Giuseppe Salvatore Riina, il figlio di Totò Riina, l’uomo conosciuto in tutto il mondo come il “capo dei capi di Cosa Nostra”, è tornato a Corleone per fare il padrino a una nipote che faceva il battesimo. Salvo, come più comunemente viene chiamato, condannato a sua volta come il padre per associazione mafiosa, per recarsi in Sicilia ha lasciato Padova – dove è sottoposto a misura di sicurezza che lo obbliga a vivere nella città veneta – grazie a un permesso speciale del tribunale e alla lettera di un prete, che per lui ha fatto da “garante”, firmando una sorta di “certificato di idoneità” alla vita cattolica. Tante sono state le voci di dissenso, non ultima quella di monsignor Michele Pennisi, vescovo di Monreale, che ci ha tenuto a precisare: “Né io, né gli uffici della Curia eravamo informati. Consentire al figlio di Riina di fare il padrino di battesimo è stata una scelta censurabile e quanto meno inopportuna, che io non approvo”.
Giuseppe Salvatore Riina, terzogenito del ‘Capo dei capi’, in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso, ha ottenuto il consenso di un parroco di Padova che ha garantito per lui permettendo che il Tribunale approvasse il lasciapassare per consentirgli di tornare a Corleone a fare da padrino al battesimo della nipote, presieduto da don Vincenzo Pizzitola nella Chiesa madre.
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I fatti risalgono al 29 dicembre scorso, ma sappiamo che Giuseppe Salvatore Riina era riuscito a ottenere dal giudice del Tribunale di Sorveglianza di Padova anche di trascorrere le feste natalizie assieme alla madre. Quindi quello che ha scatenato la polemica a mesi di distanza dai fatti è l’aver scoperto che ad accompagnare la decisione del Tribunale, stavolta c’era una lettera, chiamiamola di raccomandazione, firmata da un parroco per la curia di Corleone, in cui in sostanza si dice che Salvo è un buon cristiano e può fare il padrino.
Ma non tutti la pensano così, tanto che il vescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, considerato un esperto autorevole sui temi della mafia, ha reagito con convinzione ribadendo che Riina Jr. non si è pentito di quanto fatto e che quel lasciapassare per entrare in chiesa a fare da padrino non è certo meritato. “Il padrino deve essere il garante della fede, deve dare testimonianza con le sue azioni. E non mi risulta che il giovane abbia mai espresso parole di ravvedimento per la sua condotta“, sono state le parole del vescovo, che ha proseguito: “Il parroco (che lo ha fatto entrare in chiesa, ndr) si è giustificato dicendo che il figlio di Riina aveva presentato un certificato di idoneità firmato da un parroco della diocesi di Padova, e che aveva il permesso del giudice per venire in Sicilia. Ma io non cambio idea su quanto accaduto”.
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Ricordiamo che Salvo Riina fra il 2000 e il 2002 tentava di riorganizzare una cosca mafiosa: “Io vengo dalla scuola di Corleone” diceva – intercettato – mentre tentava di gestire alcuni appalti, e ai suoi fedelissimi raccontava la stagione delle stragi Falcone e Borsellino decisa dal padre: “Totuccio si fumò a tutti, li scannò” (per i suoi crimini sta al 41 bis, ndr). Per la procura distrettuale antimafia di Palermo non ha mai interrotto i suoi rapporti con il clan, ma questo non gli ha impedito di andare persino da Bruno Vespa, nella trasmissione della RAI Porta a Porta, a promuovere il suo libro: “Riina familiy life”
Il vescovo Pennisi ha deciso di non restare con le mani in mano, e ha annunciato una visita pastorale a Corleone: “C’è bisogno di parole chiare sulla mafia, certi episodi non sono più tollerabili”.