Il cooperante napoletano venne trovato senza vita nella sua abitazione – nel luglio del 2020 – a San Vicente del Caguánin, in Colombia, in circostanze che ad alcuni sono apparse sospette.
Per la Procura di Roma, la morte di Mario Paciolla è riconducibile al suicidio ed è stata quindi chiesta l’archiviazione del caso. All’epoca dei fatti, il cooperante lavorava come collaboratore delle Nazioni Unite per un progetto di pacificazione interna tra governo locale ed ex ribelli delle Farc (le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia).
La Procura di Roma chiede l’archiviazione per il caso Paciolla
Per la procura di Roma l’ipotesi più accreditata riguardo la morte del cooperante napoletano 33enne Mario Paciolla è quella del suicidio. Paciolla venne trovato senza vita nella sua abitazione a San Vicente del Caguánin, in Colombia, il 25 luglio del 2020.
Stando ai riscontri della Procura, il cooperante si sarebbe tolto la vita, per questo è stata richiesta l’archiviazione del fascicolo d’indagine aperto per omicidio contro ignoti. Nessun elemento acquisito durante questi due anni di inchiesta avrebbe fornito elementi che potessero consentire la riapertura dell’indagine.
Quando Paciolla venne trovato senza vita, aveva un lenzuolo avvolto intorno al collo. All’epoca dei fatti stava lavorando come cooperante per un progetto tra il governo colombiano e gli ex ribelli delle Farc (le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia).
I dubbi sulla teoria del suicidio
Secondo le autorità colombiane e le Nazioni Unite, il 33enne si sarebbe tolto la vita, ma i punti mai chiariti sulla sua morte restano ancora tantissimi. Dal secondo esame autoptico effettuato nel nostro Paese, emersero particolari controversi. Sul corpo del cooperante vennero riscontrate ferite che potrebbero essergli state inflitte quando Paciolla era già morto o ancora agonizzante. Chi lo conosceva non si è mai detto persuaso della teoria del suicidio. Stando alla testimonianza della sua ex fidanzata, il 33enne le era apparso ‘terrorizzato’ nei giorni precedenti alla sua morte.
«Non crediamo alla tesi del suicidio, perché Mario era un amante della vita»
aveva raccontato nell’immediatezza dei fatti Giuseppe Paciolla, padre del 33enne.
Pare infatti che si sentisse spiato da alcuni colleghi dell’Onu con cui aveva lavorato a un dossier su un bombardamento in Colombia. Non solo, i genitori di Paciolla hanno denunciato le modalità con cui era stato ripulito il suo appartamento dopo la sua morte. A coordinare le operazioni di pulizia fu il responsabile sicurezza della missione ed ex membro dell’esercito, Christian Thompson.
Stando a quanto riferisce anche Il Fatto Quotidiano, dopo la morte del 33enne, Thompson sarebbe entrato a casa del cooperante, chiedendo le chiavi direttamente al proprietario dell’appartamento. Resta poi il giallo della sparizione di alcuni effetti personali di Paciolla, mai più ritrovati.
Nonostante i numerosi dubbi e le rimostranze dei familiari di Carmine Mario Paciolla, la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione, derubricando la sua morte a un caso di suicidio.