Il rapporto spesso difficile tra economia e rispetto per l’ambiente si arricchisce di un nuovo, inquietante capitolo, tutto made in Italy: il marmo di Carrara, uno dei vanti della produzione nostrana, conosciuto ed ammirato in tutto il mondo, sta mettendo a rischio le Alpi Apuane, come denuncia Luca Tommasi, della Commissione tutela ambiente montano del Club Alpino Italiano (Cai), insieme ad altre associazioni ambientaliste e cittadinanza attiva. ‘Il marmo è una ricchezza, sì, ma una ricchezza che ci impoverisce‘, dichiara Tommasi ad AdnKronos, raccontando lo scempio di cime mozzate, crinali incisi, falde acquifere inquinate, oltre che un via vai continuo di mezzi pesanti tra queste montagne, che ogni anno che passa appaiono sempre più erose e frantumate dall’ingordigia di un business che non conosce freni.
Chi conosce bene questi luoghi afferma che il profilo delle Alpi Apuane è oramai radicalmente mutato a causa del business del marmo: secondo le stime del Cai, ogni anno questo comparto si mangia 4 milioni di tonnellate di montagna, circa un milione e mezzo di metri cubi. Oltretutto ad avvantaggiarsene sono ben pochi, grazie a canoni di concessione elargiti a prezzi irrisori: per rimanere solo alla città di Carrara, nelle casse del Comune sono entrati 15 milioni di euro a fronte di 168 milioni di utili per i privati. Le cave vengono date in concessione dai Comuni della zona e tutti gli affari sono gestiti da poche famiglie, denunciano le associazioni, tra cui la famiglia del defunto Bin Laden, che nel 2014 ha acquistato il 50 per cento della Marmi Carrara, che ha la concessione di circa un terzo delle cave di marmo bianco delle Alpi Apuane, pagando 45 milioni di euro alle quattro famiglie proprietarie.
Secondo i dati allarmistici diffusi, nelle Apuane si è scavato più negli ultimi 20 anni che nei 2000 precedenti, con una modificazione del territorio pari ad un’era geologica. La questione non si esaurisce con gli scavi delle circa 150 cave attive, di cui una settantina nel Parco Regionale inserito nella rete di geoparchi, che lavorano a pieno regime per estrarre sia il pregiato marmo che gli scarti di lavorazione usati in altri settori industriali: c’è infatti il problema ulteriore della contaminazione delle falde acquifere, con alcuni fiumi e relativi affluenti che si tingono di bianco quando vi è una forte pioggia per la polvere di taglio dei marmi. Inoltre, dichiara l’Arpat Massa Carrara, sia il suolo che il sottosuolo sono inquinati da sversamenti di oli, e le acque superficiali presentano sostanziali alterazioni dei loro parametri chimici. In tutto questo cosa fanno gli enti locali? Teoricamente il nuovo piano paesaggistico della Regione Toscana avrebbe messo sotto tutela le Apuane 1200 metri sopra la terra, ma secondo le associazioni il piano presenterebbe troppe deroghe e pertanto risulterebbe inefficace. Le associazioni non sono contrarie alle cave, ‘ma chiediamo che si scavi solo il marmo che serve per fini artistici e decorativi, cioè in blocchi, invece in queste cave da 25 anni circa la Regione ha imposto una vecchia normativa per cui dato un numero 100 si può estrarre un 75 per cento di frammenti e un 20 per cento di marmo in blocchi‘. Le montagne dunque rischiano di scomparire a causa di questo rapporto sfalsato, e le associazioni chiedono di intervenire tempestivamente sul piano normativo affinché delle Apuane non resti per le generazioni future solo un pallido ricordo.
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