[didascalia fornitore=”altro”]Foto di Ollyy/Shutterstock.com[/didascalia]
Politica e mafia o si fanno la guerra o si mettono d’accordo, spiegava il mai abbastanza compianto Paolo Borsellino. Ma considerare un selfie o una foto in posa la prova provata di una collusione fra un politico e un padrino è pura ingenuità, se non malafede.
La caratteristica più fastidiosa di Matteo Salvini è quella di essere instancabile. Chi scrive si affatica anche ad allungare il braccio per impugnare il telecomando e cambiare canale. Possono passare ore prima che io cambi canale, e nel frattempo mi sciroppo programmi di cucina, telenovele sudamericane in lingua originale e prove tecniche di trasmissione.
Salvini invece è capace di tenere un comizio a Sondrio la mattina, a Varese nel pomeriggio e di volare a Reggio Calabria la sera. E dopo ogni discorso in piazza ha l’abitudine di scendere dal palco e porre una domanda dai risvolti filosofici ai suoi fan: “Qualcuno vuol farsi un selfie?”
La domanda di rito scatena file interminabili e con il sole o con la pioggia Salvini rimane decine di minuti immobile ostentando un sorriso simile ad una paresi e lasciandosi fotografare come se fosse un bronzo di Riace. Fra le migliaia di fotografie scattate in un mese può capitare che una lo ritragga insieme ad un tipo poco raccomandabile.
La stessa cosa può accadere in caso di cene ed eventi elettorali, ovvero quegli eventi (a pagamento o meno) in cui il politico di turno incontra i suoi elettori. Salvo indicazioni esplicite del politicante, la cura dei dettagli di ciascun evento ricade nelle responsabilità del suo staff e dei dirigenti locali del partito. Nessuna legge e nessuna prassi hanno mai imposto ai partecipanti alle cene elettorali l’esibizione di fedine penali e certificati antimafia. Potrebbe essere un’idea per il futuro, ma al momento semplicemente non si fa. Per cui può capitare che il politicante di turno sieda a tu per tu con un brutto ceffo.
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Recentemente i detrattori di Salvini lo hanno criticato per aver cenato ed essersi scattato un selfie con Salvatore Annacondia, pentito pugliese con 72 omicidi sulla fedina penale. La foto è stata scattata nel 2015, ma la polemica è partita solo nell’estate del 2018.
In generale ritengo che se un politico incontra un mafioso per discutere di affari loschi, lo fa lontano da telecamere e riflettori. Per alcuni però tanto basta a gettare fango su Salvini.
E di Di Maio che si è lasciato fotografare insieme al cognato del presunto boss di Cosa Nostra Giuseppe Corona ne vogliamo parlare? Io eviterei volentieri, ma visto che ci siamo…
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Anche in quel caso non credo che Di Maio, reduce da decine di selfie e foto ricordo, sapesse chi era il gestore di quel bar palermitano nel quale lo hanno portato alla fine di un comizio. Tanto basta per screditare un politico?
Chiudiamo in bruttezza con Giuliano Poletti, ministro del Lavoro dell’era Renzi. Poletti è stato immortalato a cena con, fra gli altri, l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno e con Salvatore Buzzi di Mafia Capitale. Nella stessa sala ma ad un altro tavolo c’era anche Luciano Casamonica, boss dell’omonimo clan. C’è da dire, anche in questo caso, che Poletti sarebbe stato un vero idiota a sedersi allo stesso tavolo di persone notoriamente in odore di malaffare se ne avesse avuto contezza. Eppure qualcuno ha sollevato delle perplessità. E chi poteva essere se non…
[didascalia fornitore=”altro”]Ansa[/didascalia]
In conclusione, scattarsi un selfie o partecipare ad una cena con qualcuno che si rivela poi essere un mafioso non dovrebbe creare altro che qualche imbarazzo passeggero.
Chi utilizza questi episodi per fare campagne denigratorie lo fa in malafede. Linciamo i politici per le loro reali mancanze e non per questi inciampi.
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