grillini non sono gli unici a versare parte del loro stipendio: gli eletti del PD, di Forza Italia e di altri partiti versano, per statuto, una parte (spesso consistente, fino al 40%) dello stipendio al partito e c’è chi ne versa anche una parte ad altri fondi, come il senatore Francesco Russo (PD) che, dalla sua ingresso in Parlamento nel 2013, versa il 20% dell’indennità al Fondo per l’occupazione giovanile di Banca Etica.
C’è poi una confusione di fondo quando si parla di “restituire lo stipendio”.
Lo stipendio da parlamentare è composto da due voci: quella dell’indennità fissa e quella dei rimborsi forfettari. Quando si parla di stipendio, si indica la prima voce, che è di 4.945,70 euro netti al mese, di cui Di Maio, come tutti i grillini, prende 3.259,12 €, restituendo 1.686,58 (dati del mese di maggio 2016, ultimo disponibile alla sua voce sul sito M5S).
La rendicontazione dei rimborsi di Di Maio al mese di maggio 2016
Poi c’è la seconda voce, cioè i rimborsi forfettari. Sempre a maggio 2016, Di Maio ha ricevuto 7.193,11 euro e ne ha usati 6.732,20, di cui 2.856,27 per “eventi sul territorio”, restituendo 460,91 euro. Dei rimborsi, il vicepresidente della Camera ha restituito in totale 8.642,80 euro, 65esimo in classifica (in testa c’è Alessandro Di Battista che ne ha restituiti circa 18mila euro).
È qui che nasce la contestazione interna al M5S: Di Maio spende troppo per eventi sul territorio, rinnegando la vocazione “pauperista” del movimento.
COSA C’È SOTTO ALLE POLEMICHE SULLE SPESE DI DI MAIO: Dal M5S negano che ci siano fratture interne, ma è prassi di tutti i partiti negare anche l’evidenza. Che le due anime, quella “di governo” e quella “delle origini” siano in lotta è difficile da negare, tanto che lo stesso Grillo è sceso in campo, auto nominandosi capo politico dal palco di Palermo e chiedendo più unità.
Le nuove polemiche sulle spese di Di Maio appaiono più come una scusa per attaccare il volto istituzionale del M5S, quello che Fico, sempre da Palermo, accusò di essere “vipparo” (cioè troppo vip). Di Maio, almeno fino a quando Grillo non ha sciolto il direttorio a inizio ottobre, era il rappresentante degli enti locali, il legame tra il direttorio stesso e i sindaci. È ovvio quindi che abbia speso di più degli altri colleghi in “eventi locali”: era il suo compito.
In secondo luogo, fare politica costa. Centomila euro in tre anni non sono neanche molti per un deputato che deve muoversi lungo lo Stivale, magari organizzare eventi, incontri, riunioni, corsi o altro sul territorio. Il problema del M5S è proprio questo: aver gridato che si può fare politica a costo zero.
Il grafico dei bonifici per i soldi restituiti del M5S
La realtà ha bussato anche alla loro porta: come si vede nel grafico tratto dal sito del movimento, in tre anni è diminuita la quota dei rimborsi versati. Lo è stato per Di Maio e per tutti il movimento. Spendere soldi per fare politica non è il male assoluto, come hanno urlato ai quattro venti. Con la loro battaglia contro i soldi alla politica, i grillini sono riusciti a inimicarsi gli oppositori esterni che ora hanno buon gioco ad accusarli delle stesse cose per cui sono stati attaccati (con violenza) per anni.
Inoltre, hanno mostrato il fianco ai nemici interni, dando loro occasione per attaccarli perché non più puri, perché si spende troppo, perché “gratis è bello”. La verità l’aveva detta Pietro Nenni decenni fa: “A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura“.