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La morte di Marco Pantani non fu un suicidio. “Fu omicidio volontario, non si trattò di overdose“. La Procura di Rimini ha riaperto il caso sulla morte del Pirata, e ora l’ipotesi è che il ciclista sia morto diversamente da quanto stabilito nella prima inchiesta, ovvero “come conseguenza accidentale di overdose“. Il corpo privo di vita del campione di Cesenatico venne trovato nella camera del residence “Le Rose” a Rimini, la sera del 14 febbraio 2004. L’ipotesi sulla quale si sta indagando ora è che il campione fu picchiato e costretto a bere cocaina, quindi fu ucciso. Si indaga dunque per omicidio.
In particolare a persuadere il procuratore capo Paolo Giovagnoli sarebbe la perizia medico legale eseguita per conto della famiglia dal professor Francesco Maria Avato.
Emergerebbe che “Le ferite sul corpo di Marco Pantani non sono autoprocurate, ma opera di terzi“.
A 10 anni dalla morte del Pirata, scomparso il 14 febbraio 2004, i magistrati avviano dunque una nuova inchiesta.
Ad anticipare la notizia è stata la Gazzetta dello Sport, secondo cui il campione, vincitore di Giro d’Italia e Tour de France nel ‘98, sarebbe stato picchiato e costretto a bere la cocaina mentre era nella propria stanza d’albergo.
Dalla perizia infatti è risultato che le grandi quantità di stupefacente trovate nel suo corpo si possono assumere solo se diluite in acqua.
La ricostruzione dell’omicidio
La nuova ipotesi della Procura sarebbe quella di “omicidio con alterazione del cadavere e dei luoghi“. La realtà dei fatti sarebbe stata molto diversa da quella emersa ufficialmente all’epoca della prima inchiesta. L’indagine di allora portò al patteggiamento di due spacciatori, Fabio Miradossa e Ciro Veneruso, che avevano confessato di aver portato 20 grammi di cocaina a Pantani la sera del 9 febbraio, rispondendo così di morte come conseguenza di altro reato. A processo finì invece Fabio Carlino, titolare di un’agenzia di ragazze immagine, che avrebbe collaborato alla fornitura della droga. Condannato in primo e secondo grado, Carlino è stato prosciolto in Cassazione. L’esposto è supportato dalla consulenza medico legale firmata dal professor Francesco Maria Avato, docente universitario e dirigente del Dipartimento interaziendale strutturale di medicina legale a Ferrara. Ma a supporto della nuova tesi c’è pure un altro dettaglio che è cambiato rispetto alla prima indagine, ovvero tutti erano convinti che nessuno fosse entrato o uscito da quell’appartamento nel residence.
Invece esisteva un secondo ingresso nel residence, dal garage, che consentiva di salire ai piani fino alle ore 23 senza passare dalle portineria e dunque senza essere visti. In più non c’è evidenza che i tre giubbotti pesanti e tecnici trovati nella camera di Pantani fossero i suoi, nè che li abbia portati lì lui stesso. “Chi li ha portati lì, se ben quattro testimoni confermano di aver visto Pantani sempre e solo con una piccola sportina dove certamente i giubbotti non entravano?“, ci si chiede. E poi c’è un altro quesito che riguarda le ferite di Pantani, compatibili con una colluttazione più che con una caduta a terra. “Un bernoccolo, un taglio all’arcata sopraccigliare, le ferite circolari al capo“. Infine, altro elemento che non convince i familiari: la quantità di droga. “Considerato che ne è stata trovata dappertutto a terra e che i 20 grammi li aveva da 5 giorni, non sarebbe bastata per un overdose. Qualcuno ne ha portato dell’altra“. E poi c’è da ricordare che all’epoca non furono rilevate le impronte digitali.
Il fascicolo dell’indagine bis, su cui vige un riserbo assoluto, è stato affidato al pm Elisa Milocco; è stato iscritto nel registro delle notizie di reato e al momento non ci sono indagati.
La battaglia della famiglia
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L’ipotesi di questa nuova indagine è l’omicidio volontario, con il campione picchiato e costretto a bere cocaina. I genitori non hanno mai creduto all’ipotesi del suicidio, la mamma Tonina Belletti in primis, e su Facebook affida un messaggio ai tanti fan che ancora amano il ‘Pirata’ e sperano sia fatta luce: 16 anni fa il Tour, ora caso riaperto.
Una vita da campione
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Aveva 34 anni quando Marco Pantani è morto, ufficialmente a stroncato da un edema polmonare e cerebrale, conseguente a un’overdose di cocaina. Per la mamma Tonina e la famiglia invece si è trattato invece di un omicidio e per questo è stata più volta richiesta la riapertura dell’indagine sulla sua morte. Il Pirata aveva ragiunto l’apice della sua carriera nel 1998 quando centrò l’accoppiata Giro d’Italia-Tour de France. Insieme a lui riuscirono solo i grandi, Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Stephen Roche e Miguel Indurain. Nel 1999 l’ematocrito alto lo costrinse a fermarsi. Pantani torna a correre nel 2000 ma nonostante le condizioni di forma, la difficoltà maggiore è psicologica. Negli anni successivi Pantani non riesce più a trovare la serenità necessaria per tornare a correre. Si lascia andare alla depressione e il 14 febbraio 2004 muore in un residence a Rimini, per arresto cardiaco. Essere considerato ancora il più grande scalatore di tutti i tempi nonostante tutto, la dice lunga sul valore di Marco Pantani.
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