Il capo politico M5S Giuseppe Conte traccia la linea del partito dopo la fine del governo Draghi e l’interruzione del rapporto di alleanza con il Partito Democratico.
Il Movimento fondato da Grillo oscilla ancora tra un ritorno a contesti originari di terzismo e assenza di alleanze ed invece la transizione in partito vero e proprio superando la regola dei due mandati.
Se si è avuto un Conte I ed un Conte II, esperienze quasi all’opposto eppure conniventi nella stessa figura politica, allo stesso modo il Movimento, di cui ora lo stesso Conte è a capo, può avere vari tempi e parti.
Così la formazione vincitrice delle scorse politiche sembra destinata, più per necessità stavolta che per scelta, a riproporsi davanti agli elettori praticamente in solitaria. Questo terzismo era d’altronde uno dei fondamenti del “cambiamento” che i grillini intendevano portare in Parlamento e una delle cause della loro attuale debacle politico-elettorale.
In nome di un pragmatismo un po’ semplicistico, a-ideologico si potrebbe dire, né di destra né di sinistra, il gruppo si era presentato in solitaria alle elezioni per poi doversi alleare con chi era disponibile, perdendo voti oltre che identità.
La stessa ricerca di nuovi elettori, nella nuova veste identitaria progressista, gli si conceda la costante dell’ecologismo, ha portato al sabotaggio (nei fatti, meno chiaro se nelle intenzioni) dell’esecutivo Draghi ed alla crisi di governo.
Tuttavia proprio la difesa del progressismo gli ha alienato l’alleato teoricamente rappresentante storico di quell’area, il Partito Democratico. Da ciò il ritorno all’origine, o meglio a una seconda genesi, nella quale, per bocca dello stesso Conte, l’M5S si oppone tanto alla destra sovranista quanto alla sinistra liberista e radical-chic, la sinistra della “agenda Draghi”, in favore di un programma progressista e sociale.
Nel quadro appena descritto di isolamento va collegato anche l’ennesimo cambio di posizione dei 5S: il doppio mandato. L’intercambiabilità dei politici, in considerazione del ruolo sociale e non di potere della carica parlamentare, è l’idea che strutturava il meccanismo di ricambio della classe dirigente grillina che avrebbe dovuto abbandonare la sua funzione pubblica dopo due mandati affinché fosse appunto la società in sé stessa a dirigere il proprio Paese.
L’esperienza governativa ha però mostrato come competenza e sensibilità negoziale sono doti necessarie e formantisi nel tempo, ragion per cui il leader Conte si mostra in questi giorni fortemente possibilista nell’eliminare o restringere la portata della regola dei due mandati.
Questo in quanto ora più che mai, visto proprio l’isolamento partitico del gruppo, per l’M5S sarà fondamentale trattenere a sé quei rappresentanti che meglio hanno appreso il mestiere, per così dire, e quindi dovrebbero risultare più in grado di condurre il partito nella difficile campagna elettorale appena apertasi e poi nella ancor più perigliosa e incerta legislatura tra guerra, crisi ed inflazione.
Insomma se non si può contare su altri, meglio poter almeno contare su se stessi: per questo sostituire in questo momento la gran parte dei propri parlamentari e ritrovarsi con persone nuove ed a digiuno dei giochi ed intrighi di palazzo può ulteriormente minare la forza della formazione pentastellata.
Difatti lo stesso Conte afferma, senza per ora scendere nei dettagli, di non volersi assolutamente privare di figure che hanno lottato per dieci anni a difesa delle istanze del Movimento e che, al contrario di quanto finora si era lasciato intendere, quello del secondo mandato non è un “diktat” immodificabile.
Se da un lato i 5 Stelle sembrano riapprodare ad una situazione di isolamento come ai tempi del movimentismo puro, dall’altro sembra per gli stessi irrinunciabile lo strutturarsi in partito al fine di dotarsi di una classe politica che ne stabilisca una linea ed un percorso coerente e continuativo.
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